“Muro di Ferro”: Jenin sotto assedio. IDF spara alla testa Laila, bambina di due anni, mentre era a cena con la famiglia

Jenin, storica roccaforte della resistenza palestinese, è nuovamente stretta nella morsa di un’offensiva militare senza precedenti. L’operazione “Muro di Ferro”, lanciata dall’esercito israeliano, rappresenta una drammatica escalation nella già complessa e sanguinosa realtà della Cisgiordania occupata. Raid aerei, blindati e bulldozer militari si abbattono su una popolazione civile già provata da anni di occupazione, trasformando il campo profughi di Jenin in un campo di battaglia.

Un assedio brutale

Con un dispiegamento di forze senza precedenti, l’IDF ha preso di mira il campo profughi di Jenin, una delle aree più densamente popolate della Cisgiordania, causando distruzione e sofferenza. Nei primi minuti dell’attacco, testimoni riferiscono che sei persone sono state uccise, molte delle quali civili. Le ruspe militari hanno distrutto strade, infrastrutture e abitazioni, lasciando migliaia di persone senza rifugio. Le vie di accesso all’ospedale sono state bloccate, impedendo ai feriti di ricevere cure mediche, mentre l’elettricità è stata interrotta, isolando ulteriormente il campo.

Israele giustifica l’operazione con il pretesto di eliminare presunti “terroristi”, ma la realtà raccontata dai residenti di Jenin è ben diversa: gran parte delle vittime erano civili. Tra i morti figura Ahmed Shayeb, padre di famiglia, colpito da un cecchino davanti ai suoi figli. Uno dei suoi bambini ha filmato il tragico momento, mostrando Ahmed mentre tentava di fuggire sotto il fuoco incessante. Le ultime parole che ha ascoltato dai suoi figli sono state: «Vai, accelera. Non fermarti, sparano». Ahmed è stato colpito mortalmente, lasciando la sua famiglia sconvolta e una comunità ferita.

La tragedia di Laila: una bambina colpita in casa

Un’altra testimonianza straziante è quella di Laila, una bambina colpita alla testa dai soldati israeliani mentre cenava con la sua famiglia. Il nonno della bambina ha raccontato ad Haaretz i terribili momenti dell’attacco: «Stavamo cenando; erano circa le otto di sera. Eravamo in casa io e le mie figlie – ho solo figlie femmine – e la mia nipotina. All’improvviso hanno iniziato a spararci. Mia figlia ha preso Laila per proteggerla, ma poi ha urlato: “Laila è stata colpita!”». Il nonno, disperato, ha portato la bambina in strada, ma l’ambulanza è arrivata troppo tardi. «Ho chiesto ai soldati: perché l’avete uccisa? È solo una bambina. In che modo è coinvolta con il terrorismo?», ha raccontato. Uno dei soldati ha risposto: «Mi dispiace». Ma come può un semplice “mi dispiace” giustificare l’uccisione di una bambina?.

L’ideologia dietro il “Muro di Ferro”

Il nome dell’operazione, “Muro di Ferro”, richiama il manifesto di Zeev Jabotinsky, uno dei padri del movimento sionista, che teorizzava l’uso della forza come unico mezzo per imporre il dominio coloniale in Palestina. Questo concetto continua a permeare la politica israeliana, che attraverso incursioni militari e assedi mira a soffocare ogni forma di resistenza palestinese. La distruzione sistematica delle infrastrutture di Jenin e il blocco delle vie di fuga rivelano una strategia volta non solo a reprimere i movimenti armati, ma a piegare l’intera popolazione civile.

La resistenza e la crisi u;manitaria

Nonostante la brutalità dell’operazione, Jenin rimane un simbolo della resistenza palestinese. La Brigata Jenin e altri gruppi armati locali continuano a opporsi all’avanzata israeliana, ma la popolazione paga il prezzo più alto. Migliaia di persone sono state costrette alla fuga, mentre le divisioni politiche interne tra l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e i gruppi armati complicano ulteriormente la situazione. Hamas e Jihad Islamica accusano l’ANP di complicità con Israele, alimentando una crescente sfiducia nei confronti di una leadership palestinese percepita come distante dai bisogni del suo popolo.

Il costo umano dell’operazione “Muro di Ferro” è devastante. Civili intrappolati sotto le macerie, ospedali senza elettricità, donne e bambini bloccati nei checkpoint: la vita quotidiana dei palestinesi è segnata da una violenza sistematica e disumana. A questo si aggiungono le incursioni dei coloni israeliani, che con la protezione dell’esercito attaccano villaggi palestinesi, distruggendo case e infrastrutture e agendo nell’impunità più totale.

Jenin: un simbolo della lotta per la libertà

L’assedio di Jenin non è solo un attacco contro un campo profughi, ma un’aggressione alla dignità e alla speranza di un intero popolo. Le immagini di distruzione e resistenza provenienti da Jenin ricordano che, nonostante la forza schiacciante dell’occupazione, il popolo palestinese continua a lottare per la sua libertà. Tuttavia, l’assenza di una reale pressione internazionale su Israele e la complicità di alcuni governi perpetuano un sistema di apartheid che devasta milioni di vite.

La tragedia di Jenin è il simbolo di una lotta più ampia, quella di un popolo che resiste contro un’occupazione brutale, chiedendo giustizia, autodeterminazione e dignità.