La depressione una questione di chimica? Il solito limite della scienza

L’idea che la depressione risulti da anomalie nelle sostanze chimiche cerebrali, nello specifico della serotonina, è stata una idea sostenuta per decenni ed ha fornito una importante giustificazione per l’uso degli antidepressivi. Una relazione tra bassi livelli di serotonina cerebrale e depressione è stata per la prima volta proposta negli anni sessanta del secolo scorso e successivamente ampiamente pubblicizzata dagli anni novanta con l’avvento dei farmaci antidepressivi SSRI (Farmaci Inibitori Selettivi del Reuptake della Serotonina). Sebbene sia stata recentemente messa in discussione, la teoria della relazione tra serotonina e depressione è ancora in voga, ancora supportata dai principali libri di testo in lingua inglese, approvata dai principali ricercatori, e molte ricerche empiriche si basano ancora su questo assunto. I sondaggi dicono che 80% e più della popolazione generale crede oramai sia stato stabilito che la depressione dia causata in uno squilibrio chimico cerebrale. Anche molti medici generici sostengono questo punto di vista e siti Web popolari citano comunemente questa teoria.”

Queste parole sono citate testualmente dal recente lavoro di revisione della letteratura sull’argomento comparso sulla rivista “Molecular Psychiatry”. 

Gli autori continuano: “Generalmente si crede che l’effetto degli antidepressivi dimostrano che la depressione debba essere causata almeno in parte da una anormalità chimica cerebrale e che l’apparente efficacia degli SSRI mostrino come in questo meccanismo sia coinvolta la serotonina. Sono state avanzate altre spiegazioni per l’effetto degli antidepressivi come l’idea che essi agiscano tramite effetto placebo o attraverso la loro capacità di limitare o attenuare le emozioni in generale.”

Inutile dire che questo autorevole studio conclude dimostrando come le attuali evidenze scientifiche non supportino affatto la teoria che ci sia uno squilibrio biochimico alla base della depressione, stravolgendo di fatto le attuali teorie e lasciando un vulnus difficilmente colmabile nei presupposti dell’uso dei farmaci per il trattamento della depressione. A questo proposito gli autori aggiungono: “L’idea che la depressione sia il risultato di uno squilibrio biochimico influenza le decisioni riguardo a se prendere o continuare le terapia antidepressive e potrebbero scoraggiare le persone ad interrompere il trattamento, conducendo potenzialmente ad una dipendenza a vita da questi farmaci.”  

Ancora una volta ci si può facilmente rendere conto come la medicina moderna sia un castello di carte, le cui fragili fondamenta sono costituite da delle ipotesi che cambiano inesorabilmente con il tempo. Ad esempio nel Rinascimento era in auge la teoria degli umori e l’uso diffuso del salasso, nessuno credo ne abbia mai dovuto rendere conto. 

Ancora oggi la tanto venerata scienza mostra la sua vera natura e con essa i propri limiti, ovvero mostra come essa, ad accezione d pochi casi, non sia affatto basata su robusti presupposti ma più spesso si riduce nella pratica ad un sofisticato empirismo. La concezione dominante fregia impropriamente le proprie credenze del titolo di conoscenza solo perché accettate come vere, in modo cieco, dai più, i quali non possono proprio credere che nell’epoca degli nella TC total body e dei figli in provetta in realtà si sappia così poco di come funzioni l’uomo e nello specifico le sue problematiche psicoemotive.

Ancora una volta nessuno o pochi si renderanno conto di questo ridicolo stato di cose solo perché i prodigi della tecnica offuscano la mancanza di un reale progresso del pensiero. Viene da chiedersi ad oggi quale sia la base scientifica delle terapie antidepressive che vengono somministrate a milioni di persone nel mondo, in altre parole quale è la differenza oggi tra lo psichiatra che prescrive SSRI e l’agopuntore o l’omeopata ad esempio.

La risposta è che la differenza è nessuna, se non che l’agopuntura è l’omeopatia, a differenza delle terapie farmacologiche psichiatriche, sono coerenti con se stesse da centinaia di anni, e non hanno l’abitudine tipica della medicina allopatica ufficiale, di nascondere i propri insuccessi dietro la dicitura “effetti collaterali”.