Oggi i cinesi, ieri i musulmani, ma il virus dell’ignoranza è il più pericoloso

coranavirus_ristoranti_Crisi
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La cronaca di questi giorni ci riporta vari casi di sinofobia in Italia collegati all’epidemia di Coronavirus ma non è la prima volta che ci si lascia andare a discriminazioni e generalizzazioni odiose e pericolose.

Barona, una partita di calcio si trasforma in rissa.

Il papà cinese accompagna il figlio al campetto, ma non vuole fermarsi a guardare la partita e così non compra il biglietto di 4 euro. Poi il bambino gli chiede di guardarlo giocare per qualche minuto e lui resta. Il Presidente della Lombarda 1 si accorge di quello che sta accadendo e si avvicina al signore, inizia un forte scontro fisico e verbale: noi vi cacciamo dall’Italia, cinesi di m…a”.

Dinamiche simili anche in Via Padova e a Torino

Un ristorante giapponese, gestito da cinesi è aperto da circa 1 anno, in via Padova. E’ un locale elegante, tavoli e sedie in legno, la griglia al centro per cuocere il pesce fresco. Fino a 20 giorni fa era sempre pieno. Per cenare nel week-end era obbligatoria la prenotazione, altrimenti non si trovava posto. Adesso sono rimasti solo loro: i gestori del locale, perché i clienti non ci sono più.

Torino, una donna asiatica sale sull’autobus. Intorno a lei si crea il vuoto. Una signora di mezza età italiana è seduta al suo posto, la donna cinese prova a mostrarsi indifferente alla reazione della gente e così si siede affianco a lei. Quello che succede dopo fa paura. La signora italiana urla: questi non hanno rispetto di nessuno. Il resto dei passeggeri inizia a borbottare. Alla fermata successiva, 200 metri dopo essere salita, la donna orientale scende.

Il virus inizia a trasmettersi proprio così, da una persona all’altra. Inesorabilmente.

Non si chiama Coronavirus, ma razzismo ed è molto più pericoloso.

E il razzismo non riguarda soltanto i cittadini cinesi. Il problema è molto più ampio e diffuso. Già, perché quando chiamiamo qualunque immigrato “clandestino”, dimostriamo di essere razzisti perché non indaghiamo le vicende personali che hanno spinto quella persona ad emigrare, ma utilizziamo automaticamente un atteggiamento verbale denigratorio.

Quando dall’altra parte del mondo un pazzo fa una strage e noi, qui in Italia, bolliamo come terrorista l’intera popolazione araba o musulmana siamo semplicemente e ancora razzisti. Questa è la grande malattia della società moderna, non il coronavirus e neanche il terrorismo.

Discriminazioni anche per tutte le donne che indossano l’Hijab. Il virus dell’ignoranza è molto più pericolos0.

Amina Al Zeer è la vice presidente del Progetto Aisha che aiuta le donne musulmane vittime di violenza: “I principali bersagli del razzismo nei confronti dei musulmani sono proprio le donne, perché indossano il velo che le contraddistingue in maniera netta e visibile”. I casi di discriminazione che riporta Amina sono tanti: Trovare un lavoro indossando l’Hijab è molto difficile. Nella nostra associazione abbiamo incontrato mamme che dopo anni di sofferenze, di lavori in nero e di fatiche per arrivare a fine mese hanno deciso di togliere il velo. E’ successo, per fare un esempio, ad Ilaria, una donna di 31 anni di origine egiziana, che dopo aver fatto questa scelta è caduta in depressione”.

Le discriminazioni non colpiscono solo i cittadini di origine straniera, ma anche gli stessi italiani: “Shaima – racconta Amina Al Zeer – si è convertita all’Islam e ha deciso di indossare il turbante. Lavora come baby sitter, ma dopo l’attentato di Charlie Hebdo, le mamme le chiedevano di rinunciare all’hijab perché terrorizzava i bambini”.

Episodi come questi ultimamente sono in costante aumento. Per rendersene conto, basta guardare il sito di monitoraggio, Cronache di ordinario razzismo, dove emerge che la violenza discriminatoria nei nostri territori è un fenomeno strutturale e non episodico.

Quanto incidono giornalismo e politica

Per Amina questi pregiudizi sono l’effetto di un certo modo di fare informazione e di fare politica. In Italia, per lei, “c’è un analfabetismo funzionale. Basta andare sui social per vedere i titoli sensazionalistici ed allarmisti delle testate online o i post che inneggiano alla violenza da parte di una certa classe dirigente che tende solo ad incoraggiare gli istinti più bassi della popolazione”.

La causa è endemica. La società europea, infatti, ha tratto enorme profitto storicamente sulla conquista e sullo sfruttamento di altri continenti. Questo ha portato ad una rappresentazione del diverso in uno schema binario, in cui l’umanità è idealmente divisa in gruppi superiori e in gruppi inferiori. Uomini che hanno diritti ed altri a cui vengono negati, culture giuste e culture sbagliate; religioni pacifiste e altre arcaiche e violente. Divisioni che molto spesso non si basano su una realtà concreta, ma su informazioni inesatte e superficiali, spesso estrapolate dal loro contesto.

La retorica contro l’Islam è un esempio lampante. Sono ben pochi gli italiani che si sono spinti a conoscerne i principi e dettami, ma sono moltissimi quelli che la definiscono una religione fondamentalista che istiga all’odio e alla violenza, dimenticando – ad esempio – che il Corano insegna che uccidere un solo uomo è come uccidere l’intera umanità e salvare un solo uomo è come salvarla tutta.

Il razzismo è semplicemente questo: confusione, ignoranza e generalizzazione ed è ben più pericoloso del Coronavirus, miete più vittime e fa più male, soprattutto a chi lo professa. Khalil Gibran ha scritto: “Se ti sedessi su una nuvola non vedresti la linea di confine tra una nazione e l’altra, né la linea di divisione tra una fattoria e l’altra. Peccato che tu non possa sedere su una nuvola”. 

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