‘The Islamic Jesus’. Una prospettiva dialettica su Islam e Cristianesimo

Ho letto integralmente il testo del giornalista e scrittore turco Mustafa Akyol: The Islamic Jesus, trovandolo una fonte, pur “eterodossa”, di spunti di riflessione, a partire dalla centralità della figura che considera: il Profeta Gesù!

Il testo è molto ben documentato (ha una buona bibliografia), cita fonti autorevoli per lo studio della controversa tematica del “Gesù storico”. Si sofferma su alcuni aspetti della cristianità antica che vengono spesso trascurati, in particolare sulla comunità cristiana di Gerusalemme guidata da Giacomo il giusto, fratello di Gesù che sarebbe stata travolta dalle persecuzioni romane in Palestina per poi lasciare spazio all’emergere del Cristianesimo paolino.

Si può essere, naturalmente, d’accordo o meno con la prospettiva di Mustafa Akyol ma credo che, in ogni caso, il suo libro meriti lettura anche perché, in particolare in Italia, di Gesù si sono fondamentalmente e comprensibilmente occupati esponenti della Chiesa Cattolica o studiosi della religione di gran lunga maggioritaria nel nostro paese e poco spazio è rimasto per ricercatori di altre fedi che possono, non di rado, offrire prospettive interessanti — finanche inedite — tanto per il grande pubblico quanto per gli “addetti ai lavori”.

Ho avuto un primo approccio con Mustafa Akyol leggendo la rivista Oasis; cristiani e musulmani nel mondo globale. In particolare l’articolo, firmato dallo stesso scrittore e giornalista turco: Gesù nel Corano e la terza via tra estremismo e laicismo che rappresenta una buona sintesi del suo testo.

Affinità tra il Giudeo-Cristianesimo e l’Islam

Si sa poco oggi del Giudeo-Cristianesimo, uno dei molti fenomeni che sono stati semplicemente obliterati dai loro concorrenti vincitori. Un caso clamoroso di obliterazione, volendo divagare brevemente, ha riguardato il mondo etrusco, di cui oggi sappiamo pochissimo perché l’espansione romana nei territori della vecchia, raffinata Etruria (diversi esponenti della quale contribuirono molto alla crescita di Roma) implicava la magnificazione del solo mondo latino. L’opera, in venti volumi, dell’imperatore Claudio — Tyrrhenika — che sarebbe stato il grande classico dell’etruscologia è andata irrimediabilmente perduta. È appena un esempio; i roghi della biblioteca di Alessandria “la dicono lunga”, come la cristianizzazione dei luoghi e delle ricorrenze del mondo pagano oltre alla stessa marginalità (per tornare in argomento) dei discendenti del mondo giudeo-cristiano, confinati oggi allo sparuto ambito del Mandeismo.

Scrive riguardo questa “obliterata tradizione” Mustafa Akyol:

«I giudeo-cristiani, malgrado fossero devoti seguaci di Gesù, rimanevano “ebrei” — nella pratica, nella dottrina e nella mentalità —. In altre parole, essi osservavano ancora la legge ebraica, perseguendo la propria ricerca di salvezza e credendo in Dio e nel Messia alla maniera ebraica. Specialmente in tre aspetti della loro fede, erano abbastanza diversi dagli altri cristiani:

-Ritenevano Dio fosse Uno e non Trino;

-Gesù era il Messia promesso degli ebrei ma non era divino;

-Gli uomini si potevano salvare solo in due modi: la fede in Dio e le buone azioni.

Quando venni a conoscenza di questi aspetti della fede giudaico-cristiana, i parallelismi con l’Islam mi lasciarono sconcertato. Il Corano, proclamato dal Profeta Muhammad quasi sei secoli dopo Giacomo il giusto, insegnava che:

-Dio è rigorosamente Uno e no Trino;

-Gesù era il Messia promesso degli ebrei ma non era divino;

-Gli uomini si potevano salvare solo in due modi: la fede in Dio e le buone azioni».[1]

Sul Giudeo-Cristianesimo e le sue affinità con l’Islam si sono soffermati autorevoli studiosi come James D. Tabor, Robert Eisenman ed il celebre teologo Hans Küng (che nel suo testo monumentale Islam: passato, presente e futuro parla di analogie incontestabili che richiederebbero una più profonda e sistematica riflessione storica) ma il tempo, “grande scultore” (per usare citare il titolo di un importante testo di Marguerite Yourcenar), consacra pochi alla ribalta e spedisce molti nel retroscena.

I seguaci di Giacomo il giusto e quelli di Paolo di Tarso diedero vita, agli albori della cristianità, a una spietata guerra delle idee. Se si fosse affermata la prima fazione, il Cristianesimo attuale — ci provoca l’autore turco — sarebbe molto diverso (ammesso che fosse stato in grado di superare le forche caudine della storia) ma la vittoria della seconda determinò il rifluire del Giudeo-Cristianesimo e dei suoi testi (il Vangelo degli Ebioniti, il Vangelo degli Ebrei e il Vangelo dei Nazarei; dei quali ci è rimasto appena qualche frammento) nel bacino dell’eresia.

“Cristiani autentici videro la luce del Profeta Muhammad (pbsl)”

Mustafa Akyol riporta i casi — piuttosto noti in ambito islamico — di due cristiani che riconobbero la prossima missione profetica di Muhammad (pbsl).

Il primo è Waraqa ibn Nawfal, secondo alcune versioni un membro del gruppo di monoteisti arabi conosciuti come hanif mentre, secondo altre, si sarebbe convertito al cristianesimo in Siria, studiando la Bibbia e prendendo addirittura i voti sacerdotali. Waraqa avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel tranquillizzare il Profeta quando, a seguito della prima rivelazione, temeva con orrore di essere posseduto dai jinn. Lo persuase che la voce che sentiva non era di origine demonica ma divina.

Il secondo è il monaco Bahira presso cui sosta, un giorno, una carovana di mercanti tra i quali c’era anche il giovanissimo Muhammad (pbsl) che seguiva, nei suoi spostamenti commerciali, lo zio Abu Talib. Il monaco nestoriano (o ebionita o nazireo; in questi ultimi due casi si torna alla tradizione giudeo-cristiana) avrebbe riconosciuto nel più giovane del gruppo il futuro, atteso Profeta (riguardo la figura di Bahira ho trovato piacevole il romanzo, di Pietrangelo Buttafuoco, L’ultima del diavolo).

Si possono in altre parole individuare, provoca Mustafa Akyol, diverse continuità significative; gli esempi si potrebbero moltiplicare, enfatizzati soprattutto dai caldeggiatori della Tradizione abramica: il filo rosso che collega le tre religioni di origine semitica. Del resto, scrive Akyol, “come rivoluzione monoteista in una società politeista, l’Islam percepì chiaramente i precedenti monoteismi, specialmente il Giudaismo ed il Cristianesimo, come fedi sorelle ed anche alleate”[2]. Di qui non può non citare la definizione coranica di ebrei e cristiani come “popoli del libro”, corroborata dal verso 3 della terza Sura: «ha fatto scendere su di te il Libro con la verità, a conferma di ciò che era prima di esso. E fece scendere la Torah e l’Ingil [Vangelo], in precedenza, come guida per le genti» cui si può facilmente affiancare il verso 62 della seconda Sura: «In verità coloro che credono e i giudei, nazareni o sabei, tutti quelli che credono in Allah e nell’Ultimo Giorno e compiono il bene riceveranno il compenso presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno afflitti».

Dunque senza scadere in forme di qualunquismo o di sincretismo, anche in nome delle continuità di cui sopra, è evidente la tolleranza stabilita dall’Islam per i seguaci di un culto monoteista. Secondo uno storico autorevole quale è Franco Cardini, sarebbe stata proprio questa evidente tolleranza a promuovere la diffusione dell’Islam. Cito dalla sua prefazione all’ultima edizione del Corano di Hamza Roberto Piccardo:

«Molti hanno parlato del “mistero” del rapido propagarsi dell’Islam, in poco più di un secolo, sino al Maghreb e ai contrafforti dell’Indo Cush, alla penisola anatolica e al “Corno d’Africa”. La rapidità di tale conquista non si può certo addebitare a motivi demografici; e neppure alla travolgente violenza dei credenti, che in molte occasioni non fu neppure lontanamente tale. Si è costantemente sottovalutato, almeno per quanto concerne l’area mediterranea ch’era nel VII secolo ancora totalmente cristiana, di valutare bene che cosa fosse, nella sostanza, il Cristianesimo di quelle popolazioni sostanzialmente o formalmente soggette all’impero romano d’Oriente. Sappiamo con quanta durezza il governo imperiale romano trattasse i cristiani eretici suoi sudditi, equiparando l’eterodossia a un crimine: e sappiamo quanta distanza corresse tra l’ortodossia caledoniana-efesina e i cristiani monofisiti o nestoriani, e in qual durissimi modi essi venissero perseguitati e repressi. D’altronde, un monofisita persuaso che la natura di Cristo fosse unicamente divina non poteva non sentir chiunque avesse osato inquinarla con quella umana come ben più pericoloso di chi, come i musulmani, si limitasse a proclamarne la natura esclusivamente umana associandola però alla funzione profetica. I cristiani monofisiti siriani, egizi, nubiani, avevano probabilmente molta difficoltà nel riconoscere come loro correligionario il sovrano di Costantinopoli che in ogni modo li perseguitava; mentre avevano al contrario qualche difficoltà a non sentire come dei quasi-correligionari quei barbari venuti dal sud-est che garantivano loro libertà di culto privato dietro l’esborso di una tassa ragionevole, chiedevano solo un atto di formale riconoscimento della superiorità dell’Islam e, nel loro Libro, leggevano e recitavano cose magari per loro strane ma tanto belle e commoventi su Gesù, su Maria e su Giuseppe».

Quanto scrive Cardini viene confermato da Hans Küng nella sua già citata opera Islam: passato, presente e futuro che collega l’iniziale espansione islamica a un vuoto di potere dovuto alla decadenza, nel settimo secolo, dell’Impero Bizantino e dell’Impero Sasanide cui fa da corollario la seguente affermazione:

«I cristiani nestoriani, siri e copti non sentirono affatto la dominazione araba come più oppressiva rispetto a quella precedente dei bizantini»[3].

L’archetipo perduto

Gesù appare in novantatré versi del Corano, in quindici diverse Sure. Sono particolarmente pregnanti le sue parole riportate nella Sura III (Al-Imran):

«[Sono stato mandato] a confermarvi la Torah che mi ha preceduto e a rendervi lecito qualcosa che vi era stata vietata. Sono venuto a voi con un segno da parte del vostro Signore. Temete dunque Allah e obbeditemi».

Inoltre, sottolinea Mustafa Akyol, nel Corano ricorre undici volte il termine Messia ed è sempre riferito a Gesù che viene dunque presentato come colui che gli ebrei avrebbero dovuto riconoscere e cui avrebbero dovuto obbedire ma, allo stesso tempo, come colui che serviva Dio e non doveva essere, a sua volta, soggetto ad adorazione (distanziandosi in questo modo dalla prospettiva cristiana ma non, come abbiamo visto, da quella giudeo-cristiana).

Naturalmente si è molto speculato e si continua a speculare sulle possibili influenze del Giudeo-Cristianesimo sull’Islam ma un approccio originale parla di due espressioni diverse di uno stesso archetipo abramico che, nel caso del Cristianesimo “paolino”, ha perso la sua aderenza al monoteismo assoluto ma questa, oltre ad essersi riaffermata con la nascita dell’Islam, sarebbe più o meno parzialmente sopravvissuta, sotto traccia, in diverse “eresie” cristiane: dall’arianesimo, alla prospettiva antitrinitaria di Michele Serveto, al Socinianismo fino alle Chiese Unitariane (ce ne sono diverse in Inghilterra) che, sostiene Akyol, avrebbero avuto un ruolo nella nascita della Chiesa Avventista.

Acquisire una prospettiva più ampia del Cristianesimo, a partire da una maggiore considerazione per le sue espressioni aurorali, giudeo-cristiane, prima che venisse “rielaborato e ripensato nell’ambito della cultura greco-romana”, citando qui un passaggio di un articolo del francescano Martiniano Pellegrino Roncaglia (1923-2008) può sicuramente aiutare a vedere, sostiene ancora Roncaglia, l’Islam — in Occidente — in maniera più favorevole.

L’Islam, a sua volta, si premura di sottolineare Akyol, può avere tutto da guadagnare da una maggiore valorizzazione del Profeta Gesù — senza allontanarsi dal modo in cui viene presentato nel Corano, in cui è stato recuperato “l’archetipo perduto” — che potrebbe diventare “una fonte di ispirazione per la tanto agognata riforma dell’Islam”. Mi rendo conto che quest’ultima è un’espressione forte che avrà trovato e troverà molti dissensi nella comunità islamica. Mustafa Akyol spiega in che modo i musulmani potrebbero farsi ispirare dalla figura di Gesù nell’articolo per la rivista Oasis che ho citato in apertura e cui rimando per evitare ripetizioni. Una sintesi degli aspetti più propositivi del suo thought provoking book.

[1] Mustafa Akyol, The Islamic Jesus, versione Kindle, posizione 114 di 6292, trad. mia.

[2] Ivi, posizione 1199 di 6292, trad. mia.

[3] Hans Küng, versione Kindle, Islam: passato, presente e futuro, posizione 306 di 17531.