Elon Musk, Twitter e la libertà di parola illimitata

Il fatto: Elon Musk acquista Twitter. La notizia: il nuovo genio dell’imprenditoria mondiale sposa il più potente generatore di opinione pubblica e politica. Le opinioni diventano notizie: l’azienda si fa al contempo oggetto e soggetto, veicola commenti, dubbi, speranze e timori sull’acquisto di se stessa. Così i cinguettii si moltiplicano intorno a una domanda di fondo: cosa c’è dietro questa scelta?

Si tratta forse del naturale matrimonio tra un’azienda in ascesa e un uomo dalla ricchezza in costante aumento? Vecchio senso di potere. Perché diventare proprietario di un social, di cui si è già il primo e più influente utilizzatore? Tipico disturbo della personalità. Sarà un’immagine del futuro, tutto concentrato nell’elettrico, nello spazio e nella comunicazione? L’autentico percorso di un vero cannibale d’aria, di un navigante della verità, di un maestro d’energia.

Intorno al vortice dei perché c’è un’unica certezza: le comunicazioni via twitter sono destinate ad aumentare, quindi sono un affare. Infatti, accanto ai cinguettii nasceranno muggiti, grugniti e squittii di nuove piattaforme comunicative, capaci di rispondere all’unico, reale bisogno contemporaneo: connettersi e mostrarsi, ovvero partecipare alla titanica costruzione dell’opinione pubblica da parte di uomini pubblici intenti a mostrare faccende private, e di privati, solitari cittadini, finalmente liberi di sentirsi dei veri uomini pubblici.  

Poi l’imprenditore di genio si prende una pausa e afferma di sospendere l’acquisto. Anche in questo caso la vera ragione oscilla tra due poli: scaltra voglia di contrattare sul prezzo o rigorosa esigenza d’assecondare un’etica personale? La dichiarazione ufficiale recita: l’acquisto di twitter è sospeso per la necessaria verifica di falsi account e dei bot, che potrebbero essere il venti per cento dell’insieme delle comunicazioni. Purtroppo i bot non sono i nostrani titoli di stato, ma i social bot – niente di più che un diminutivo di robot – ovvero dei programmi automatizzati, che simulano profili di utenti umani per diffondere commenti, trasformarli in notizie e influenzare in maniera determinante l’opinione pubblica.

In pratica, tutti i principali social sono invasi da account falsi o automaticamente generati, capaci di orientare il flusso d’informazioni verso personaggi e temi specifici, influendo tra l’altro sull’esito di elezioni e referendum. Inoltre tali bot sono creati e gestiti da altre aziende, dei parassiti attaccati ai principali social, che guadagnano e prosperano impunemente. Intanto gli Stati sono impotenti, non riescono a legiferare e ad imporre limiti, lasciando il potere censorio tra le mani delle stesse aziende di comunicazione. Sono Facebook, Instagram, Twitter e compagni a discriminare arbitrariamente tra lecito ed illecito. 

Si svela così il paradosso della censura. Un tempo censurare era castrare, un sinonimo di soffocamento, di un taglio verticale, operato dall’ideologia al potere (politica, religiosa, culturale…). La censura era perciò il grande nemico dei progressisti, tendenzialmente a sinistra, cioè gli stessi che oggi la invocano come unico alleato possibile, per garantire una matura (e sempre arbitraria) circolazione delle informazioni, basata sui valori del politicamente corretto.

È qui che finalmente irrompe Musk, che si erge a paladino della libertà di parola e della lotta contro ogni tipo di censura; dichiara guerra alle false opinioni (i bot) per difendere la vera opinione degli utenti (con buona pace dei greci, della doxa e dell’intera filosofia). È questo lo slogan, l’essenza del suo manifesto d’acquisto, che fa sognare a destra e preoccupa a sinistra: ma non è che sotto sotto sta dalla parte di Trump, dei complottisti e dei negazionisti? È la domanda ad esser sbagliata perché Elon Musk non sta proprio da nessuna parte, in nessun luogo.

Dietro questa scelta imprenditoriale c’è un movimento, non una sostanza. È il movimento di un’illimitata libertà (di parola), così incondizionata da rischiare di diventare la peggiore delle schiavitù, cioè il regno assoluto dell’opinione in cui diviene impossibile discernere il falso dal vero. Una totale libertà di parola può facilmente evolvere in una libertà totalitaria, cioè una spirale chiusa d’informazioni costanti, mantenute in vita dal loro stesso movimento.

Il risultato è un mondo in cui fatti sono sempre più determinati dalle notizie, che a loro volta sono rette dalle opinioni, che in sé non sono né false, né vere, allora la libertà rischia di coincidere con vanità, nel duplice senso di narcisismo e inutilità. E così Musk, da paladino della libertà, è promosso profeta della liquidità.

Il profeta forse salverà il suo popolo da ogni censura, ma ne sarà valsa la pena? Si tratta pur sempre di un popolo, capace di esser influenzato da messaggi partoriti nel ventre di un elaboratore e diffusi da un algoritmo. Certo, la propaganda ha da sempre reso docile la massa di governati…ma la vecchia metafora del popolo gregge va aggiornata perché tra noi ci sono anche molte pecore Dolly, delle clonazioni digitali, capaci ormai di muoversi autonomamente.