Intervista all’economista Nino Galloni: moneta parallela e soldi ai cittadini per riattivare la domanda interna

In questi giorni in cui il dibattito sul MES è più acceso che mai abbiamo intervistato il professor Nino Galloni.  Economista, già direttore generale al Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica e a quello del Lavoro, ha ricoperto l’incarico di sindaco all’INPDAP, all’INPS e all’INAIL in rappresentanza del Ministero del lavoro e ha rappresentato il ministero all’OCSE. Ha collaborato con il professore Federico Caffè, docente presso la Cattolica di Milano, la Luiss di Roma e le Università di Napoli e Modena. Autore di numerosi saggi e studi di economia tra cui: La moneta Copernicana, Il grande mutuo, Moneta e società, L’economia imperfetta e molti altri. 

Professore le risorse stanziate dal governo Conte 2 sono sufficienti? Quante ne occorrerebbero?

Il problema sono le modalità del loro accesso, sono inadatte e omettono di partire dalla questione principale, la prima cosa da fare in una situazione come questa è il sostegno della domanda interna, ossia, io devo compensare il danno che deriva dall’emergenza stessa nelle tasche dei cittadini altrimenti, se i cittadino non sono in grado di andare a fare la spesa, per dirla banalmente, o non possono pagare quello che in genere pagano con il loro stipendio, è inutile dare alle imprese la possibilità di indebitarsi con le banche ancorché a tasso 0. Il problema è che il vero rischio che corre il paese è quello di compromettere il suo tessuto produttivo, che se ha il punto di forza nella piccola e piccolissima impresa ha in esso anche il suo punto di debolezza.

La Germania ha già messo nei conti correnti dei cittadini 5mila euro

Una piccola e piccolissima impresa se chiude per qualche mese, perché la fanno chiudere, perché la gente non ci può andare, perché non c’è mercato, perché la gente non ha più soldi per comprare, chiude per sempre. Invece, una media e grande impresa, che bene o male, traguarda degli investimenti e si indebita in funzione del fatturato. In generale per qualsiasi impresa la stella polare è il fatturato, sono le vendite, quindi, bisogna sostenere l’economia in modo che le vendite non crollino. La Germania ha già messo nei conti correnti dei cittadini 5mila euro, in Italia, invece, sono stati fatti linee di credito per l’imprese per cui ci saranno 400 miliardi 200 per le grandi 200 per le piccole, ma c’è il rischio che nessuno o pochi ricorreranno ai prestiti, perché è prematuro fare un discorso del genere.

Priorità al sostegno delle imprese

Prima occorreva sostenere il reddito delle famiglie e fare degli investimenti, ossia fare spesa pubblica. I due canali che abbiamo per sostenere la domanda interna, in una situazione come questa, sono i consumi privati e quindi bisogna dare reddito aggiuntivo e investimenti a spesa pubblica, mirati alle varie necessità, in primis a quelle sanitarie. Quindi quello che io trovo criticabile nella manovra del governo è che non è stata data la priorità al sostegno della domanda ma è stata data priorità al cosi detto sostegno delle imprese, si è, quindi, deciso di dare linee di credito preferenziali, ammesso che funzionino e che le banche poi non applicano tassi d’interesse diversi da quelli che si aspetta il governo.

Il punto è che io impresa che mi indebito seppur a tasso 0 devo considerare che da qui a X anni devo produrre un fatturato che rispetto al normale deve comprendere anche il necessario per questo rimborso. Quindi il problema non è il tasso d’interesse ma il concetto di indebitarsi e quindi di dover poi restituire tale cifra, ciò non è un sostegno alla domanda ma un differimento della riduzione del reddito.

Come da lei affermato la Germania ha versato sul conto di ogni singolo cittadino 5000 euro, questi soldi da dove sono stati presi?

La Germania può fare delle triangolazioni con la sua banca pubblica. Il governo emette dei titoli di stato che la banca acquista e poi si fa prestare i soldi dalla BCE.

Perché l’Italia non può fare lo stesso attraverso Cassa depositi e prestiti?

Lo chieda a chi ci governa, perché lo chiede a me? Tecnicamente basterebbe emettere un’obbligazione dalla Cassa depositi e prestiti o dal Mediocredito centrale o da Monte di Paschi di Siena, quindi fuori dal confine del debito pubblico e poi portarli alla Banca Centrale Europea e farsi dare liquidità. Rimane però, anche questa, moneta a debito. Diverso, invece, è se lo Stato immettesse della moneta non a debito, ossia biglietti di Stato o stato-note, diverse da quelle attualmente in circolazione. Questi non vengono più emessi da qualche decennio. Con il subentro dell’euro, per quanto riguarda le banconote la BCE che ha diritto di decidere quante ne devono essere immesse e autorizza gli stati al conio delle monete metalliche. Invece, questi biglietti di Stato o stato-note vengono direttamente immessi dallo stato che cosi paga i suoi fornitori, assume delle persone o da delle provvidenze a chi ne avesse bisogno.

Perciò in questo modo lo Stato ricorrerebbe alla piena sovranità monetaria?

Certo, ma lo Stato non ha perso la sua sovranità monetaria semplicemente abbiamo demandato alla BCE le competenze che una volta erano della Banca d’Italia. Questa stampava le banconote a debito, ossia, segnava a passivo il valore facciale delle banconote e ci comprava i titoli di stato che metteva all’attivo, questo fino al 1981. Dopo il divorzio della Banca d’Italia dal Tesoro, invece, non l’ha fatto più, emetteva i titoli che manda direttamente al mercato e se questo non li avesse assorbiti avrebbe dovuto accettare l’aumento dei tassi d’interesse fino alla saturazione dell’asta o dell’offerta.

Rimaneva però un debito pubblico interno, il paese non era ricattabile dall’esterno.

Interno fino ad un certo punto, perché quando il tasso d’interesse dopo l’81 è cresciuto enormemente i fondi di pensione americani, gli investitori istituzionali si sono buttati a comprarli perché molto convenienti. In termini reali rendevano il 7%, molto più della media degli investimenti industriali.

Lei per anni è stato pioniere della moneta complementare e dei certificati di credito fiscale, oltre che della moneta non a debito parallela all’euro. Ci potrebbe spiegare le differenze?

La moneta complementare è una moneta locale, in cui possono essere coinvolti anche i comuni e i consorzi di privati. È una moneta fiduciaria che si emette in un accordo interno al circuito che la gestisce, con varie tecniche anche a blockchain, oppure a sistemi di compensazione di crediti come il sardex il venetex ecc. La moneta statale, invece, non a debito a corso legale è una moneta parallela, quindi, c’è l’euro ma c’è anche in più questa aggiunta di moneta parallela, poi ovviamente c’è la moneta a debito che è quella che emette la BCE.

Secondo lei nel sistema in cui viviamo è realistico ora come ora utilizzare questa moneta parallela?

Prima di questa crisi io parlavo di un 3% di questa moneta parallela, in modo di andare a fare un disavanzo del 3%, avere un fabbisogno del 3% ma poi coprirlo con questa moneta parallela e realizzare cosi un pareggio di bilancio che ci avrebbe permesso, progressivamente di ridurre il debito pubblico in funzione della differenza fra tasso di crescita del PIL e il tasso d’interesse del debito stesso. Poi se il PIL fosse cresciuto ci sarebbe stato anche la riduzione del debito in rapporto al PIL, ma non solo, potevamo anche cominciare a pensare ad una riduzione dello stock nominale. Oggi con questa situazione d’emergenza consiglierei di immetterne molta di più, addirittura lo Stato italiano potrebbe emettere un biglietto di Stato, come tutti gli altri stati dell’unione europea non solo l’Italia, poniamo del 20% del PIL del 2019, depositarlo presso la BCE la quale in cambio darebbe moneta al tasso dello 0,25% e a scadenza distruggerebbe il biglietto di stato, quindi, si ritroverebbe ad aver finanziato l’economia senza creazione di debito.

In merito alla riunione dell’eurogruppo del giorno 09/04/2020 con la possibilità di usare il MES senza forti condizionalità ma solamente per far fronte alle spese sanitarie a quali scenari l’Italia si troverebbe ad affrontare?

La situazione importante di ieri sera erano gli eurobond o coronavirus bond, ovvero dei bond che fossero della comunità dell’Unione Europea e quindi di solidarietà complessiva, per cui ciascuno vi ci partecipava ma il rischio era condiviso. Contro questa soluzione sono andate le potenze del nord Europa e allora è stata attirata l’attenzione degli osservatori su una cosa che non c’entrava, questa storia del MES. Ciò rischia di essere la solita zappa sui piedi del governo italiano, perché ha creato i malumori dei 5stelle. Il MES riguardava tutt’altro, non era opportuno tirarlo in causa in questa situazione, anche per le eventuali gravi condizionalità che avrebbero riguardato un eventuale prestito all’Italia.

Il MES per distrarci dal fatto che dovremmo autofinanziarci tutto a debito.

Tra l’altro il MES è stato concepito per un paese che non riuscisse ad immettere il suo debito sul mercato, non era il caso italiano. Accettare il MES è come dire siccome i miei titoli non li vuole nessuno allora fatemi il prestito voi, ma non è il caso dell’Italia. Il punto è che bisognava distrarre l’attenzione dal fallimento del vertice riguardo i bond solidali per passarlo su una cosa che non c’entrava nulla. l’Italia sbaglierebbe a chiedere il ricorso al MES, anche se Conte firmasse, se il parlamento l’approvasse, cosa che dubito, poi bisognerebbe, eventualmente, avanzare la richiesta, 20miliardi-40miliardi, anche se la richiesta deve essere limitata intorno al 2% del PIL, quindi tra i 35-36miliardi, poco più di quello che abbiamo conferito. A mio parere questo discorso del MES è servito a distrarci dal fatto che dovremmo autofinanziarci tutto a debito.

Verso la rovina del tessuto produttivo del paese

Per quanto riguarda l’altra sua domanda, io credo che se in Italia non si va a soccorrere la domanda interna cioè la domanda effettiva, come ho detto all’inizio, si andrà verso la rovina del tessuto produttivo del paese che ha la sua forza ma anche la sua debolezza nella dimensione delle imprese che sono molto piccole, che non riusciranno a riaprire dopo un periodo di chiusura prolungato e a quel punto, in una seconda fase, non avremo più a sufficienza i prodotti di cui abbiamo bisogno.

A quel punto cosa dovremmo fare le esportiamo? Andiamo a creare disavanzo estero? Se facciamo disavanzo della bilancia commerciale i nostri titoli di stato diventano meno appetibili, quindi, rischiamo poi una situazione per la quale dobbiamo chiedere aiuto non al MES ma direttamente alla BCE con le Outright Monetary Transactions. A quel punto, saremo commissariati e governati dalla BCE, dalla Commissione e dal Fondo Monetario. Ovviamente, sono gli scenari peggiori, noi dobbiamo difendere il nostro tessuto produttivo in modo che dopo l’emergenza si ripreda una vita abbastanza normale, escluso qualche misura di carattere sanitario e sociale, non indifferente se pensiamo al turismo o allo spettacolo.

Mi pare che non ci sia né una visione del futuro, da parte di chi ci governa, né una valutazione puntuale di quelle che sono le priorità e le emergenze, che non è solo l’emergenza sanitaria ma anche l’emergenza produttiva.

L’ex Presidente della BCE M.Draghi dalle colonne del Financial Times ha esortato i governi a risollevare le loro economie facendo ricorso all’indebitamento massiccio, come in tempi di guerra, che con la fine dell’emergenza, proprio come succede a guerre finite, si cancella totalmente il debito contratto. Lei cosa ne pensa?

Draghi ha affermato esplicitamente una cosa importante ed implicitamente una cosa, per alcuni versi ancora più importante. La prima cosa è che bisogna guardarsi dalla distruzione del tessuto produttivo del paese, bisogna intervenire subito senza badare a come e quanto. La seconda, è che ha proposto un indebitamento che poi sarebbe stato cancellato al termine dell’emergenza, definendola come si fa con i debiti di guerra, implicitamente ci dice che il debito è insostenibile. Questa è la mia tesi da prima di questa emergenza. Tempo addietro avevo fatto delle ricerche secondo cui la redditività delle imprese nel 70-80% dei casi era negativa o insufficiente, per cui chiaramente era necessario cambiare il paradigma economico, invece, il restante 20-30% delle imprese, anche finanziare, facevano alti profitti, per quelle si doveva decidere politicamente se cambiare tutto il sistema oppure ritornare ad un sistema misto. Dove però misto non è l’Iri (Istituto di Ricostruzione Industriale), misto si intende che c’è il sostegno di quelle attività produttive che sono socialmente necessarie ma non sono più in condizioni di essere gestite capitalisticamente e di debito.

Perché l’attuale governo nel quale il Partito Democratico ha salutato con favore le proposte di Draghi sta ancora aspettando l’unione europea? perché stanno perdendo tempo?

Perché c’è questo mito, non riescono a vedere che c’è una disunione europea. Ieri sera ci sarebbe stato il suggello di questa disunione con la rottura sugli eurobond e, invece, sono riusciti a far credere all’opinione pubblica che c’era un accordo sul MES.

L’ex ministro dell’economia Vincenzo Visco intervistato dal giornale l’Antidiplomatico, pur criticando l’Europa, l’Olanda e la Germania afferma che l’Italia fuori dall’Europa si troverebbe in un vicolo ceco.

L’Italia ha avuto più danni che vantaggi dall’Unione Europea e dall’euro. Sarebbe però ancora peggio una decisione unilaterale di uscita dall’Unione Europea. Le passività del target2, le passività che abbiamo presso la BCE, ma soprattutto, il nostro debito pubblico lo dovremmo pagare in euro, salvo dichiarare un generale default. Se uscissimo adesso dall’Unione Europea senza aspettare il maturarsi degli eventi non sarebbe opportuno, ci favorirebbe, invece, un crollo dell’Unione e dell’euro. A quel punto non essendoci più l’euro potremmo monetizzare con la nostra moneta il debito pubblico e salterebbero le passività sopracitate. In questo momento invece ci troveremmo abbastanza male, io mi auguro che si possa trovare una strada diversa a livello europeo, con la BCE che fa da prestatrice di ultima istanza e con la moneta parallela che ciascun stato immette per la circolazione interna e il sostegno della domanda interna.

Non vi è rischio che una volta passata l’emergenza, se il rapporto deficit PIL schizzasse in alto, e le agenzie di rating come Moody’s, Standard & Poor’s  declassino il rating del nostro debito?

Si, io da anni affermo che bisogna fare un’agenzia di rating e considerare quella come unico riferimento. L’Italia negli anni in cui vedeva scendere sempre più il suo rating e aumentare i suoi tassi d’interesse, aveva in effetti dei fondamentali eccellenti, per cui non si capiva perché dovevamo essere così penalizzati, ma nessuno disse niente. Un’ altra strada che il piano di salvezza nazionale ha sottolineato come primo punto, è quello del coinvolgimento del risparmio privato nella gestione del debito pubblico. Se gli operatori speculativi ributtano sul mercato i titoli di Stato, prima delle scadenze, il risparmiatore italiano ci guadagnerebbe doppiamente, compra titoli ad ottimo rendimento e li compra ad un prezzo basso.

La globalizzazione sta subendo una battuta d’arresto, secondo lei, dopo questa tempesta, il paradigma economico cambierà o rimarrà cosi com’è?

Stava già cambiando prima, perché Trump, Putin, Xi Jinping e Modi si stavano orientando nel senso di dare più importanza alla crescita della domanda interna che non alle esportazioni, quindi, è chiaro che la globalizzazione è finita, non è finita per il Coronavirus ma è finita perché non funzionava più come modello. Ovviamente, non torneremo alle economie chiuse di ciascun paese degli anni ’30 ma dovremmo trovare un modello diverso. Io mi auguro che le grandi potenze si incontrino e trovino una nuova Bretton Woods che affronti le problematiche attuali. Non c’è dubbio che ci sarà un recupero/ritorno all’economia locale, in questi paesi come l’Italia, paesi trasformatori con grandi tradizioni alimentari, tecnologiche ecc potrebbero essere molto avvantaggiati, non a caso si sta buttando la croce addosso all’Italia.

La Germania cosa farà visto che ha basato la propria economia solo sull’esportazione?

La Germania è in grosse difficoltà, la sua situazione dopo l’emergenza sarà molto ridimensionata rispetto a quella che poteva essere qualche anno fa.

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