Il Ramadan e le moschee che mancano in Italia

Ieri per i musulmani è stato un giorno importante, il primo giorno del mese sacro di Ramadan, un mese di speranza e di fede, uno dei periodi da loro più attesi. In questo mese si digiuna, si prega, ci si purifica, fisicamente e mentalmente. Adesso, con la pandemia in corso, i luoghi di culto sono chiusi e le manifestazioni religiose si sono fermate, d’altronde in Italia le moschee non erano concesse neanche prima del COVID 19, ed è per questo che si parla di “associazioni “culturali” e non di moschee.

Ho conosciuto l’Islam a ridosso di Ramadan nel 2017 ed in quell’occasione ho visitato alcuni luoghi di culto islamico romani, nelle calde serate di un giugno capitolino afosissimo (nel 2017 il calendario lunare fece cadere Ramadan a giugno), quando i fedeli si riuniscono per la rottura del digiuno, l’Iftar, la condivisione del cibo, la preghiera serale. Dopo la cena molti fedeli si trattengono fino a tarda notte a parlare, a pregare, a studiare.

La moschea un luogo utile, versatile, accogliente

La moschea non è solo un luogo di preghiera, è un luogo di incontro. Vi si prega, ma si studia, si parla, si conosce, ci si confronta, si mangia, si riposa. È un po’ come uno di quei “centri polifunzionali” di cui tanto parla l’architettura contemporanea: un luogo utile, versatile, accogliente, aperto e che viene amato da chi lo frequenta.

Adesso, con la pandemia in corso, i luoghi di culto sono chiusi e le manifestazioni religiose si sono fermate. I fedeli dovranno vivere questo Ramadan in un modo diverso, ma credo che sapranno adattarsi, come hanno sempre fatto nei secoli e come dimostra la loro storia. D’altronde in Italia le moschee non erano concesse neanche prima del COVID 19, ed è per questo che si parla di “associazioni “culturali” e non di moschee.

In Italia, abituati alla religione cattolica

L’architettura religiosa in Italia si rivela essere un tema un po’ banale e un po’ controverso. Siamo nel paese dello Stato Vaticano. Abbiamo chiese ovunque. Chiese più grandi, chiese più piccole. Cattedrali, chiesette. Monasteri, conventi. In pochi sanno perché esistono questi “tipi di chiese diverse”, siamo abituati alla religione, alla religione cattolica. Ma con la globalizzazione e il libero movimento di persone e merci si sono spostate anche le religioni, necessità intangibili, inviolabili.

Il bisogno di pregare

Chi si sposta ricomincia la propria vita altrove ed ha bisogno di spazi, di case, di scuole, di servizi. Ha bisogno di pregare. E se ci si sposta in tanti nascono comunità diverse, in luoghi diversi. Che la preghiera sia una delle primarie necessità dell’uomo ce lo dice anche la nostra Costituzione, che garantisce il diritto di preghiera, insieme o da soli. Ma torniamo all’architettura religiosa in Italia, in particolare ai luoghi di culto musulmano, che sono quelli che conosco, anche se il discorso può esser fatto anche per altre religioni “minoritarie”, cosiddette.

Dove pregano i Musulmani in Italia? Dove si riuniscono?

Il nostro paese ha permesso la costruzione/ ufficializzazione di cinque moschee (siamo forse arrivati a 6 recentemente). Cinque moschee in tutto il territorio nazionale, eppure l’Islam è una delle religioni più presenti sul territorio italiano, a seguito di fenomeni migratori e della conversione di un cospicuo numero di italiani. I musulmani sono aumentati e sono destinati ad aumentare in Italia. Ma dove pregano? Dove si riuniscono?

La religione come segno di appartenenza a una comunità

L’Islam vuole cinque preghiere giornaliere. Vero è che il musulmano può pregare anche nell’intimità della propria casa, ma la religione è un fatto anche comunitario, non solo intimo. E così le comunità musulmane in Italia hanno ricreato, per quanto possibile, i propri luoghi di culto in Italia. Buona parte di questi luoghi non sono vere e proprie moschee, sono sale di preghiera, le musallah, dove si prega quotidianamente, prendendosi dei momenti di pausa dalle quotidianità. La preghiera dura pochi minuti e poi generalmente ognuno torna alle proprie attività. Tranne il venerdì e durante le feste. In questi momenti l’Imam fa un sermone e si resta in moschea, a studiare, discutere e passare il proprio tempo.

La Jami Masjid e la Moschea del Venerdì

Nei paesi musulmani c’è una grande moschea, la jami masjid o moschea del venerdì, dove andare durante le feste o le preghiere più importanti. Si tratta di un edificio maestoso, con tutte le caratteristiche stigmatizzate del luogo di culto: minareto, giardino, fontane, l’indicazione della Mecca tramite una piccola nicchia, il pulpito (mirhab e minbar), uno spazio dedicato alle donne e tutta una serie di simboli e decorazioni tipiche (che variano in base all’area geografica in cui ci si trova). Poi ci sono delle piccole sale di preghiera, le musallah, sparse per la città. Più piccole, più semplici e che contengono gli oggetti necessari al culto: l’indicazione della Mecca e lo spazio per svolgere il lavaggio purificatorio necessario prima della preghiera.

La mancanza di aiuto da parte dello Stato italiano

Dunque, cosa è successo in Italia? Le comunità hanno fatto quel che hanno potuto, negli spazi a disposizione. Certo, nelle città consolidate è difficile trovare spazi vuoti abbastanza ampi da contenere una comunità numerosa, ma ci sono garage, magazzini dismessi, depositi di grande dimensione. Ed è lì che troviamo un ibrido tra la moschea del venerdì e la musallah: uno spazio per le preghiere quotidiane, le preghiere delle “feste”, la scuola coranica e dove si passa il proprio tempo. Ed è difficile realizzare qualcosa nelle città consolidate se lo Stato non è d’aiuto, ed in Italia lo Stato non è d’aiuto.

Il diritto di culto

La legge è farraginosa (come sempre), non è chiara, è fatta di tanti livelli ed interpretazioni differenti. Le comunità sono composte da persone che vogliono solo pregare e lo Stato da un lato garantisce il diritto al culto (con la Costituzione) e dall’altro non permette la realizzazione o l’ufficializzazione dei luoghi di culto non cattolici (non tutti almeno).

Religioni di serie A e di serie B

Per chiarire la questione è necessario dire che le religioni in Italia si dividono tra quelle che hanno l’intesa con lo Stato (considerate in pratica confessioni di serie A ) e quelle che non hanno l’intesa con lo Stato. Senza intesa non sono garantiti tutta una serie di diritti e anche se quello di culto essendo un diritto fondamentale non dipende dall’Intesa, bisogna constatare che le confessioni che hanno l’intesa hanno molta più facilità a realizzare i luoghi di culto in virtù del loro maggior radicamento storico e peso politico. 

Nessun intesa tra Islam e Stato Italiano

L’intesa tra stato e religione è un patto, da scrivere sulla falsa riga dei patti lateranensi (mussoliniani), che dovrebbe servire a definire i rapporti con la religione in questione. Ma non tutte le religioni riescono a sottoscrivere l’intesa. L’Islam ad oggi non ha ancora siglato un’intesa cono lo Stato Italiano. 

Per fortuna la città è un organismo fatto dalle persone e non dalle leggi e non dagli architetti. E così le comunità di fedeli musulmani sono riuscite ad avere i propri luoghi di culto attraverso l’auto-organizzazione e l’autogestione delle proprie necessità: questi spazi non rispecchiano esattamente l’idea comune di luogo di culto, non posseggono elevate qualità architettoniche, ma funzionano e sono un punto di riferimento per i fedeli. Questo è il primo passo.

La città si evolve e lo fa da sola. Succede da sempre e sempre accadrà.

Ho avuto la fortuna di studiare a Roma e Milano e ho visto grosse differenze tra i luoghi di preghiera romani e quelli milanesi.

I luoghi di preghiera a Roma

A Roma i luoghi di culto rispecchiano comunità più recenti, sicuramente meno organizzate. Sono concentrati in periferia, nei quartieri in cui si sono insediate le comunità musulmane, che spesso si dividono per luoghi di provenienza. A Tor Pignattara, per esempio, c’è una maggioranza di Bengalesi, a Centocelle una maggioranza di persone provenienti dal Nord Africa. Non c’è divisione fra le comunità, ognuno può pregare dove vuole, ma ci si riunisce nel posto più vicino alla propria casa o al proprio lavoro. Sono sale di preghiera di prossimità, per fare un paragone chiarificatore, sono un po’ come le piccole chiese di quartiere, a cui si affianca la grande cattedrale.

Le musallah romane

A Roma, come dicevo, sale di più recente costituzione, solo alcune vantano una storia ventennale. Alcune sono molto piccole, alcune sono più grandi e meglio organizzate, ed ospitano scuole coraniche importanti. A livello architettonico il format è simile: uno scantinato, un grande garage un ex-magazzino, una decorazione e un pulpito sulla parete che guarda verso la Mecca e uno spazio reso sterminato dai tappeti tutti simili, che indicano la dimensione e la posizione del fedele in preghiera.

Quando sono entrata la prima volta in una musallah ero emozionata. Era un grosso garage a Tor Pignattara, l’ingresso era la rampa di discesa delle auto. Tappeti ovunque, decorazioni alle pareti, orologi con le varie ore del monde ed una genuina accoglienza.

In genere le musallah romane sono composte da una sala, più o meno grande, dagli spazi per le abluzioni ed in alcuni casi uffici, sale per la scuola e spazi dedicati alle donne. Questi spazi si trovano inseriti nel tessuto consolidato della città, ovvero sono spazi presi in prestito nella periferia cittadina, quella periferia che ha una struttura ed un tessuto che la avvicinano più alla vivibilità cittadina che all’alienazione del quartiere-dormitorio. Sono spazi esistenti inutilizzati, che le comunità islamiche hanno affittato, vi hanno creato le proprie “associazioni culturali”, e adattato le proprie necessità allo spazio a disposizione.

I luoghi di culto a Milano

A Milano e nell’interland milanese la situazione è diversa. Per prima cosa questi spazi si trovano, sì, nella periferia, ma anche nei comuni limitrofi, questo perché Milano ha una struttura completamente diversa rispetto a Roma. Roma comprende periferie sconfinate, Milano è più piccola, ma i comuni con cui confina sono, in un certo senso, essi stessi parte della città, per cui ha senso che le comunità musulmane vi si siano stanziate nel tempo.

La seconda peculiarità milanese è, come dicevo, la più lunga storia di queste comunità. Questa si riflette negli edifici. Troviamo edifici molto più grandi e strutturati, posti sia all’interno del tessuto urbano sia in posizione isolata. Oltre alla grande sala di preghiera e a tutti gli elementi presenti a Roma, qui troviamo sempre uno spazio dedicato alle donne, e poi uffici, aule, palestre, piccole sale conferenze, spazi per la distribuzione di cibo, indumenti, libri, cortili. Addirittura in un caso c’è uno spazio dedicato al teatro dei bambini.

Le sale di preghiera, che restano il fulcro dell’edificio, sono mediamente più grandi rispetto a Roma, maggiormente decorate, in un caso ho trovato un mirhab opera di un artista musulmano, Gabriel Mandel Khan. I luoghi milanesi sono lo specchio di comunità più “anziane”, riuscite nei decenni a strutturarsi, a spostarsi in luoghi più grandi, dove hanno potuto, man mano, organizzare gli ambienti in base alle proprie esigenze. Qui le sale di preghiera si avvicinano maggiormente all’idea di moschea dal punto di vista funzionale, raccogliendo in sé ambienti adibiti a vari usi.

Anche a Roma le comunità utilizzano i propri luoghi in maniera multi-funzionale, ma in Lombardia gli spazi sembrano essere più adeguati e sono gli spazi ad adattarsi alle esigenze della comunità, non è la comunità ad adeguarsi a quello che la città gli ha momentaneamente offerto. Lo trovo un grande passo avanti nella direzione della definizione di un vero luogo di culto, almeno per quanto riguarda la sensazione fornita ai fedeli ed ai membri della comunità. Per quanto riguarda l’aspetto legislativo, anche qui siamo di fronte a luoghi che vengono ufficialmente definiti “associazioni culturali”.

Urbanizzazione secondaria

I luoghi di culto in genere sono definiti come “urbanizzazione secondaria” (al pari di scuole o parchi pubblici) nella legge urbanistica nazionale. Questa definizione porta i poteri decisionali sui luoghi di culto al livello regionale. Le regioni hanno una propria legge urbanistica, spesso creando disomogeneità tra le regioni. In ultimo abbiamo i comuni, gli enne-mila comuni presenti in Italia che sono di fatto quelli che, in base alle leggi regionali, hanno l’ultima parola sulla nascita dei luoghi di culto.

In sostanza una catena decisionale viziosa che porta un diritto primario a divenire oggetto di contese e propagande politiche. Ma come detto, un modo c’è, e sono le associazioni culturali.

Le associazioni culturali sono facilmente istituibili e le loro attività si possono svolgere in qualsiasi edificio perché, per legge, non hanno bisogno di specifiche destinazioni d’uso urbanistico, ma solo di rispettare le regole di igiene e sicurezza.

L’uomo è un animale sociale

Certo, l’aspirazione di ogni comunità religiosa è di avere luoghi di culto ufficiali, riconoscibili, propri ed intoccabili, l’essere umano ha bisogno di punti di riferimento per vivere serenamente la propria interiorità ma anche la vita comunitaria, che è l’aspetto che ci caratterizza maggiormente.

Come si dice, l’uomo è un animale sociale, anche se in questo periodo stiamo cercando di non pensarci.

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