Il DDL Zan punta a scardinare l’identità sessuale dei giovani

Sulle pagine di questo giornale già sono state analizzate le basi scientifiche che consentono di definire i due generi sessuali, maschile e femminile, con le loro caratteristiche biologiche immutabili. E’ ancora la scienza, ed in particolare la biologia, a definire le tendenze all’omosessualità spesso come reazione a stimoli ambientali particolari, a violenze e traumi subiti, o comunque un impulso passeggero e reversibile che può manifestarsi nell’adolescenza, come dimostra un recente studio pubblicato dall’Università La Sapienza.

Eppure, negli ultimi decenni si assiste all’incoraggiamento dei giovani non solo ad una sfrenata e discutibile libertà sessuale ma anche ad avere rapporti sessuali con persone dello stesso sesso quale pratica normale ed accettabile. La parallela de-costruzione del genere femminile e di quello maschile finisce per attentare all’identità ontologica e financo biologica del genere umano.

Il “Disegno di Legge Zan“, recentemente approvato alla Camera, presentato come strumento per difendere le minoranze sessuali da violenze e discriminazioni (reati già puniti dalla legislazione vigente), è in realtà un grimaldello ideologico per scardinare l’identità sessuale, soprattutto dei giovani, ed arrivare alla cosiddetta sessualità fluida; ciò ha per diretta conseguenza anche la dissoluzione della famiglia e l’estrema riduzione della natalità. Inoltre la normativa introduce giudizi di valore su comportamenti umani opinabili e arbitrariamente criminalizzati; in tal modo si prefigura il reato di opinione, segno precipuo delle dittature. 

Uno degli aspetti più controversi del Disegno di Legge Zan riguarda il concetto di “identità di genere“: un’idea che va contro la logica formale ed è privo di alcun carattere di scientificità. Nella sua fumosità e genericità questo DDL fa leva su supposizioni di tipo sociologico ed antropologico che mal si prestano ad un discorso giuridico e finiscono inevitabilmente per creare fattispecie di arbitrarietà e discrezionalità estreme, come messo in luce anche dai giuristi del “Centro Studi Rosario Livatino”. Quale esempio di tali aberrazioni si prenda l’assunto secondo cui ognuno potrebbe auto-identificarsi in uno o più generi. Il risultato sarebbe una norma contro i diritti di chi donna lo è davvero, come denunciato pure da alcune femministe in una lettera aperta pubblicata su “ProVita e Famiglia”. 

A partire dagli anni Cinquanta psicologi, sociologi ed antropologi “liberal” negli Stati Uniti, e quindi in Europa, si sono adoperati per svincolare il sesso biologico dal genere, identificanto come un mero costrutto culturale. Lo hanno fatto prima per assecondare le rivendicazioni del movimento LGBT, poi per distruggere completamente il concetto di essere umano così come ci è stato tramandato nel corso di millenni. Per arrivare a ciò è stata costruita una vera e propria neo-lingua tendente alla pervasiva diffusione di un pensiero unico che mina biologiche ed ataviche certezze sul genere sessuale umano.

Nel Belpaese il risultato è riassunto – ad oggi – nel citato DDL Zan: un coacervo di enunciati ideologici per la de-costruzione dell’identità sessuale, in particolare di quella femminile. “Donna” non sarebbe più chi ha la caratteristiche biologiche per essere riconosciuta tale, e per questo avere riconosciuti diritti e tutele conseguenti, ma chi si sente tale pur possedendo i genitali maschili invece delle ovaie! Si è addirittura superata la questione della difesa di gay e lesbiche, come minoranza sessuale, inventandosi ben undici generi differenti tra cui il transgender, l’intersessuale, il bisessuale ed altre artificiose definizioni fino ad arrivare all’essere “umano” la cui identità biologica e sessuale è liquida e cangiante…

Ma il Decreto va anche oltre, permettendo all’individuo di auto assegnarsi il genere con una semplice autocertificazione. Questa legge in particolare comprime i diritti delle donne in quanto riconosciuti pure ai transgender, esseri con sembianze femminili ma che restano biologicamente maschi a tutti gli effetti, e come tali dovrebbero essere trattati. La questione è esplosa negli Stati Uniti dove esiste una legge che rende obbligatorio far gareggiare i trans nelle gare sportive assieme alle donne. Ovviamente nessuna donna riesce più a vincere un titolo sportivo e quando ciò accade su un ring di pugilato la situazione si rivela ancora peggiore, giacché in un incontro tra un pugile donna ed un trans la prima è quasi sempre svantaggiata. Con buona pace degli entusiasti dell’ideologia gender, in questa situazione una donna può finire massacrata di botte, prendiamo il caso del pugile transgender Fallon Fox che da uomo è autorizzato a combattere contro le donen, un caso che sta suscitando molto scalpore mediatico ma nessuna conseguenza pratica. 

L’assurdità dell’ideologia che regge il movimento LGBT porta addirittura alla sostituzione della parola “donna” con “persona che mestrua” onde evitare – a loro dire – ogni discriminazione nei confronti dei trans uomini con apparenze femminili. Le donne, che non sono una minoranza sessuale ma la metà dell’umanità, dovrebbero allora riflettere: se non è più possibile definire chi è donna da chi non lo è in modo oggettivo, come potranno le donne difendere i propri diritti? 

Il riconoscimento, in diverse nazioni, dello status legale femminile per i transgender sta creando ambiguità e contraddizioni sul piano giuridico e sociale con grave pregiudizio per le donne. Alcune voci contrarie, levatesi anche in seno al movimento femminista, sono immediatamente accusate di “transfobia”, nuova fattispecie di reato penalmente punibile con la reclusione. Il Decreto Zan, in discussione al Senato, fa ulteriormente leva sull’ambiguità per introdurre un altro reato, quello di “misoginia”. Quali sono i limiti giuridici di un atteggiamento mentale quale la misoginia? Esiste una definizione scientifica di questo e simili termini? Definizioni ambigue e prive di valore scientifico attribuiscono allo Stato il potere di emettere giudizi di valore etico rispetto ai comportamenti individuali, censurando e punendo chi non si attiene al pensiero dichiarato giusto. 

Un delirio ideologico che conduce ineluttabilmente verso un disastro normativo impossibile da applicare dentro un tribunale di qualunque paese che si auto-definisce democratico. In Germania e nel Regno Unito, come pure in altri paesi progrediti, la propaganda dell’ideologia LGBT e gender è non di rado imposta anche nelle scuole, a partire dalle primarie. In Italia,  nazione del Sud Europa e quindi in via di progresso, è solo questione di tempo.