#Virus: La strage della Val Padana flagellata dall’inquinamento

Scienziati e virologi da tutto il mondo stanno cercando di studiare e di comprendere come funziona e come si muove il Covid19. In Italia il tasso di mortalità ricavato dai dati ufficiali ad oggi è del 9,86 %. Un dato che fa riflettere se rapportato a quello cinese, ma anche al tasso di mortalità del resto d’Europa, notevolmente più basso.

Sicuramente questo dato deve essere valutato correttamente, tenendo in considerazione che il numero di contagiati da corona virus è molto più alto del numero ufficiale. Il motivo – come noi tutti ormai sappiamo – è dovuto all’impossibilità di eseguire i tamponi a tappetto sulla popolazione, compresa quella asintomatica. Se ne deduce che se gli infetti sono molti di più rispetto a ciò che si pensa, di conseguenza il tasso di mortalità è più basso rispetto alle stime ufficiali.

Il tasso di mortalità più alto in alcune regioni d’Italia

Quello che è certo, però, è che il Corona Virus sta uccidendo di più in alcune regioni d’Italia. Ad oggi in Lombardia i morti sono il 13,61%, in Emilia Romagna – invece – muoiono circa 10 pazienti su 100 contagiati individuati, e lo stesso vale per la Liguria e il Molise. Un numero di decessi che fa paura se confrontato alle morti che si registrano in altre regioni dello stivale. In Basilicata muore l’1,09% delle persone infette secondo le stime ufficiali, in Calabria, in Umbria, in Sicilia e in Sardegna il tasso di mortalità si aggira intorno al 3 %.

Caldo e umidità influiscono sul contagio ma c’è un altro aspetto: l’inquinamento

In molti si sono chiesti il motivo di tanto squilibrio tra le regioni italiane e da più parti stanno emergendo ricerche che ci aiutano a capire qualcosa in più del nuovo Coronavirus, tenendo conto – soprattutto – del contesto ambientale e meteo-climatico. Il caldo e l’umidità influiscono in modo significativo sulla contagiosità del virus, ma vi è un altro aspetto molto importante, l’inquinamento.

Contagiosità e mortalità particolarmente elevata in Valpadana

Sembrerebbe, infatti, che l’aria inquinata e in particolare le polveri sottili rendano il Covid-19 più forte e più virulento. Questo spiegherebbe la contagiosità e la mortalità particolarmente elevata che si è registrata in Valpadana. Leonardo Setti dell’Università di Bologna e Gianluigi de Gennaro dell’Università di Bari hanno incrociato i dati della qualità dell’aria provenienti dalle centraline di rilevamento delle Arpa e quello dei contagi da Covid-19 riportati dalla Protezione Civile, aggiornati al 3 marzo (questo al fine di considerare il tempo di incubazione medio di 14 giorni). Le analisi hanno evidenziato una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 e PM 2,5 ed il numero di casi infetti da Covid-19.

Le polveri sottili avrebbero reso l’infezione più contagiosa.

Per dirla con parole più semplici, le polveri sottili avrebbero reso l’infezione più contagiosa. Per Leonardo Setti, uno dei ricercatori che ha realizzato lo studio: “Le alte concentrazioni di polveri sottili registrate nel mese di febbraio in Pianura Padana hanno prodotto un’accelerazione della diffusione del Covid-19”. Di fatto le polveri sottili si sono comportate come dei mezzi di trasporto per il virus, che proprio grazie a loro ha potuto fluttuare nell’aria con concentrazioni più elevate e muoversi per distanze più lunghe. Per Gianluigi de Gennaro: “Più ci sono polveri sottili, più si creano autostrade per i contagi”.

Insomma, la cattiva qualità dell’aria italiana ha favorito il propagarsi del virus e lo ha reso più forte. Il tasso di mortalità e la contagiosità del virus, infatti, non salgono soltanto nella pianura padana rispetto alle altre regioni dello stivale: anche a Whuan, una città con molte attività industriali che contribuiscono a peggiorarne la salubrità dell’aria, le morti che si sono registrate sono state molto più elevate rispetto al resto dello stato asiatico (se in Cina i dati ufficiali sulla mortalità si sono attestate allo 0,7%, a Whuan solo salite al 5,8%, proprio come sta succedendo in Lombardia e in Emilia Romagna rispetto alle altre zone del Paese).

La stessa correlazione era già stata dimostrata riguardo la SARS

In Cina la correlazione tra l’inquinamento dell’aria e la mortalità era stato già dimostrato per quanto riguarda la SARS e in uno studio del 2017 era stato evidenziato come il rischio di mortalità era amplificato – di circa il doppio – nelle aree a più alto inquinamento rispetto a quelle più salubri.

La cattiva qualità dell’aria italiana non è una novità.

Già nel 2019 Legambiente evidenziava come l’Italia fosse uno dei paesi peggiori d’Europa per la qualità dell’aria e per la presenza di polveri sottili. Nel 2018, infatti, sono stati superati i limiti giornalieri previsti per le polveri sottili e per l’ozono in ben 55 capoluoghi di provincia. In 24 di questi 55 capoluoghi il limite è stato superato per entrambi i parametri. I cittadini, insomma, hanno respirato aria inquinata per 4 mesi nell’anno.

L’elenco delle città dove stati registrati questi valori limite, se confrontato con i dati attuali sulla propagazione del Covid19, fa paura e ci impone una riflessione. La città che nel 2018 ha registrato il maggior numero di giornate fuorilegge è Brescia con 150 giorni (47 per il Pm10 e 103 per l’ozono), seguita da Lodi con 149 (78 per il Pm10 e 71 per l’ozono) e da Monza (140).

Tutte le città capoluogo di provincia dell’area padana (ad eccezione di Cuneo, Novara, Verbania e Belluno) hanno superato almeno uno dei due limiti previsti dalla legge sulla qualità dell’aria.

A marzo del 2019 la Commissione europea ha bocciato il nostro Paese per quanto riguarda il rispetto dell’ambiente. Nello specifico, Bruxelles ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia Ue per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico. Nella nota, la Commissione europea ha invitato la nostra Nazione a rispettare i valori limite per il biossido di azoto (NO2) stabiliti dalla direttiva 2008/50/CE.

Cattiva qualità dell’aria porta a asma, problemi cardiovascolari e cancro ai polmoni

La cattiva qualità dell’aria, ha spiegato Bruxelles, “provoca direttamente malattie gravi e croniche come asma, problemi cardiovascolari e cancro ai polmoni”, malattie che oggi – come sappiamo – peggiorano il decorso dell’infezione da CoVid19, aumentandone la letalità.

A maggio del 2018, l’Italia era già stata deferita alla Corte di giustizia perché aveva sforato ripetutamente i livelli di guardia di particolato fine (PM10) in molte città, senza aver adottato misure convincenti per ridurre al minimo i superamenti dei valori limite.

Il nostro Paese, ha rimarcato la nota, “non rispetta le norme dell’Ue da oltre 13 anni” e la Corte ha condannato l’Italia al pagamento di una consistente multa.

Oltre alle polveri sottili, 12.482 siti potenzialmente contaminati

 

Le polveri sottili, tra l’altro, non sono neanche l’unica fonte di preoccupazione per la situazione ambientale del nostro Stato. Secondo i dati Ispra in Italia ci sono 12.482 siti potenzialmente contaminati in attesa di bonifica (tra i quali si annoverano diverse località nella pianura Padana) e, tra questi, ben 58 sono definiti come gravemente inquinati e ad elevato rischio sanitario (SIN).

La correlazione tra inquinamento e la mortalità da CoVid19 deve ancora essere studiata e dimostrata scientificamente. Le posizioni a questo proposito sono plurime e discordanti. Per Giulio Tarro, virologo dell’azienda ospedaliera “Cotugno” di Napoli, “è stato di recente escluso che l’inquinamento ambientale abbia potuto influire sulla mortalità da coronavirus, ma rimane ancora il dubbio che esso abbia favorito la sua contagiosità”. Secondo il medico, in prima linea nella lotta al Nuovo CoronaVirus, “Una sana alimentazione ed un corretto stile di vita sono, senz’altro, la migliore profilassi per una vita salubre in cui il coronavirus può solo dare vita ad un’infezione benigna”.

Ma resta da farci una domanda: come è possibile mantenere uno stile di vita sano, in un contesto dove lo Stato non garantisce la salubrità dell’aria?

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