A Sheikh Jarrah un’altra Nakba, famiglie palestinesi espulse dalle loro case

Da giorni la tensione a Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme, è altissima. Proteste, repressione violenta, giovani picchiati e arrestati dalle forze militari israeliane, scontri tra coloni e palestinesi.

Sheikh Jarrah è a due km dalla città vecchia di Gerusalemme in cui si sta replicando la storia. A pochi giorni dalla commemorazione della Nakba, eccone un’altra. Sheikh Jarrah come Haifa, Yafa, Akka nel maggio del 1948. 

Le origini

Tutto comincia il 16 febbraio del 2021. La corte distrettuale di Gerusalemme prende una decisione precisa e folle: sei famiglie palestinesi, i Kurd, i Jaouini, i Qaasem e gli Skafi, residenti a Sheikh Jarrah saranno espulse dalle proprie case dove vivono da 70 anni. Nell’assurdità della decisione, la corte dà loro tempo fino al 2 maggio. Entro quella data, 40 persone (di cui 10 bambini) devono abbandonare le loro case a favore dell’ingresso di coloni israeliani. E non sono i primi. Dal 2002, sono 43 le famiglie di Sheikh Jarrah che sono state espulse dalle proprie case.

Ma perché questa rivendicazione dei coloni su Sheikh Jarrah? 

Torniamo indietro nel tempo. Siamo nel 1956, 28 famiglie di profughi palestinesi, sfollati dalle città di Haifa e Yafa otto anni prima, si stabiliscono nell’area di Karm al-Jaouni a Sheikh Jarrah. Dopo la Nakba del 48, Cisgiordania e Gaza erano sotto il mandato della Giordania. E quest’ultima, aveva raggiunto un accordo con l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNRWA) per costruire unità abitative per queste famiglie. L’accordo prevedeva che le famiglie rinunciassero al loro status di rifugiato in cambio di atti fondiari firmati a loro nome dopo tre anni di residenza nella zona. Quando nel 1967, la Giordania perde il suo mandato e Gerusalemme Est viene occupata, la questione “Sheikh Jarrah” resta irrisolta. La comunità ebraica afferma che quelle case sono state costruite sui terreni dei loro discendenti (persi nella guerra del ’48) e ne reclamano il possesso. Dall’altro lato, le famiglie palestinesi coinvolte forniscono prove sull’acquisizione delle proprie abitazioni da parte delle autorità giordane che controllavano Gerusalemme Est dal 1948 al 1967. 

Inoltre, una legge israeliana, approvata dopo il 1967 garantisce la legittimità di questa folle rivendicazione. Questa legge permette, infatti, ai discendenti degli ebrei residenti in città prima della Nakba, di reclamare proprietà nella zona est. Una politica di colonizzazione e pulizia etnica a tutti gli effetti. Difatti, lo stesso non vale per i palestinesi: quelli espropriati delle proprie case a Gerusalemme Ovest e nel resto di Israele nel ’48, sono stati privati del diritto di rivendicare le loro proprietà immobili e terriere dalla “Legge degli assenti” del 1950. 

Torniamo all’oggi.

Dopo il 16 Febbraio 2021 le giornate e i mesi si susseguono velocemente. Marzo, aprile e poi maggio. Arriva la data ultima, il 2 maggio. Le famiglie palestinesi sono ancora lì, radicate nelle proprie case, a testa alta, senza la minima intenzione di lasciare le mura in cui è custodita la loro vita. 

Davanti alle loro proprietà si raccolgono i coloni ai quali è stata fatta la disumana promessa e viene eretto un vero e proprio assedio. Le famiglie coinvolte promettono che resisteranno e si appellano alla corte suprema israeliana per presentare dati sul caso e confermare la loro proprietà sulle terre e sulle case. La corte, in risposta, chiede alle due parti, coloni e palestinesi di raggiungere un accordo entro giovedì 6 maggio. 

6 maggio: non viene raggiunto alcun compromesso. Lo notifica alla corte suprema Sami Irsheid, avvocato delle famiglie di Sheikh Jarrah. D’altronde i coloni cantano slogan come “morte agli arabi” e attaccano i giovani palestinesi e le loro case. Impossibile raggiungere qualsiasi tipo di accordo. Sono violenti, inarrestabili. Gli abitanti del quartiere e del resto di Gerusalemme accorrono nella zona. In solidarietà alle famiglie protestano pacificamente e alzano cori di resistenza. I cordoni della polizia, di cui molti a cavallo, li respingono con granate stordenti, gas lacrimogeni, proiettili veri e proiettili rivestiti di gomma e la famosa “skunk water”, acqua chimica dall’odore insopportabile. 

Dal 2 maggio, Sheikh Jarrah non conosce pace. Ieri, 6 maggio, si attendeva la decisione della Corte suprema israeliana ma l’udienza è stata rinviata a lunedì 10 maggio, giornata che coinciderà con le celebrazioni israeliane del Jerusalem Day, ovvero l’occupazione della città nel 1967. Giornata che si prospetta quindi molto calda. Fino a quel giorno, il teatrino delle violenze dei coloni protetti dai militari non finirà.

La famiglia al-Kurd, una di quelle minacciate di espulsione, ha denunciato, ieri notte, l’irruzione della polizia nella loro casa con pestaggi con i manganelli e arresti.

A “supervisionare” i coloni c’era il parlamentare kahanista Itamar Ben-Gvir, a capo del gruppo razzista e di estrema destra. Quest’anno per la prima volta è riuscito ad entrare alla Knesset israeliana, dopo che era stato messo, per anni, al bando. Ben-Gvir ha spostato il suo ufficio a Sheikh Jarrah, e questo dimostra l’enorme attenzione che l’estrema destra israeliana dà a battaglie per la terra e le proprietà come quella in corso.

Dalla mattina di ieri, la situazione è ancora più tesa. In arrivo a Gerusalemme migliaia di fedeli musulmani per la tradizionale preghiera del venerdì e la polizia israeliana ha già transennato la città vecchia e incrementato la presenza per le vie del centro storico con uomini e blocchi stradali. 

Di fronte a questa situazione, emblema dell’occupazione illegale della città e della Cisgiordania, parla l’Autorità nazionale palestinese. Il ministro degli esteri Riyad al-Maliki ha inviato una lettera alla Corte penale internazionale. Nella lettera, chiede all’Aia di “prendere una posizione chiara e pubblica contro i crimini perpetrati da Israele contro i palestinesi di Sheikh Jarrah”. 

Di recente, la stessa Corte ha deciso di aprire un’inchiesta sulle violazioni dei diritti umani e crimini di guerra commessi dallo stato sionista nei Territori Occupati dal 2014 in poi. 

Nell’attesa dunque di una risposta da parte della Corte penale internazionale e dell’udienza della corte suprema israeliana del 10 maggio, Sheikh Jarrah continuerà a protestare e a resistere. E di conseguenza, continuerà la violenza perpetrata sui palestinesi. Secondo la Mezzaluna Rossa Palestinese, nella notte tra il 5 e il 6 maggio, circa 22 palestinesi sono rimasti feriti, mentre altri 11 sono stati arrestati.

Ma se questo è il prezzo da pagare per proteggere le proprie vite, le proprie famiglie, le proprie case e la propria dignità, chi non lo pagherebbe?