A due anni dal raid i musulmani austriaci continuano ad essere criminalizzati

Nell’ambito della guerra dello Stato all’Islam politico, l’Operazione Luxor del 2020 ha preso di mira decine di individui e organizzazioni.

Più di due anni fa, l’Operazione Luxor, la più grande retata della polizia nell’Austria del dopoguerra, mirava ad “eliminare alla radice l’Islam politico“, secondo quanto dichiarato da Karl Nehammer, allora ministro degli Interni e ora cancelliere del Paese.

Il cosiddetto Islam politico è stato uno dei principali concetti che l’ex cancelliere conservatore Sebastian Kurz ha usato per criminalizzare l’Islam e la società civile musulmana. Le moschee sono state chiuse illegalmente e poi riaperte, ed è stato istituito il divieto di indossare l’hijab poi revocato, il tutto basandosi su slogan che inneggiavano alla lotta contro il cosiddetto Islam politico.

Il raid del novembre 2020 è stato preceduto da un’indagine durata almeno un anno e mezzo. Circa 70 abitazioni di cittadini musulmani sono state brutalmente perquisite da oltre 900 poliziotti e forze speciali, sulla base del fatto che lo Stato sospettava che gli imputati fossero terroristi e nemici dell’Austria. I familiari e i bambini ne sono rimasti traumatizzati. 

La perquisizione ha preso di mira decine di individui, associazioni, imprese e fondazioni. Sono stati congelati beni e conti bancari per un totale di oltre 20 milioni di euro, mentre le intercettazioni telefoniche sono costate alle autorità austriache più di mezzo milione di euro. 

In Austria vige un sistema di sorveglianza dei musulmani

Ma qual è stato il risultato? Zero arresti e zero condanne. Un tribunale austriaco ha stabilito che nove persone che avevano fatto ricorso contro le perquisizioni avevano ragione e che il raid era illegale. I procedimenti contro 25 imputati sono stati archiviati. Le intercettazioni telefoniche sono state giudicate illegali. Coloro che avevano testimoniato contro gli imputati hanno ritirato le loro dichiarazioni o hanno perso nel procedimento civile. In altre parole, l’intera operazione è crollata come un castello di carte.

Sempre più critiche

Tuttavia, almeno 70 imputati continuano a soffrire per le conseguenze dovute alla retata. La maggior parte dei loro conti bancari e dei loro beni sono ancora congelati. Le imprese sono state distrutte economicamente. I bambini sono rimasti traumatizzati. Le persone non hanno potuto continuare a lavorare. 

Pertanto la copertura mediatica su tutto il territorio nazionale è diventata sempre più critica nei confronti di questa operazione, anche se alcune testate filo-governative sono rimaste in silenzio dopo che, a seguito delle perquisizioni, avevano ripetuto incessantemente e stupidamente la propaganda governativa.

E mentre i parlamentari dell’opposizione hanno chiesto maggiori informazioni a proposito delle incongruenze e contraddizioni dell’Operazione Luxor, i ministeri degli Interni e della Giustizia si sono rifiutati di rilasciare qualsiasi commento.

Restano quindi ancora alcune domande fondamentali che attendono delle risposte: cosa ha realmente dato il via alle indagini che hanno portato all’Operazione Luxor? È stato il presunto “terrorismo” in Egitto e in Israele, come suggerito nel mandato di perquisizione? L’Operazione Luxor è stata avviata per conto di servizi segreti stranieri? Sono stati i politici che hanno dato ordine al procuratore di Stato e ai servizi segreti di indagare su determinate persone?

Quando ho chiesto la fine delle indagini nei miei confronti, il tribunale regionale – che aveva inizialmente autorizzato la perquisizione – ha sostenuto che le mie “attività nella preparazione del cosiddetto Rapporto sull’Islamofobia e [la mia] attività con l’Iniziativa Bridge presso l’Università di Georgetown avevano lo scopo di diffondere il termine combattivo di islamofobia con l’obiettivo di impedire qualsiasi impegno critico nei confronti dell’Islam in quanto religione… al fine di stabilire uno Stato islamico”. 

Una sorta di punizione

In altre parole, il mio lavoro di accademico che conduce ricerche sull’islamofobia o sul razzismo anti-islamico è stato interpretato come un atto di terrorismo, cioè come il tentativo di instaurare uno Stato islamico.

Questa sentenza, che ho immediatamente contestato e per la quale sono in attesa di una risposta dalla Corte d’Appello, ha confermato il mio sospetto che l’indagine contro di me in quanto cittadino e accademico antirazzista fosse una sorta di punizione per le mie continue critiche rivolte alla criminalizzazione dell’Islam e dei musulmani da parte del governo austriaco guidato da Kurz.

L’Operazione Luxor ha veicolato un messaggio all’interno della società civile musulmana e agli accademici musulmani. Si è trattato di un messaggio intimidatorio, un avvertimento. A seguito di questo, qualsiasi tipo di organizzazione politica islamica indipendente che protesti contro le ingiustizie in patria e altrove, comporterà azioni repressive – dagli immigrati egiziani di prima generazione che hanno manifestato contro il regime di Sisi, alla critica pubblica delle violazioni dei diritti umani e delle libertà religiose, come si manifesta tuttora nel mio lavoro.

Il sistema giudiziario indipendente si è sempre pronunciato contro questa operazione. Eppure, a due anni dalle perquisizioni, tre quarti degli imputati brancolano ancora nel buio, in attesa che l’indagine completamente priva di fondamenta si fermi.

 Ma i danni sociali e la perdita di interi anni di una vita normale non potranno mai più essere ripagati.

 

Articolo di Farid Hafez, pubblicato su Middle East Eye