La Corte penale internazionale (CPI) ha annunciato, il 21 novembre, l’emissione di mandati di arresto nei confronti del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e del suo ex ministro della difesa, Yoav Gallant. Questa decisione storica riguarda accuse di crimini di guerra commessi nella Striscia di Gaza dall’8 ottobre. I mandati seguono un lungo processo investigativo durato mesi, culminato nella richiesta formale di arresto avanzata dal procuratore capo della Corte nel maggio del 2024.
“La Camera ha emesso mandati di arresto per due individui, il signor Benjamin Netanyahu e il signor Yoav Gallant, per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi almeno dall’8 ottobre 2023 fino ad almeno il 20 maggio 2024, giorno in cui la Procura ha depositato le domande di mandato di arresto”, ha affermato la CPI.
“La Camera preliminare I della Corte penale internazionale, nella sua composizione per la situazione nello Stato di Palestina, ha emesso all’unanimità due decisioni che respingono le contestazioni dello Stato di Israele presentate ai sensi degli articoli 18 e 19 dello Statuto di Roma. Ha inoltre emesso mandati di arresto per il signor Benjamin Netanyahu e il signor Yoav Gallant”, ha affermato la corte nel comunicato stampa.
“La Camera ha trovato ragionevoli motivi per credere che il signor Netanyahu e il signor Gallant abbiano ciascuno la responsabilità penale per i seguenti crimini come co-autori per aver commesso gli atti congiuntamente ad altri: il crimine di guerra della fame come metodo di guerra; e i crimini contro l’umanità di omicidio, persecuzione e altri atti disumani”, ha aggiunto.
Inoltre si legge nel comunicato: “ciascuno ha la responsabilità penale […] per il crimine di guerra di aver diretto intenzionalmente un attacco contro la popolazione civile”.
La Corte Penale Internazionale ha inoltre spiegato che, sebbene la Camera Preliminare avesse inizialmente classificato i mandati come “segreti” per garantire la protezione dei testimoni e salvaguardare la condotta delle indagini, tuttavia si è resa necessaria la loro pubblicazione. Questa decisione è stata motivata dal fatto che “una condotta simile a quella oggetto del mandato di arresto sembra essere ancora in corso” e per consentire alle vittime e alle loro famiglie di essere informate dell’emissione dei mandati.
Il procuratore capo della CPI, Karim Khan, ha chiesto mandati di arresto anche contro i principali leader di Hamas, Ismail Haniyeh, Yahya Sinwar e Mohammed Deif, per sospetti crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Il 2 agosto, il procuratore ha archiviato la richiesta relativa a Ismail Haniyeh “a causa delle mutate circostanze causate dalla morte del signor Haniyeh”, assassinio avvenuto a Teheran il 31 luglio, come dichiarato in precedenza dalla CPI in un comunicato stampa.
Quali sono in sostanza le accuse?
I mandati accusano Netanyahu e Gallant di essere co-autori di crimini di guerra, tra cui l’uso della fame come arma e attacchi intenzionali contro la popolazione civile. Sono inoltre imputati di crimini contro l’umanità, quali omicidio, persecuzione e altri atti disumani, nell’ambito di un attacco sistematico e diffuso contro la popolazione di Gaza. Le accuse evidenziano che i due leader avrebbero “intenzionalmente e consapevolmente” privato la popolazione di Gaza di beni essenziali come cibo, acqua, medicinali, forniture mediche, carburante ed elettricità. La Corte giudica anche che avrebbero ostacolato e condizionato illegalmente l’accesso agli aiuti umanitari destinati alla popolazione sotto assedio.
Inoltre, in una dichiarazione significativa, la Corte, pur non avendo ancora formalizzato accuse di sterminio, ha affermato che Netanyahu e Gallant avrebbero “creato condizioni di vita calcolate per portare alla distruzione di una parte della popolazione civile di Gaza”. Questa formulazione legale, particolarmente rilevante, potrebbe preludere a future accuse di genocidio.
È probabile che ulteriori accuse emergano con il progredire delle indagini. Molti esperti legali e analisti ritengono che un’accusa di genocidio potrebbe essere formalizzata in futuro, man mano che vengono raccolte nuove prove e mentre il caso contro Israele per genocidio prosegue presso la Corte Internazionale di Giustizia presso l’Aia.
E’ altamente improbabile che Netanyahu e Gallant si consegnino spontaneamente alla CPI. Tuttavia, entrambi si trovano ora a vivere in un mondo più ristretto, dove non è loro consentito viaggiare verso o transitare attraverso almeno 124 paesi, inclusi molti loro alleati occidentali, poiché ciascuno degli Stati che sottoscrive lo Statuto di Roma ha l’obbligo di arrestarli e consegnarli alla giustizia.
Marchiati come criminali di guerra e responsabili di crimini contro l’umanità, la loro posizione nel panorama internazionale e nella storia è irrevocabilmente segnata.
Non c’è dubbio che gli Stati Uniti e altri governi contrari alla giurisdizione internazionale interverranno in loro difesa, lanciando minacce e attacchi contro la CPI e tentando di ostacolare il processo di giustizia.
La campagna diffamatoria di Israele e USA contro la Corte Penale Internazionale
Prima della richiesta ufficiale dei mandati di arresto, infatti, è emerso che legislatori statunitensi stavano lavorando a una proposta di legge mirata a colpire la CPI per il suo coinvolgimento nei procedimenti contro il leader israeliano e l’ex ministro. Mike Johnson, presidente repubblicano della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, ha dichiarato, tre giorni dopo l’annuncio dei mandati, che Washington “dovrebbe punire la CPI e rimettere Karim Khan al suo posto”.
Lo stesso Khan ha confermato, a inizio settembre, che diversi leader mondiali avevano esercitato pressioni su di lui per dissuaderlo dal richiedere i mandati di arresto. Inoltre, a maggio, il The Guardian aveva rivelato che Israele aveva condotto una campagna intimidatoria contro la CPI durata anni. Questa campagna, volta a ostacolare le indagini sui crimini di guerra israeliani, includeva pratiche di stalking e minacce rivolte ai funzionari della Corte.
Mentre Israele continuava la sua campagna diffamatoria pubblicamente contro la Corte Penale Internazionale e operava dietro le quinte per ostacolare il processo di giustizia, ha presentato anche contestazioni legali contro la giurisdizione della CPI. Israele ha sostenuto spesso e in diversi modi che la Corte non avesse autorità sulla “situazione in Palestina” né sui cittadini israeliani, in quanto Israele non aveva mai accettato di sottoporsi alla sua giurisdizione. Tuttavia, la CPI ha respinto queste obiezioni a priori, basandosi sulla “giurisdizione territoriale della Palestina”, riconosciuta in virtù dell’accettazione formale della giurisdizione della Corte da parte dello Stato di Palestina.
Israele ha inoltre contestato il fatto di non aver ricevuto notifiche adeguate riguardo al procedimento. Anche questa richiesta è stata rigettata, poiché la notifica ufficiale era già stata trasmessa all’avvio delle indagini.
Lo Statuto di Roma e la giurisdizione della Corte Penale Internazionale
Lo Statuto di Roma è il trattato internazionale che ha istituito la Corte Penale Internazionale, che agisce con il ruolo di organo giurisdizionale con il compito di perseguire i crimini più gravi contro l’intera comunità internazionale, come genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. La CPI opera su tre principi fondamentali: la giurisdizione universale, che le consente di agire indipendentemente dalla nazionalità delle vittime o dei colpevoli e dal territorio in cui i crimini sono stati commessi. La complementarità, che prevede il suo intervento solo quando gli Stati non sono in grado o non vogliono agire, e la responsabilità penale individuale, che esclude ogni forma di immunità per cariche ufficiali.
Il tribunale si occupa principalmente di genocidio, inteso come atti mirati a distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, crimini contro l’umanità, perpetrati nell’ambito di attacchi sistematici o diffusi contro popolazioni civili e crimini di guerra, che includono gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra e del diritto consuetudinario dei conflitti armati.
La cooperazione degli Stati membri, che ratificando lo Statuto di Roma si impegnano a collaborare pienamente, è essenziale per il funzionamento della Corte e comprende obblighi quali l’arresto e la consegna dei ricercati, la fornitura di prove e testimonianze, la protezione delle vittime e dei testimoni e l’astensione da azioni che possano ostacolare le indagini.
Questa collaborazione garantisce l’efficacia della giustizia internazionale, rafforza la credibilità della Corte e agisce come deterrente per la commissione di nuovi crimini.
Detto ciò persistono sfide come l’opposizione all’arresto di capi di Stato per presunta immunità, le critiche alla selettività dei casi perseguiti, il timore di ingerenze negli affari interni e la tensione tra giustizia nazionale e internazionale.
L’ipocrisia occidentale tra le reazioni sui mandati d’arresto di Putin e Netanyahu
Sebbene i mandati d’arresto della Corte Penale Internazionale contro Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu presentano notevoli similitudini, sono significative le differenze nelle reazioni della comunità internazionale. Entrambi i leader sono accusati di crimini di un’importante gravità. Putin per la deportazione forzata di bambini ucraini, classificata come crimine di guerra, e Netanyahu per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e potenzialmente genocidio legati all’assedio militare e alla crisi umanitaria a Gaza.
Né la Russia né Israele hanno aderito allo Statuto di Roma, contestando quindi la legittimità della CPI e rifiutandone la giurisdizione, e in entrambi i casi i mandati limitano i viaggi internazionali dei leader verso i Paesi membri della CPI, dove potrebbero essere arrestati. Entrambi godono di un forte supporto interno e di alleati che ostacolano la Corte. Putin ha l’appoggio di Paesi come Cina e India, che non lo hanno mai apertamente condannato, mentre Netanyahu beneficia del sostegno degli USA e altre potenze che storicamente contestano l’intervento della CPI nei confronti di Israele.
Tuttavia, le reazioni internazionali divergono in modo notevolmente significativo. Il mandato contro Putin è stato accolto favorevolmente da gran parte della comunità occidentale, che lo vede come un passo necessario verso la giustizia per il conflitto in Ucraina, mentre le accuse contro Netanyahu sono più divisive, con molti Paesi occidentali che potrebbero minimizzarne il peso per preservare le loro relazioni strategiche con Israele. Se la guerra tra Russia e Ucraina è percepita come una minaccia diretta all’ordine internazionale, e questo ha portato a una condanna più ampia e condivisa, la questione palestinese è descritta spesso come una situazione “complicata” o soggetta a “opinioni divergenti” per il semplice motivo che l’occupazione israeliana in Palestina è di interesse internazionale, o più per l’esattezza americano.
Gli Stati Uniti, pur sostenendo le indagini contro Putin, si oppongono fortemente a procedimenti simili nei confronti di Netanyahu, e la narrazione pubblica riflette decisamente questa differenza tra le accuse contro Putin che hanno trovato un ampio consenso mediatico e pubblico, e quelle contro Netanyahu, che sono inserite in un dibattito frammentato, condizionato da considerazioni politiche e di interesse.
Le indagini della Corte Penale di Giustizia per il genocidio a Gaza
Il 26 gennaio 2024 la Corte Penale di Giustizia ha rigettato la richiesta di archiviazione di Israele e decide di procedere nella verifica delle accuse di genocidio mosse dal Sudafrica contro il regime sionista nell’ambito dell’assedio a Gaza.
Al contempo, il Sudafrica ha intentato una causa contro Israele presso la Corte internazionale di giustizia, accusandolo di genocidio a Gaza. Questa azione legale si basa su accuse di violazioni da parte di Israele della Convenzione sul genocidio del 1948, firmata da entrambi i paesi. La richiesta del Sudafrica chiede specificamente alla CIJ l’adozione di “misure provvisorie” per fermare l’assedio militare israeliano a Gaza e impedire ulteriori atti genocidi.
Le accuse principali includono uccisioni di massa, sfollamenti forzati, distruzione di abitazioni e blocco dei rifornimenti umanitari essenziali. Il Sudafrica ha anche citato dichiarazioni di funzionari israeliani, come gli appelli all’eliminazione dei civili a Gaza, come prova di intenti genocidi.
Israele, in risposta, respinge queste accuse, definendole infondate e prive di fondamento legale. Sostiene di avere il diritto di difendersi, in particolare di fronte agli attacchi di Hamas. Israele afferma inoltre di fornire aiuti umanitari a Gaza e di aver preso misure per ridurre al minimo le vittime civili avvisando i civili prima degli attacchi militari.
Questo caso è stato esaminato dalla Corte internazionale di giustizia piuttosto che dalla Corte penale internazionale perché riguarda una controversia tra Stati ai sensi della Convenzione sul genocidio. La CPI, al contrario, gestisce casi penali che coinvolgono individui. Sebbene le sentenze della CIJ siano vincolanti, la Corte non ha potere di esecuzione, il che significa che il rispetto delle decisioni dipende dalla cooperazione di Israele.
Le reazioni del governo israeliano, USA e della Comunità Internazionale
Il leader dell’opposizione israeliana, Yair Lapid ha reagito alla decisione condannando aspramente la corte, sostenendo che Israele stia “lottando per la sua vita”, mentre Avigdor Liberman – leader del partito israeliano Yisrael Beitenu – ha accusato la CPI di applicare “doppi standard e ipocrisia”. Il ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, ha definito la decisione “una vergogna senza precedenti”.
“L’Aia dimostra ancora una volta di essere antisemita fino in fondo. Questa è una follia di sistema completa. Sostengo il primo ministro nella guerra giusta”, ha aggiunto. Ben Gvir ha inoltre detto che Israele dovrebbe rispondere annettendo la Cisgiordania occupata, ristabilendo gli insediamenti a Gaza e tagliando i legami con l’Autorità Nazionale Palestinese.
Hamas ha invece accolto favorevolmente la decisione, dichiarando che rappresenta “un importante precedente storico”.
L’ufficio di Netanyahu respinge con fermezza le accuse della CPI, definendo le azioni della Corte come “assurde e false” e sostenendo che si tratta di un organo “politico e discriminatorio”.
“Questo è un giorno buio per la giustizia. Un giorno buio per l’umanità. Presa in malafede, la scandalosa decisione della CPI ha trasformato la giustizia universale in uno zimbello universale”, commenta il presidente israeliano Isaac Herzog.
Anche la Casa Bianca respinge fondamentalmente la decisione della Corte penale internazionale ed i mandati di arresto contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant.
“Restiamo profondamente preoccupati per la fretta del procuratore di cercare mandati di arresto e per i preoccupanti errori di procedura che hanno portato a questa decisione. Gli Stati Uniti hanno chiarito che la CPI non ha giurisdizione su questa questione. In coordinamento con i partner, tra cui Israele, stiamo discutendo i prossimi passi”, ha dichiarato ai giornalisti un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Giovedì, molte nazioni occidentali hanno risposto in modo simile riguardo alla decisione della Corte penale internazionale, senza però impegnarsi chiaramente sull’applicazione della sentenza. La maggior parte di questi paesi ha evitato di rispondere direttamente alla domanda se avrebbero eseguito i mandati di arresto, lasciando così aperte le possibilità di azioni future. Alcuni Stati hanno espresso preoccupazione per la procedura, mettendo in discussione la legittimità della Corte nel perseguire i leader israeliani, mentre altri hanno preferito non prendere una posizione definitiva, facendo riferimento alla necessità di un’analisi approfondita del caso o all’esigenza di coordinarsi con alleati come Israele prima di prendere qualsiasi decisione.
Il ministro degli affari esteri Tajani ha dichiarato: “Noi sosteniamo la CPI, ricordando sempre che la Corte deve svolgere un ruolo giuridico e non politico. Valuteremo insieme ai nostri alleati cosa fare, come interpretare questa decisione e come comportarci insieme su questa vicenda”. Nel caso in cui Netanyahu dovesse recarsi in Italia: “Esamineremo le carte per capire le motivazioni che hanno portato la Corte a fare questa scelta. Lunedì a Fiuggi comincerà il G7 dei ministri degli Esteri e prenderemo le decisioni insieme ai nostri alleati. Questa è la linea scelta dal nostro presidente del consiglio che io ho il dovere di attuare”, ha sostenuto Tajani. Il vice premier Salvini ha commentato così il mandato contro il Premier israeliano e l’ex ministro: “Conto di incontrare presto esponenti del governo israeliano e se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto. I criminali di guerra sono altri”.
I Paesi Bassi, sede della CPI, hanno adottato un approccio più diretto e hanno ribadito l’impegno di Amsterdam nell’applicazione delle sentenze della CPI. Allo stesso modo, il Primo Ministro irlandese Simon Harris ha affermato che l’emissione dei mandati è stata “un passo estremamente significativo”, aggiungendo che chiunque sia in grado di assistere la CPI nello svolgimento del suo fondamentale lavoro deve farlo con urgenza.
Il capo della politica estera dell’UE Josep Borrel ha affermato che la sentenza della CPI è “vincolante e tutti gli Stati membri della CPI, compresi tutti i membri dell’UE, sono tenuti a implementare questa decisione della Corte”.
Il procuratore capo della CPI Karim Khan ha esortato i 124 stati membri ad agire sui mandati di arresto emessi contro Netanyahu, Gallant e il leader delle Brigate al-Qassam, Mohammed Deif.
“Sulla base delle prove presentate dal mio ufficio, i giudici hanno confermato che ci sono ragionevoli motivi per ritenere che siano stati commessi crimini dello Statuto di Roma”, ha affermato Khan in una dichiarazione. Ha inoltre esortato i paesi che non sono membri della CPI a lavorare insieme per “sostenere il diritto internazionale”.
Crediti immagine copertina: Yonatan Sindel