Oggi si è corsa la maratona di Erbil: cosa significa correre in Kurdistan

Oggi si è corsa la Maratona Internazionale di Erbil, nel Kurdistan Iracheno, vinta dall’atleta keniano Isaac che ha concluso la distanza in 2 ore e 25 minuti.

In queste ultime settimane si è tanto parlato di curdi e di Kurdistan, si è tornato a parlare di ISIS, e qualcuno si è ricordato addirittura di parlare di pace. Discussioni troppo spesso caratterizzate da una scarsa cognizione storica, geografica e sociale sulla quale si poggia a volte anche la partigianeria politica.

Più in generale si è trattato di dinamiche emozionali di massa mediaticamente indotte da una narrazione che, nella prima metà di ottobre, è stata a reti unificate e con un’attenzione senza precedenti per un conflitto, quello siriano, che va avanti dal 2011 nella quasi totale indifferenza dei media occidentali.

E’ mia ferma opinione che la cosa vada inquadrata nell’operazione di demonizzazione della Turchia iniziata col fallito colpo di stato del 2016.

Parlare quindi oggi di un evento podistico nel Kurdistan Iracheno, cioè della Maratona Internazionale di Erbil, ha una doppia valenza: da un lato si vuole promuovere un’iniziativa volta alla ricostruzione della società dal basso, alla creazione di relazioni ed allo scambio di conoscenze in zone recentemente interessate dalla guerra, poi raggiunte dall’ISIS, e che sono tutt’ora attraversate da forti tensioni, parallelamente si vogliono anche offrire spunti di riflessione “comparata” che potrebbero essere utili nelle suddette discussioni riguardanti il nord-est della Siria, zona interessata da recenti macro-eventi correlati a quelli del vicino Iraq.

La regione del Kurdistan Iracheno ha raggiunto la sua autonomia dopo la Guerra nel Golfo (1991). Nel 2011, col ritiro dell’esercito americano che aveva invaso l’Iraq nel 2003, la polarizzazione tra il Governo Centrale dell’Iraq ed il Governo Regionale del Kurdistan Iracheno aveva la seguente configurazione: Jalal Talabani, leader del partito curdo PUK (Unione Patriottica del Kurdistan), era il presidente dell’Iraq del dopo Saddam mentre Masoud Barzani, leader del partito curdo KDP (Partito Democratico del Kurdistan) era il presidente della Regione Autonoma del Kurdistan.

Il PUK è certamente più vicino alla minoranza curdo-sciita in Iraq rispetto al KDP, cosi come ha relazioni con l’Iran (paese sciita) che il KDP non ha. I due leader erano stati rivali ai tempi della Guerra Civile Curda (’94-’97), un conflitto tra fazioni curde, e furono i presidenti delle due zone in cui il Kurdistan Iracheno restò diviso fino alla riconciliazione del 2005. La zona con capoluogo a Erbil era sotto il controllo del KDP di Barzani, quella con capoluogo a Sulaymaniyah era sotto il controllo del PUK di Talabani.

Dal 2005 al 2017 il presidente del Kurdistan Iracheno riunificato è stato Barzani. Col ritiro militare degli Stati Uniti nel 2011 per l’autonomia del Kurdistan Iracheno inizia una nuova stagione.

E’ proprio nel 2011 che ha luogo la prima Maratona di Erbil, che oggi sarebbe dovuta essere alla sua nona edizione se non fosse stato per eventi che ne hanno impedito talvolta lo svolgimento. Nel 2014 a causa dell’offensiva dell’ISIS la manifestazione non si tenne, per ripartire l’anno seguente con un’edizione sulla distanza della mezza maratona.

Nel 2017 invece divenne impossibile raggiungere la regione a causa delle conseguenze del referendum per l’indipendenza voluto da Barzani, e tenutosi appena un mese prima della maratona. La popolazione chiamata a referendum si espresse a favore dell’indipendenza con oltre il 90% di “SI”. Ne conseguì un conflitto tra l’esercito iracheno ed i Peshmerga, cioè l’esercito della regione autonoma del Kurdistan.

Tra il 15 ed il 20 ottobre i due eserciti si scontrarono a Kirkuk, città dove vive la maggior parte degli iracheni di origine turca (anche detti turkmeni iracheni), ma soprattutto località che si trova su un ricco giacimento di petrolio e da cui partono gasdotti verso il Mediterraneo che attraversano la Turchia.

Curdi, turchi, petrolio, ce n’era abbastanza per uno scontro sul campo che coinvolgesse anche l’esercito turco ed i miliziani del PKK (partito separatista dei curdi in Turchia, considerato organizzazione terroristica dalla Turchia, dall’UE e dagli USA).

Per l’esito della Battaglia di Kirkuk, a vantaggio dell’esercito di Baghdad, fu comunque decisiva la rivalità tra il KDP e il PUK. Le unità Peshmerga del PUK infatti raggiunsero un accordo col Governo iracheno e si ritirarono dalla città, e la cosa fu accolta con gioia dagli abitanti turchi ed arabi di quella che per molti dovrebbe invece essere la capitale di un ipotetico Kurdistan Iracheno indipendente.

Da Kirkuk ad Erbil sono meno di 100 Km e la settimana dopo, il 27 ottobre, si corse “solo” sulle distanze di 5Km e 10Km.  Vincitrice della 10Km fu proprio una donna di Kirkuk, Amal Khidir, che all’arrivo sventolò la bandiera del Kurdistan con “la speranza che altri atleti la mostreranno in tutto il mondo.”

E’ del tutto evidente che la “causa curda”, cioè la rivendicazione di uno stato curdo in un’area dove ricadono porzioni di Turchia, Iran, Iraq e Siria, non è più quella di un secolo fa. Col Trattato di Losanna (1923) le potenze europee vincitrici della Prima Guerra Mondiale furono sostanzialmente quelle che decisero le entità in cui fu diviso l’Impero Ottomano.

Da Losanna non venne fuori uno stato-nazione curdo nella regione storica del Kurdistan, che comunque dal XVI sec. non ha mai avuto un’amministrazione unica ed autonoma. E’ del 1514 la prima importante divisione dell’area tra l’Impero Safavide e l’Impero Ottomano, che conquistò l’Anatolia. Emirati curdi semi-autonomi invece risalgono ai secoli precedenti.

La percentuale maggiore dei curdi oggi vive in Turchia, dove solo una parte minoritaria appoggia le idee separatiste del PKK. Non va trascurato infine il fatto che, nonostante i processi anche pluridecennali di arabizzazione degli stati sorti nel mondo islamico durante il ‘900 (discorso analogo per la turchizzazione nella Turchia kemalista), a quegli stati non corrispondono delle vere e proprie nazioni, ed ancor meno la totalità dei curdi oggi potrebbe ragionevolmente essere considerata una nazione (senza stato).

Tornado alla Maratona di Erbil va ribadito che questa rientra nella categoria di progetti di cooperazione che mirano a rafforzare quella che possiamo definire “infrastruttura umana” laddove la concezione classica della cooperazione porterebbe a pensare alla costruzione di pozzi e ponti (di cui comunque c’è un gran bisogno in fin troppi posti del mondo). Tra i promotori di questo evento podistico internazionale, che ad oggi è l’unica maratona (completa) in Iraq, c’è Sport Against Violence Italia il cui presidente Nicola Visconti si è dichiarato “orgoglioso di questa edizione 2019 che ha visto la partecipazione di 12mila persone, tra la maratona e le distanze più brevi, ed il dato rilevante è l’alta percentuale di partecipanti dall’estero.

“Mi viene la pelle d’oca quando penso a questa realtà che ora cammina a passo spedito con le proprie gambe. Presentammo il progetto nel 2009, vi fu una gara informale nel 2010, e poi finalmente la prima maratona nel 2011. Allora furono in 10 a correre sui 42Km, tra cui 4 italiani, e tra questi c’ero anche io”.

Sempre in Iraq dal 2015 si svolge la Maratona per la Pace di Baghdad che per problemi di sicurezza si è sempre svolta sula distanza della mezza maratona e che quest’anno si sarebbe dovuta correre per la prima volta sui 42 Km, l’8 novembre prossimo.

Dai primi di ottobre però ci sono proteste a Baghdad “contro la corruzione, per il problema della disoccupazione giovanile, e per la richiesta di servizi essenziali come l’acqua potabile e la corrente elettrica. Tutte le attività dell’Iraqi Social Forum, tra cui la Maratona di Baghdad, sono state al momento annullate nella speranza che si tratti solo di un rinvio. Le proteste hanno avuto alcuni giorni di stop nel rispetto di una festività sciita (l’Arbain, ndr) che prevede un cospicuo afflusso di persone nelle vicinanze di Baghdad (il Pellegrinaggio a Kerbala, ndr), ma riprenderanno proprio quest’oggi” ha dichiarato Elena Laurenti, sempre di Sport Against Violence, che è tra i promotori anche di quest’altra maratona.

Il presidente Visconti aggiunge che “l’impossibilità di svolgere la maratona di Baghdad non è da considerarsi come quando ad Erbil è saltata un’edizione della maratona a causa dell’ISIS. Perché quelle in corso sono proteste di una società giovane, istruita, che trasmette vitalità quando si è lì sul posto, così come quando vengono qui in Italia per le attività che svolgiamo insieme”.

Un altro Iraq è possibile secondo Sport Against Violence, e forse l’impegno più sano che si possa profondere dall’esterno è proprio quello di stimolare pratiche che possano essere fattori abilitanti per un clima sociale positivo, come i grandi eventi sportivi di massa aperti alla partecipazione dall’estero. E’ un tipo di impegno che poggia sul senso civico più che sulle passioni politiche, che aiuta alla soluzione di inevitabili conflitti più che alla loro escalation, e che soprattutto non presuppone il doversi schierare apertamente con una delle parti in conflitto. Anche se la pulsione di parte è sempre dietro l’angolo, per tutti.

 

 

 

 

 

 

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