Negli Emirati ergastolo per chi critica la normalizzazione con Israele

Hamad al-Shamsi è il vicepresidente dell’Unione di resistenza degli Emirati Arabi Uniti contro la normalizzazione e il direttore esecutivo dell’Emirates Detainees Advocacy Center (EDAC).

Poche settimane dopo che gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato la normalizzazione delle relazioni con Israele lo scorso agosto, hanno abrogato una legge in vigore dal 1972: la legge federale n. 15, nota come legge sul boicottaggio israeliano. Essa impediva ai cittadini e alle società degli Emirati di stabilire qualsiasi legame economico o commerciale aziende israeliane. 

L’accordo di normalizzazione e l’abrogazione del boicottaggio economico hanno subito aperto la strada all’arrivo del primo volo commerciale diretto di passeggeri da Israele agli Emirati Arabi Uniti, il 31 agosto, con un jet El Al che trasportava una delegazione di israeliani e funzionari americani.

Le autorità degli Emirati hanno poi accelerato per promuovere la normalizzazione con Israele, nonostante il silenzio pubblico all’interno degli stessi Emirati Arabi Uniti

Era chiaro che la maggioranza della popolazione avrebbe espresso un rifiuto o una critica ai cosiddetti accordi di Abramo.

Questa debole reazione in patria alla normalizzazione degli Emirati Arabi Uniti con Israele è stato un segno del successo del governo degli Emirati nel creare una cultura della paura tra la sua gente e nel mettere a tacere qualsiasi opposizione. La politica di instillare paura e mettere il dissenso non è nuova per gli EAU. È iniziato un decennio fa, quando le autorità emiratine hanno lanciato un’ampia campagna di arresti contro attivisti per i diritti umani e accademici che avevano firmato una petizione che chiedeva riforme politiche.

Quel giro di vite ha portato alla chiusura di enti di beneficenza e associazioni che sostengono la riforma, poi si estese anche al Comitato nazionale degli Emirati contro la normalizzazione, che era stato istituito nel 2001. Il comitato si opponeva a qualsiasi forma di normalizzazione con Israele, nel commercio, nella cultura o lo sport, poiché stavano emergendo legami informali. Ad esempio, nel 2005, Mohammed al-Abbar, fondatore e presidente del colosso immobiliare Emaar Properties con sede a Dubai, ha visitato brevemente Gerusalemme durante un viaggio a Ramallah e ha incontrato l’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon e altri funzionari. Secondo quanto riferito, Al-Abbar ha discusso un’offerta di acquistare migliaia di insediamenti ebraici a Gaza che presto sarebbero stati evacuati, mentre Israele si preparava a ritirare i suoi coloni dal territorio nello stesso anno.

Nel marzo 2012, le autorità degli Emirati hanno contattato il presidente del comitato contro la normalizzazione, Ali al-Debani, chiedendogli di interrompere le sue attività e chiudere la sua sede, anche se all’epoca era ancora in vigore la legge sul boicottaggio israeliano degli Emirati Arabi Uniti. Il comitato, con sede a Sharjah, contava circa 350 membri.

Novantaquattro importanti dissidenti e attivisti degli Emirati sono stati accusati di “crimini contro la sicurezza nazionale” e processati nel 2013. Il gruppo divenne noto come Emirati Arabi Uniti 94. Quattro di loro – gli avvocati per i diritti umani Mohammed al-Rukn e Mohammed al-Mansouri e gli attivisti della società civile Hamad Raqit e Mansour al-Ahmadi – erano anche membri del Comitato nazionale degli Emirati contro la normalizzazione. Con il loro arresto, le attività del comitato sono state di fatto sospese.

Le autorità degli Emirati hanno successivamente lanciato una campagna non dichiarata contro decine di attivisti giordani e palestinesi negli Emirati Arabi Uniti che hanno espresso il loro sostegno ai palestinesi, deportandone molti dopo diversi mesi di detenzione. Il giornalista giordano Tayseer al-Najjar, che lavorava ad Abu Dhabi, era uno di quei detenuti. È stato condannato a cinque anni di carcere negli Emirati Arabi Uniti nel 2016 per “offesa ai simboli dello stato” – a causa di un post su Facebook scritto nel 2014, durante la guerra di Israele a Gaza, in cui aveva criticato gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, insieme a Israele, per il blocco della Striscia ed esprimendo sostegno alla “resistenza di Gaza”.

Nel caso di Najjar e di altri, le autorità degli Emirati hanno utilizzato le nuove leggi nuove che sanzionano il dissenso. Najjar è stato accusato in base a una legge sul crimine informatico del 2012 che colpiva la pubblicazione online di qualsiasi cosa ritenuta mostrare un “intento di fare sarcasmo o danneggiare la reputazione, il prestigio o la personalità dello Stato o di una qualsiasi delle sue istituzioni”. Tutte queste leggi sono caratterizzate da un linguaggio molto ampio, termini vaghi e sanzioni severe.

Ad esempio la modifica del 2016 all’articolo 166 del al codice penale ora recita: “Chiunque commette intenzionalmente qualsiasi atto contro un Paese straniero che possa pregiudicare i rapporti politici o esporre cittadini, dipendenti, beni o interessi dello Stato sotto minaccia di rappresaglia, è condannato all’ergastolo». 

Con l’accordo di normalizzazione degli Emirati Arabi Uniti con Israele chiunque negli Emirati  critica Israele, forse anche strappando simbolicamente l’immagine di Benjamin Netanyahu, potrebbe essere condannato  all’ergastolo.

 

Articolo di Hamad al-Shamsi*, versione originale: How the UAE Is Suppressing Criticism of Its Normalization With Israel

*Vice-presidente dell’Unione emiratina contro la normalizzazione con Israele e Direttore del centro di supporto ai detenuti politici negli Emirati.