Gianluca Vacchi e la schiavitù del divertimento  

Non riuscite più a capire questo mondo? Non leggete i libri, raccontiamo le immagini, là dove risplendono gli eroi di questo tempo: i disincarnati dei dell’istante, capaci di mantenersi in vita seminando video, frammenti, tracce che, messe insieme, non fanno una scia. Davanti a tutti, leggero scivola Gianluca Vacchi.

Il re della gioia balla, salta, guida, gioca, rimbalza, gesticola, tonifica la vita per prestare il fianco al movimento e noi siamo fermi. Il re della gioia appare sullo schermo ed è impossibile restare indifferenti. Lo stupore si muove, a tratti si commuove, prima che spunti la solita domanda: ma come fa ad avere successo? Cerchi un motivo, in compagnia nascono conversazioni, perfino dibattiti ma bisogna avere soltanto pazienza e immergersi nei suoi filmati, fino a cadere in uno stato ipnotico.

Allora ti perderai in quel sorriso talmente vuoto da esser puro, nel prato brizzolato della barba e dei capelli sfumati come in disegno. Guarderai e ti smarrirai tra quei vestiti da eterno trentenne e, più d’ogni altra cosa, in quel movimento elastico, sinuoso delle gambe che si snodano come se il tempo, la corruzione e il male non esistessero. Sarà il testosterone o qualche segreto elisir d’eterna infanzia, ma d’un colpo capisci che qualunque domanda è fuori luogo.

Perché piace? Cosa ci trova la gente? Ma in che mondo siamo finiti? Domande partorite dalla vecchia logica del mondo moderno. Un’inutile questione morale mentre Vacchi è già nel futuro, nell’empireo della postmodernità.

E lui proprio da quel vecchio mondo è scappato. Fino a pochi anni fa era uno tra i tanti personaggi secondari e privilegiati della modernità. Figlio di un facoltoso industriale, fratello meno capace di chi era stato già designato come erede. Cresciuto in giacca e cravatta, schiacciato da consigli di amministrazione, da operazioni matematiche, dalla logica del fatturato. Che pesantezza quel mondo così lineare! Che responsabile tristezza quel matrimonio tra produzione e ricchezza! E allora l’intuizione arriva come una folgorazione: basta mettere tra sé e gli altri una telecamera per creare la gioia, possederla e poi rivenderla. Il futuro è fatto per le cose leggere, aeree, incontaminate.

Se sono a capo di un’importante azienda, la gente m’invidia, al massimo mi odia, se invece mi rappresento come padrone della mia vita, vissuta come un infinito scherzo senza senso, gli altri vedranno in me la possibilità, che è da sempre la cosa che si vende meglio. E già, i perdenti vivono di lavoro e possibilità. E poi anche il cinema è diventato ormai una fabbrica d’incubi, buoni a creare la colpa o la paura.

Perché non creare una nuova fabbrica di sogni?

Il meccanismo è semplice. Girare un video dietro l’altro, in cui ballare, fare scherzi, viaggiare su barche di lusso… In poche parole, divertirsi per divertire, rispettando però una ferrea periodicità, perché il divertimento purtroppo scade presto. E la cosa funziona perché quelle scene da una quotidiana frivolezza non sono semplici provocazioni o simboli di potere, come i video dei rapper, poi diventati trapper. No, non c’è niente di politico e nemmeno di politicamente scorretto in Vacchi, perché lui è l’incarnazione perfetta del non senso.   

Nonostante ciò, la morale del vecchio mondo continua a darsi da fare, a girargli intorno e alla fine riesce a catturarlo in uno scandalo: la nuova schiavitù del signor Vacchi. Infatti il nostro eroe non ama la solitudine e nei video si lascia accompagnare dalla consueta parata di belle ragazze, ma anche dai suoi camerieri. Un vero tocco d’originalità, la sua servitù filippina: i camerieri ballano, ridono, si divertono per inneggiare alla legittima felicità universale, che non conosce caste né classi.

Peccato però che dietro ci sia un duro allenamento, fatto di rimproveri e minacce. D’altronde che volete… l’uomo è da sempre schiavo della felicità. Ed eccola la nuova schiavitù, basata sull’estetica del divertimento. Si dimentica però che in fondo la vera schiavitù è quella dei milioni di utenti che stanno dall’altra parte della telecamera, realizzando così l’etica del divertimento. Un principio assimilato con naturalezza da chi ha scelto di godersela e di ribattezzarsi Mister Enjoy. Mai nome fu più adatto!

Sentite il suono aereo di chi non ha pretese di durare, dichiarando con fierezza la sua essenza effimera, la natura stessa del marchio. Mister Enjoy: colui che riesce a godere del divertimento in maniera così assoluta da trasformarlo in pura gioia. Pensate a un Mister Divertimento, schiacciato da una costante lotta contro la noia, oppure al Signor Godimento, così ancorato ai limitati piaceri offerti dai sensi terreni.

Per non parlare del Signor Gioia, grigio e pretenzioso come un impiegato fantozziano. Mister Enjoy invece non ha altre patrie all’infuori del presente, perché abita il nulla. Che è fatto di parole straniere e intercambiabili come i titoli spagnoli di una canzone o del documentario, che in italiano sarebbe stato molto di più, in pratica il titolo di un capolavoro di Jimmy Fontana o tutt’al più di Ramazzotti. Invece mucho mas, Vacchi! Come un buon cocktail alla moda in una spiaggia estiva o come la scritta su magliette da mettere in commercio sul mercato dei tardoni.  

E se qualcuno insiste a chiedere: ma che ne pensi di Gianluca Vacchi? Ricordati di Orson Welles e della sua risposta a chi gli chiedeva del cinema di Fellini: Egli danza!