Il ruolo che un paese riconosce alla propria Capitale può essere indicativo della sua propensione a prendersi cura di sé. Roma è la Capitale d’Italia dal 3 Febbraio 1871 e nessuna vera celebrazione è stata predisposta in occasione dei 150 anni da quella storica data.
Prima di 150 anni fa la Città Eterna era la capitale di uno stato grande quanto la regione Lazio, lo Stato Pontificio, scomparso con la Breccia di Porta Pia il 20 Settembre 1870. Cinquantanove anni dopo, con il Concordato, Mussolini concesse alla Chiesa Cattolica un pezzettino di suolo italiano su cui far risorgere uno Stato teocratico nel cuore di Roma.
Il nanismo istituzionale di questo gigante storico che è la Capitale d’Italia sta tutto qua, nella presenza ingombrante di quel mezzo kilometro quadrato su cui sorge lo stato più piccolo del mondo.
Il 27 dicembre la Camera dei Deputati ha approvato un ordine del giorno che impegnava il Governo ad individuare le risorse per promuovere la celebrazione del 150-esimo di Roma Capitale d’Italia e a fare un piano per il Giubileo-2025.
Con quasi 4 anni di anticipo possiamo esser certi che le risorse italiane per il giubileo del Vaticano saranno trovate. A sole 6 settimane dal 3 febbraio era del tutto evidente che quello al 150-esimo di Roma Capitale era soltanto un riferimento proforma, indipendentemente dalla crisi di governo in corso.
Nel consueto discorso di fine anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato alcuni anniversari che ricorrono nel 2021, tra cui anche i 700 anni di Dante, ma ha dimenticato i 150 anni in questione. All’indomani comunque si è unito all’omelia di Capodanno del Papa per una “comune grammatica della cura”.
Utopistico aspettarsi che nella non discussione per le prossime elezioni amministrative a Roma qualcuno rispolveri la vecchia ma sempre attuale “questione romana”.