Nel vortice delle profezie escatologiche che affascinano l’immaginario collettivo – da Nostradamus alle visioni apocalittiche cristiane – un capitolo meno esplorato in Occidente risiede nel Corano. In particolare, la Sura 17 (Al-Isrā’, “Il Viaggio Notturno”) contiene passaggi che, lette attraverso le lenti della storia moderna, sollevano interrogativi scomodi. Al centro: il destino dei Banī Isrā’īl (Figli di Israele) e il loro rapporto ciclico con il potere mondano.
L’enigma del “due volte”
Il Corano (17:4-8) dichiara: “E demmo ai Figli di Israele il Libro […] e dicemmo: Abiterete questa terra. E quando verrà l’ultima promessa, vi condurremo come folla confusa”. Il testo specifica che avrebbero “seminarono corruzione due volte” (fasadan marratayni), raggiungendo un picco di ‘uluwwan kabīran – spesso tradotto come “grande arroganza”, ma il termine ‘ulu (da ‘alā, “innalzarsi”) implica una supremazia geopolitica, non solo morale. Come sottolineano i commentatori classici, questo concetto appare identico a quello attribuito al Faraone (Corano 79:24: “Io sono il vostro Signore Altissimo”), unendo hubris a dominio materiale.
La prima ascesa: tra Bibbia e Storia
La prima realizzazione è universalmente riconosciuta: l’apogeo dei regni dei Re-Profeti Davide e Salomone (X sec. a.C.), seguito dalla distruzione del Tempio (586 a.C.) e dall’esilio babilonese in seguito all’allontanamento dai Comandamenti da parte dei Figli di Israele. In questo modo i Figli di Israele passano da un dominio virtuoso basato sul comando divino coadiuvato dalla guida profetica e dei sapienti religiosi ad un uso corrotto del potere materiale per opprimere e corrompere. La seconda “arroganza”, secondo l’esegesi tradizionale islamica, sarebbe stata l’epoca di Gesù (I sec. d.C.), culminata nella rivolta giudaica e nella distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) da parte di Roma. Tuttavia, un’interpretazione alternativa – oggi ampiamente più discussa nei circoli accademici islamici – colloca il secondo ‘ulu nell’era moderna: la nascita di Israele (1948) e il suo consolidamento come potenza regionale identificando la componente geopolitica del termine ‘ulu – assente durante la rivolta del I secolo d.C – con il crescente potere geopolitico israeliano dei nostri giorni.
L’eccezione storica: il “miracolo” sionista
Per secoli, gli ebrei vissero in diaspora, spesso perseguitati. Come notano persino gli stessi studiosi sionisti come Bernard Lewis, mai prima del XX secolo avevano esercitato un’influenza geopolitica paragonabile a quella odierna (se non nell’era di Davide e Solomone, se si prende il testo biblico come affidabile su questo punto). Il Corano (17:104) sembra prefigurare questa eccezionalità e la Sura 17 aggiunge anche un dettaglio cruciale: “E dicemmo: abitate la terra. Quando poi verrà l’ultima promessa vi riuniremo insieme” (17:104), interpretato da alcuni come riferimento al sionismo e al suo dogma della Aliya – la chiamata del sionismo al mondo ebraico all’immigrazione di massa in Palestina. Un paradosso teologico: mentre vari gruppi ebraici ortodossi rifiutano Israele in attesa del Messia denunciando l’oppressione israeliana nei confronti dei palestinesi, il Corano sembra anticipare proprio questa riunificazione forzata come segno pre-apocalittico.
Potere e Profezia: il nodo dell’escatologia
L’escatologia islamica prevede che un gruppo di ebrei segua il Dajjāl (Anticristo), combattendo i credenti nella battaglia finale. In questo contesto, il secondo ‘ulu moderno acquista un’inquietante pregnanza. L’attuale influenza di lobby come AIPAC (che secondo dati ha speso $4.2 milioni in lobbying solo nel 2023) o reti transnazionali come ELNET in Europa (succursale di AIPAC), unita al controllo israeliano su Gerusalemme Est (con progetti per ricostruire il Terzo Tempio), alimenta parallelismi con le profezie.
Tra Realpolitik e Destino
Critici obiettano: non è forse riduttivo leggere testi sacri attraverso conflitti contemporanei? Eppure, il Corano stesso invita a riflettere sui “segni” storici (30:2-7). Se la prima ‘ulu fu cancellata da Nabucodonosor, la seconda – secondo il testo – avrà un epilogo definitivo (Corano 17:7). Una minaccia che risuona nell’attuale isolamento diplomatico di Israele, mentre l’ONU registra circa 140 risoluzioni contro di esso solo dal 2015.
Che si creda o meno al destino, il parallelismo tra Sura 17 e l’ascesa sionista costringe a interrogarsi sul rapporto tra potere e etica. Come il Faraone, ogni civiltà che eleva il dominio a valore assoluto rischia l’autodistruzione. Forse, oltre che una predizione, il Corano offre un avvertimento e dunque speranza: l’arroganza del potere, in qualunque forma, contiene i semi del proprio crollo.
Forse il vostro Signore vi userà misericordia, ma se persisterete persisteremo. Abbiamo fatto dell’Inferno una prigione per i miscredenti (Corano 17:8)