I musulmani in politica non rinneghino se stessi

Spesso accade, nell’occasione di una nuova tornata elettorale, che la comunità – o meglio la sua parte più reattiva – si interroghi su quale potrebbe o dovrebbe essere il ruolo dei musulmani in politica. Eppure 1400 anni di storia ci hanno insegnato in modo inoppugnabile come non ci sia nulla di peggio che lasciare la politica in mano ad ipocriti ed approfittatori. 

Gli ultimi trent’anni di storia della comunità islamica italiana ci hanno anche mostrato quanto grande sia il pericolo rappresentato da ogni progetto di (dis)integrazione. Troppo spesso esponenti della comunità hanno voluto esporsi e mettersi sotto i riflettori, accettando pesanti compromessi e rinnegando la propria identità e talvolta incompatibilità con un sistema politico clientelare e ingannatore.

Se vogliamo davvero avere un ruolo in politica lo dobbiamo avere a testa alta, animati da un’intelligente politica di alleanze ma ponendo nostre chiare condizioni. E, non da ultimo, con un retroterra organizzativo concreto. Lo sta facendo, per la prima volta Francesco Tieri a Roma, giunto ad un ottimo terzo posto nelle primarie e che potrebbe presentarsi anche alle prossime elezioni locali, forte di un notevole sostegno da parte di migliaia di musulmani italiani. Estraneo al ricatto “integrazione ad ogni costo” il nostro fratello pone istanze concrete a Roma, come la questione delle moschee, e più in generale del diritto di culto già parzialmente strappato con la mobilitazione e non con le suppliche ai politici.

Si tratta di un’azione politica legata strettamente al territorio e al mondo del lavoro e che ha già saputo esprimere una distanza netta rispetto alla sinistra fucsia e globalista. Non è, infatti, accettabile per un credente farsi ingabbiare entro ideologie estranee all’ordine divino e contrarie alla creazione, quali il “gender”, l’aborto o l’eutanasia. Laddove appaia irrealistico o prematuro proporre un modello del tutto alternativo occorre quantomeno fare una politica di riduzione del danno, mettendo in atto – ad esempio – il boicottaggio attivo oppure politiche nataliste e contrarie all’omosessualismo.

Inoltre va tenuto conto che un credente potrebbe trovarsi in seria difficoltà nella gestione di un incarico a livello locale, laddove spesso e malvolentieri si incontrano sistemi di corruzione, disonestà, fino a interessi di stampo mafioso molto difficili da sradicare. Al di là dei candidi principi dichiarati dai politici di tutti gli schieramenti, si pensi al recente scandalo di Mafia Capitale, ma pure agli interessi speculatavi legati alla gestione di anziani delle RSA, agli orfani profughi, ai migranti, ai nomadi. Si pensi alla perversa strumentalizzazione del potere che ha generato orrori come la comunità Il Forteto in Toscana o la filiera psichiatrica di Bibbbiano. 

Si deve ragionare su come sia possibile restare estranei a tutto il marciume che impera ma nello stesso tempo operare una politica coerente con i nostri principi, incisiva e di vantaggio per tutta la società. Una politica alta di valori e non di chiacchiere, che conduca ad alcuni risultati concreti. 

Se così è vale davvero la pena di provarci, altrimenti sarebbe meglio pensare ad uno splendido isolamento per quanto ciò possa essere il riflesso di un atteggiamento rinunciatario o disfattista. 

Siamo stati testimoni negli ultimi trent’anni di non poche rapide ascese e subitanee cadute di presunti leader musulmani, che alla fine si sono rivelati parti passive di un disegno opportunista e a dir poco inadeguati a rappresentare gli interessi della comunità. Quelle poche persone davvero capaci sono state escluse, perseguitate, financo incarcerate perché non hanno chinato la testa.

Tutto ciò da parte di Stati formalmente democratici, come nei recentissimi casi del Prof. Tariq Ramadan o del fratello Idris Sihamedi in Francia. Ma basta guardare ad altre realtà nella “civilissima” Europa, come in Austria, per comprendere quanto la necessità di un contributo alla vita politica da parte dei musulmani europei sia una necessità impellente.