I problemi del DDL Zan partono dalla definizione del concetto di genere

identità di genere
identità di genere

Il DDL Zan sta facendo discutere molto in questi giorni con voci critiche provenienti dalla destra ma anche dalla sinistra dello spettro politico. Da un lato le critiche sono spiegabili da chi, soprattutto da destra, parte da una concezione della società agli antipodi di quella progressista. Dall’altro, le critiche sono state mosse anche da chi, come alcune esponenti femministe e omosessuali donne, vede nel DDL una minaccia alla causa dei diritti delle donne poiché elimina dalla definizione di donna metà di quello che costituisce de facto l’esserlo: il fattore biologico.

Altre critiche hanno sottolineato il momento inopportuno per spingere il DDL, in una Italia messa in ginocchio dalla pandemia e le cui risorse ed impegni politici, oltre che spazio nel discorso pubblico, dovrebbe essere rivolto altrove per garantire la sicurezza dei cittadini e la resilienza del sistema sanitario.

Un elemento positivo delle critiche che circondano il DDL in questi giorni è che si è arrivato ad un primo reale dibattito sulla questione, seppur timido, che finora è mancato. Il riconoscimento della categoria del “genere” come quasi equiparata a quello di etnia è accompagnata da un bagaglio filosofico ed ideologico non trascurabile e che presuppone un impianto sociale strutturalmente diverso. Un dibattito serio per analizzare la validità delle premesse dell’idea di genere è imprescindibile. 

Affronterò una piccola parte di questo dibattito, tralasciando i molti elementi dubbiosi delle teorie filosofiche e sicuramente non scientifiche di ideologi di quello che potremmo definire ‘genderismo’ come Judith Butler. Tralasceremo anche le critiche sul metodo adottato dagli aderenti di questo movimento e che hanno portato a tentativi di silenziare voci dissonanti e autorevoli nel mondo accademico come quella del Professore ordinario di Oxford John Finnis, autore del famoso articolo accademico di critica all’etica degli atti omosessuali intitolato ‘Legge, moralità ed orientamento sessuale’. Quello di cui mi occuperò è la tensione fra discriminazione diretta ed indiretta che emerge analizzando il DDL.

Discriminazione diretta e discriminazione indiretta

La Direttiva UE 2010/41 del Parlamento Europeo e del Consiglio, così come altre Direttive, distinguono due tipi di discriminazione: diretta ed indiretta (art. 3). La discriminazione diretta avviene quando, ad esempio, una legge o un’istanza più in generale discriminano una persona direttamente. Un esempio è quello di una legge che vieta esplicitamente la costruzione di luoghi di culto solo per un gruppo religioso mentre lo consente per gli altri. La discriminazione indiretta è più sottile, capiamola dunque con un esempio. Ipotizziamo che uno Stato decida di permettere di votare solo durante il Venerdì nell’orario in cui i musulmani, nel loro giorno sacro, sono in moschea per il Sermone del Venerdì. Un altro esempio è quello del taglio dei capelli. Se un gruppo etnico ha la pratica culturale di portate un determinato tipo di acconciatura, ed un’azienda dovesse vietare quell’acconciatura senza un riferimento diretto al gruppo etnico parleremmo di discriminazione indiretta.

Gli esempi sopra sono semplicistici, ma aiutano ad avere un’idea dei due tipi di discriminazione. La discriminazione diretta non presenta elementi di dubbio perché è esplicita e perché non è necessariamente legata ad una categoria di persone. Anche in assenza di una legge ad hoc, infatti, una discriminazione anche molto specifica potrebbe essere evitata legalmente tramite le altre leggi esistenti, come quelle contro l’ingiuria, gli attacchi personali e così via. Se una Regione, ad esempio, dovesse adottare misure contro gli abitanti di un’altra Regione perché tifosi di una determinata squadra di calcio, l’ordinamento tutelerebbe già le vittime della malcapitata Regione senza il bisogno di leggi ad hoc sulla tutela del diritto dei tifosi della squadra in questione. Un altro esempio di discriminazione indiretta può essere quello della Stato francese che ha adottato negli ultimi anni varie leggi a carattere generico ma che nella pratica e nel discorso politico e pubblico prendono di mira una minoranza religiosa: i musulmani.

IL DDL 

Il DDL Zan si apre con le definizioni. Il genere, afferma il DDL, è “qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso” e l’identità di genere sarebbe “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.”

Senza entrare nel merito, è utile notare alcuni problemi già insiti in queste prima parole. Secondo la filosofia gender, il genere non è conforme o contrastante al sesso. Esso è puramente arbitrario. Se da un lato la definizione di genere parla di “aspettative sociali connesse al sesso”, quella di identità di genere parla di identità corrispondente al sesso biologico, e non con le aspettative ad esso legate, presupponendo dunque una possibile corrispondenza (ad esempio un uomo che si identifica come tale) ed una possibile devianza (ad esempio una donna che si identifica come uomo). Questa imprecisione inficerebbe il contenuto dell’intero DDL, ma non è il punto di critica su cui ci concentreremo.

È quando si parla di discriminazione che importanti critiche possono essere sollevate. La distinzione tra discriminazione diretta ed indiretta non si evince infatti dal testo. Il DDL usa più volte il termine “discriminazione” ed in tutti i casi si parla di cosi che già il nostro ordinamento tutela. Il DDL non fa che aggiungere, esplicitare e rendere prominente la categoria del genere e l’orientamento sessuale.

Se da un lato si parla della discriminazione diretta nei confronti delle categorie che il DDL vuole tutelare in modo più esplicito, dall’altro il rischio di discriminazione indiretta a cui il DDL rischia di portare nei confronti di chi non condivide le definizione come quella del genere è solo timidamente, forse a malincuore, toccata all’articolo 4 che cito qui di seguito:

“Art. 4. (Pluralismo delle idee e libertà delle scelte)

  1. Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.”

L’articolo non specifica abbastanza la misura in cui ai fini del DDL siano esclusi i casi di differenza di opinione. Una persona potrebbe non riconoscere i presupposti filosofici del genderismo e rifiutare l’idea di genere quasi in toto, limitandola alle tendenze mutevoli che gli uomini e le donne potrebbero avere nel corso della storia nel vivere il proprio essere uomini o donne e senza accettare la validità epistemica di categorie come Queer, Transgender, ecc

In passato ad esempio ci si aspettava che la donna si occupasse solo del focolare e dei figli, oggi ci si aspetta che si educhi e che magari persegua una carriera professionale. Questo rifiuto costituirebbe de facto una discriminazione indiretta, come nell’esempio di chi rifiuta di identificare una persona di origini etniche ma con cittadinanza italiana come italiana perché rifiuta la legittimità della categoria ‘cittadino’. Questa ambiguità presenta dei primi rischi o per i cittadini che avrebbero fortemente limitata la loro libertà, o per la legge stessa che perderebbe di legittimità. 

Se una persona di fede cristiana dovesse rifiutare di accettare la categoria di un genere X perché i presupposti della sua religione – che la persona considera fatto e realtà rivelata da Dio ed oggettivamente morali – glielo indicano, quella persona sta compiendo atti di discriminazione? O ancora, immaginiamo un ateo e materialista che accetta l’idea darwiniana di riproduzione della specie come fine ultimo della vita che considera l’omosessualità o il transgenderismo come una forte devianza secondo gli standard darwiniani. Se questa persona utilizzasse anche spiegazioni scientifiche (magari argomentando che se i processi evolutivi portassero ad una specie che si identifichi come un’altra questo in scienza costituirebbe un errore fra i tanti del randomico processo evolutivo e che l’omosessualità o il transgenderismo sono un simile esempio), e mostrasse come ciò rappresenta il fallimento ultimo della vita, inteso come sistema biologico atto a riprodursi e sopravvivere, sarebbe da considerare anch’egli penalmente un criminale?

Prendiamo un altro esempio per capire le ramificazioni di questo problema. Musulmani, Ebrei e Cristiani credono cose simili in alcuni punti ma anche profondamente diverse in altri tale da considerare in alcuni casi il prossimo come persona fondamentalmente immorale almeno in alcune delle sue azioni e credenze. 

Anni di spargimenti di sangue sono derivati dal non sapere come gestire queste differenze nel momento dell’incontro e del confronto ma dopo errori, tentativi, e sacrifici si è arrivato ad una sorta di equilibrio tramite la distinzione (comunque già presente nei testi sacri, precisiamolo) fra ciò che costituisce un peccato e ciò che costituisce un reato. 

Questo ha portato milioni di Musulmani, Ebrei, e Cristiani a condividere pasti, amicizie, affetti, e più apprezzando il prossimo e rispettosamente criticando le divergenze spirituali un po’ come un gruppo di scienziati che credono in diverse teorie. Possono incontrarsi al ristorante ma ognuno penserà che l’altro sia in grosso errore.  

Il DDL Zan, cade in almeno due fallacie (e potenzialmente di più). La prima è la fallacia della domanda sovraccarica (o plurium interrogationum). Se chiedessi ad una persona quanti panini ha mangiato, presuppongo che la persona abbia mangiato panini come dato di fatto e passo, senza scrutinio, alla domanda seguente e cioè quanti siano stati questi fantomatici panini. 

Il DDL parla di discriminazione di genere, presupponendo che l’idea stessa di genere sia stata definita in termini chiari e che la questione ora sia come vietare la discriminazione. La definizione molto dubbiosa di genere che abbiamo visto sopra non solo è errata (o almeno imprecisa) secondo la filosofia gender, essa è fondamentalmente errata dal punto di vista epistemico. Per quale motivo il DDL limita le aspettative sociali in merito al genere connettendole specificamente al sesso? Non è questo discriminatorio nei confronti degli aderenti al movimento LGBTQI+ che vogliono separare l’idea di sesso con quello di genere in modo netto? Non è raro sentire parlare ad esempio di innumerevoli generi fra gli LGBTQI+, tanti quante sono le diverse aspettative sociali dell’individuo. Cosa rende la categoria biologica sesso così speciale rispetto a quella della specie? 

La seconda fallacia è quella della contraddizione. Un esempio emblematico è quello dell’orwelliano “bispensiero”. In ‘1984’, Orwell descrive con questo neologismo la strategia di indottrinamento con la quale il Partito propone come veritiere due credenze opposte sostenendo un’idea ed il suo contrario per non trovarsi mai al di fuori della norma e sempre nel giusto. In una simile nota, il DDL Zan afferma di voler contrastare le discriminazioni facendo anche riferimento ad altre categorie come quella religiosa, etnica, ecc. ma allo stesso tempo ponendo le basi per una discriminazione indiretta contro chi non è d’accordo proprio a partire da una visione religiosa. 

Inoltre, il DDL sembra definire in modo contraddittorio, almeno in pratica, la libertà di pensiero riconoscendola nell’articolo 4 ma rendendola nebbiosa e quasi annullata nel resto del testo.

Conclusione

Il DDL presenta delle criticità che sembrano mostrare un bisogno di promozione ideologica nell’approvazione di questa legge più che un reale problema di tutela dei cittadini. In un’era politica in cui l’offerta sociale ed economica manca di differenze, esclusività e reali soluzioni, la tentazione di ottenere consenso usando ideologie c’è ed è reale. 

Se dal punto di vista legale le critiche mosse possono essere ancor più dettagliate di quelle esposte qui, sicuramente quelle di carattere filosofico e di pensiero critico fanno arricciare il naso. Questo è in parte attribuibile alla mancanza del dibattito che ha caratterizzato la discussione sul genderismo, oltre che alla mancanza di una riflessione seria sulle tensione, le relazioni, e le differenze con i diritti e le posizioni di una maggioranza della cittadinanza che non si identifica con la comunità che il DDL vorrebbe tutelare. 

Come tutte le ideologie, quelle che caratterizzano il genderismo hanno delle premesse ed essere possono essere veritiere e dimostrabili, o false e frutto di un esercizio intellettuale senza basi e contradditorio. La conclusione sulla validità di queste premesse deve essere ancora definita nell’arena pubblica del dibattito e del confronto e se c’è un elemento positivo del DDL Zan è che questo forse inizierà. Che l’onore di questo impeto democratico partirà dall’Italia? Solo il tempo lo dirà.