La rinascita dei musulmani non passa per l’autocensura

Questo giornale ha ben documentato la situazione di autocensura all’interno della comunità musulmana, come quando si parla dell’ambigua idea di “radicalizzazione” o nel caso della sorella Silvia Aisha Romano, o ancora sulla questione della Palestina, dell’ebraismo o sullo status religioso dell’ambasciatore Luca Amir Attanasio, vilmente assassinato mentre cercava di contribuire al processo di pace nella Repubblica Democratica del Congo e sepolto in Italia sia col rito cattolico che con quello islamico. 

In tutte queste occasioni, ed in altre ancora, emerge un’autocensura da parte di alcuni esponenti della comunità islamica italiana, apparentemente tesi ad accreditarsi presso lo Stato come musulmani buoni. Beninteso, tutto ciò con alcune lodevoli eccezioni.

La Via del Profeta Muhammad (pbsl), se praticata con coerenza e con visione strategica, richiede al credente di sforzarsi per operare al meglio e di essere sempre veritiero; e talvolta anche di sfidare i propri avversari, senza timori di dover pagare un costo per questo. A questo proposito la storia ha già registrato il tradimento di individui, partiti e governi verso la Palestina, ma gli esempi di pavidità e opportunismo al limite dell’ipocrisia sono, purtroppo, numerosi.

Nei paesi europei ed anche in Italia esiste, tuttavia, una parte della Comunità che ha mostrato di saper resistere su parecchi fronti: da quello della difesa della Palestina e del popolo siriano a quello della promozione di una laicità inclusiva, alla lotta contro leggi discriminatorie e contro l’islamofobia. Eppure si assiste anche qui ad un cedimento o quantomeno un affievolimento nell’impegno di costruzione, rafforzamento ed organizzazione delle migliori risorse presenti in seno alla nostra comunità. In tal modo sono abbandonati a se stessi tanto alcuni settori della vecchia emigrazione quanto moltissimi giovani che, non a caso, costruiscono realtà autogestite soprattutto sui social media. 

La Umma (comunità dei credenti) italiana deve fare un salto di qualità insieme economico e spirituale, in modo che il primo aspetto rafforzi il secondo e viceversa. L’Islam si rivolge alla totalità dell’essere umano e della società, dunque il credente non può  accettare di evitare alcuni argomenti perché sgraditi ai potenti di turno oppure tralasciare aspetti importanti del Messaggio islamico con la pretesa che non abbiamo le forze per far valere alcuni diritti.

Dopo decenni di lenta e talvolta faticosa integrazione è venuto oggi il tempo di costruire solide basi economiche e culturali che fungano da supporto ad una comunità i cui individui devono mantenere chiara la priorità della purificazione del proprio cuore e del miglioramento del proprio carattere. Senza un lavoro spirituale giornaliero non possiamo sperare di progredire; si tratta di un lavoro importante dal punto di vista individuale ma che procede di pari passo con l’esigenza di contribuire allo sviluppo di tutta la società. 

A tal proposito sia detto con chiarezza che l’Intesa con lo Stato italiano non può essere l’altare su cui sacrificare aspetti importanti della nostra fede e cultura islamica, facendone inevitabilmente pagare il prezzo alle giovani generazioni. L’integrità della famiglia, la sana educazione dei figli, ed il parallelo rifiuto di aberranti ideologie disumanizzanti costituiscono un aspetto vitale della nostra identità, che non permettono cedimenti di sorta.

Dobbiamo allora raddoppiare gli sforzi, incoraggiare analisi e dibattiti, promuovere e sostenere iniziative per resistere a chi vuole negare spazio e legittimità alla fede nel discorso pubblico, spingendo più o meno consapevolmente verso neo-totalitarismi in cui il velo o la preghiera diventano fonte di sospetto, proprio come accade già oggi in Francia. 

Nonostante le evidenti difficoltà, i tempi di crisi sono spesso anche forieri di opportunità, se noi le sapremo sfruttare. I gravi rischi per le nostre anime e per quelle delle prossime generazioni vanno affrontati anche prestando particolare attenzione all’educazione delle donne musulmane, da cui dipende la sopravvivenza della comunità sia dal punto di vista familiare sia, e soprattutto, da quello religioso.

Un appello quindi ai responsabili della comunità islamica in Italia affinché considerino con maggior attenzione l’evoluzione della comunità odierna rispetto a quella di venti o trent’anni or sono. Se i nostri giovani non troveranno risposta alla loro aspirazione ad un’identità islamica ed italiana all’interno della comunità, la cercheranno altrove oppure relegheranno la loro fede nel foro privato, perché  costretti in un ambiente in cui non sarà più consentito di viverla liberamente.