Si è tenuto ieri pomeriggio un partecipato presidio davanti a Palazzo San Giacomo per esprimere piena solidarietà a Nives Monda e al suo staff, travolti da un’ondata di accuse di antisemitismo dopo un acceso confronto nel loro ristorante, la Taverna Santa Chiara, con una coppia di turisti israeliani. A dividere le versioni, due narrazioni speculari: quella di chi denuncia l’occupazione e il genocidio in corso a Gaza, e quella di chi, ancora una volta, si erge a vittima eterna e intoccabile, tentando di far passare ogni critica a Israele come antisemitismo.
I fatti: durante un pranzo ordinario il 3 maggio, una conversazione sul turismo si è rapidamente trasformata in un confronto acceso. Da un lato la turista israeliana Gili Moses che, in spregio a ogni evidenza storica e agli attuali massacri a Gaza, ha magnificato Israele come «paese di pace». Dall’altro lato, la ristoratrice Nives Monda, che ha rivendicato con fermezza la verità storica e la condanna del regime sionista, richiamando i crimini accertati da organismi internazionali. La risposta della turista? Accuse isteriche di antisemitismo, video diffusi sui social per scatenare la gogna mediatica e, come prassi consolidata, la vittimizzazione strategica.
Non è bastata la chiarezza con cui la Taverna ha spiegato la propria posizione: antisionismo netto, ma nessuna ombra di antisemitismo. La macchina del fango, ben oliata, ha scatenato attacchi, come racconta Monda. Scene che evocano, inquietanti, pratiche coloniali e razziste già viste in passato, quando chi osava denunciare l’ingiustizia veniva linciato mediaticamente e fisicamente.
Non paga, l’amministrazione comunale ha rincarato la dose, spalancando le porte della città ai turisti israeliani e offrendo loro – come riporta anche il Times of Israel – letteralmente, una vacanza gratuita: caffè e sfogliatelle a carico dell’assessora al Turismo Teresa Armato, ingresso omaggio al Vesuvio da parte del Comune di Ercolano, cene pagate e scorta istituzionale. Tutto per espiare un presunto “peccato” che non è mai esistito, se non nella narrazione di chi vorrebbe criminalizzare ogni voce dissidente.
A dare ulteriore peso all’ipotesi di provocazione sistematica è arrivata anche la testimonianza delle Donne in Nero di Bari, movimento storico per la pace e la giustizia. In un post pubblico, hanno raccontato che la stessa turista israeliana, Gili Moses, era già passata davanti a una loro manifestazione il 26 aprile, fermandosi appositamente per provocare: «Ci ha apostrofate con insulti pesanti, chiamandoci terroriste e amiche di Hamas», spiegano le attiviste, «abbiamo mantenuto il silenzio ma lei ha continuato, mentre il marito riprendeva tutto con il telefono». Uno schema che si ripete, confermando un copione già visto: la provocazione deliberata e la costruzione mediatica immediata, mirata a screditare chi lotta per i diritti del popolo palestinese.
Nel frattempo, la Taverna Santa Chiara è rimasta salda. Nonostante l’assalto mediatico e la paura concreta, Nives Monda ha ribadito la sua critica nei confronti del sionismo e la denuncia del genocidio a Gaza. Monda ha anche ricordato che lei non ha mai espresso odio verso il popolo ebraico parlando invece di battaglia di giustizia. Un coraggio che ricorda altri momenti bui della storia: quando nei ghetti venivano tacciati di sedizione coloro che si opponevano al regime nazista, o quando le lotte anticoloniali venivano silenziate con la repressione e il discredito.
La manifestazione di ieri ha riunito cittadini, attivisti e rappresentanti politici, con striscioni e cori a difesa della libertà di espressione e contro ogni tentativo di censura mascherata da accuse strumentali. Tra le presenze solidali, anche figure storiche della sinistra radicale e del movimento pro-Palestina, che hanno ribadito la necessità di distinguere tra critica politica e razzismo, tra la condanna di uno Stato e l’odio verso un popolo.
Questa vicenda, emblematica e paradigmatica, getta luce su una dinamica ormai stanca e logora: quella che cerca di sovrapporre sionismo e identità ebraica, silenziando chi denuncia l’occupazione, l’apartheid e le bombe che continuano a mietere vittime innocenti. Una dinamica che, stavolta, non ha intimidito Napoli. La città, pur caotica e contraddittoria, ha dimostrato di avere ancora cuore e dignità, proteggendo chi ha avuto il coraggio di dire la verità.
La Taverna Santa Chiara oggi è più di un ristorante: è diventata un simbolo di resistenza contro la narrazione tossica che tenta di coprire le verità scomode. E la battaglia continua.