Il ruolo della religione nella critica da sinistra al neoliberismo

Contro Golia (2020, Rogas edizioni) è un libro che prova a disegnare quell’orizzonte di senso che manca nella critica al neoliberismo inteso non solo come paradigma politico-economico. L’obiettivo è perseguito affrontando anche filosoficamente il nodo di una declinazione alternativa alla destra di concetti come “nazione” e “sovranità”, e tirando in ballo anche la religione. 

Contro Golia – Manifesto per la Sovranità Democratica è una pubblicazione che inaugura la collana di studi politici Inciampi della Rogas edizioni. E’ un libro scritto a quattro mani dove l’economista Gabriele Guzzi dialoga con il filosofo Geminello Preterossi su temi come la crisi di rappresentanza democratica e il deserto valoriale conseguenti a 30 anni di neoliberismo incontrastato. Il tentativo è quello di formulare una seria proposta politica progressista, sgombra da feticci come Greta e, “senza ottusità neotradizionaliste e senza sessuofobia”, sgombra anche da ossessioni come la fluidità di genere.

E’ un’operazione in controtendenza rispetto al fatto che dopo l’anti-Berlusconismo, l’anti-Salvinismo, l’anti-sovranismo e l’antifascismo 2.0, probabilmente nel centrosinistra ci si inventerà qualche altro fantasma per tirare a campare come argine a non si capisce cosa. Dovrebbe essere ormai evidente che l’elettorato storico della sinistra non è più recuperabile con questo tipo di “proposta anti”, neanche colorandola di verde pisello o di pisello arcobaleno. Invece dal crollo dell’Unione Sovietica la sinistra non ha più un moto proprio e non si è mai dotata di una nuova bussola.  

Il contesto in cui nasce la riflessione del libro 

Dopo il referendum sulla Brexit a giugno 2016 e dopo l’elezione di Trump con i voti della working class alle presidenziali americane sempre del 2016, nel 2017 si è finalmente sviluppato in Italia un dibattito politico e culturale distante sia dal becero nazionalismo che dal cieco europeismo e che, alla luce del protrarsi della crisi economico-finanziaria che ha avuto i suoi picchi nel 2008 e nel 2011 ma che è strutturale, cerca di affrontare il problema della crisi di rappresentanza democratica che si è venuta a creare con l’adesione all’Euro, una moneta senza stato, e col mantra del “ce lo chiede l’Europa”.

Una riflessione che non si è nemmeno posta la questione della possibile rielezione di Trump alle presidenziali 2020, perché non si illude di tornare a prima della stagione del cosiddetto populismo riproponendo cioè lo schema odierno del centrosinistra che ha di fatto spianato la strada al neoliberismo negli ultimi 30 anni. 

“La rivitalizzazione costituzionale dello stato nazionale è condizione necessaria per ri-democratizzare e agire sugli strumenti politici di regolazione dell’economia. La sfida è un progetto di riconquista di soggettività e politica del lavoro per declinare in senso progressista l’interesse nazionale, inteso come tutela delle istituzioni e delle risorse economiche e sociali necessarie a garantire il perseguimento degli obiettivi indicati dalla nostra Costituzione, in un orizzonte di cooperazione europea e internazionale”. Sono parole del deputato Stefano Fassina (Controvento, 2018) impegnato anch’egli in questa riflessione e dal punto di vista della politica interna questa proposta non differisce molto da ciò che da sempre fa la Germania la quale però detta legge nell’Unione Europea. 

Rispetto alla suddetta proposta il libro di Guzzi e Preterossi fa un passo indietro filosofico per far fare un passo avanti alla proposta politica.

Il ruolo della religione

Nel criticare i disastri del neoliberismo si può scivolare facilmente in proposte di ritorno al passato in termini di schemi politici obsoleti oppure, da un punto di vista più filosofico, in termini di aspirazioni neotradizionaliste. Ma la modernità è un fatto irreversibile, così come la sua azione secolarizzante. E’ possibile però portare avanti una critica neo-moderna alla modernità per “superare il neoliberismo proprio dove ha fallito… partendo dalla sua promessa disattesa di liberazione del soggetto” che è “una promessa di emancipazione”. Siamo veramente più liberi di 30 anni fa? La flessibilità del lavoro ha dato slancio all’economia oppure il precariato acuisce le conseguenze della crisi economica? Con questo modello di sviluppo è davvero possibile per “tutti” raggiungere la felicità oppure il soddisfacimento dei bisogni minimi necessiterebbe di quel welfare che una volta era tenuto in vita per drenare consensi al comunismo? 

Un altro rischio da tener presente è quello di una radicalizzazione neoliberista che si nutre di un rinnovato sentimento antireligioso per distogliere l’attenzione dal suo innegabile fallimento e per convogliarla verso i presunti pericoli dovuti ad una mancata secolarizzazione assoluta. Ora c’è il monopolio mediatico della conta dei morti ma non va dimenticato che fino ad un anno fa eravamo periodicamente raggiunti dalla narrazione sul pericolo islamico. Sono passati già 20 anni da quando Tiziano Terzani, nel discutere con Oriana Fallaci, individuò il tentativo da parte dell’occidente di fare dell’Islam il nemico con cui sostituire il Comunismo dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

Per Guzzi e Preterossi il contributo del pensiero religioso potrebbe svolgere un ruolo importante nella ri-definizione di “una visione più ampia del presente e dell’uomo contemporaneo per disegnare quell’orizzonte di senso che manca nella critica al neoliberismo inteso non solo come paradigma politico-economico, essendo esso molto “produttivo di immagini, simboli, miti e visioni molto potenti” che alimentano “il sogno di una liberazione a tutto tondo” mai avvenuta. 

Le questioni etiche nell’agenda neoliberale 

Quando una riflessione si spoglia delle incrostazioni accumulatesi in decenni di mancata riflessione tutti i totem ideologici finiscono per dissolversi. Le questioni etiche possono essere affrontate da diversi punti di vista e in una società libera ci deve essere lo spazio per una discussione plurale. 

Ad opporsi alla genetica liberale, tanto per fare un esempio scottante, non ci sono solo ottusi bigotti ma anche filosofi atei del calibro di Jurgen Habermas. La questione di fondo per Guzzi e Preterossi è che la piena liberazione del soggetto e la sua dignità presuppongono “il ripudio della mercificazione, della riduzione a merce della persona, di parti della persona o della sua attività lavorativa”. A sinistra non può essere vietato chiedersi: “siamo solo materiale organico, che può essere gestito, mercificato o trattato tecnicamente, come si fa con qualsiasi altro materiale, o siamo altro?”. Chi crede che siamo anche altro deve avere il coraggio di dirlo. Nel trattare temi come l’utero in affitto non si deve avere paura di sostenere una tesi, come quella del libro, secondo la quale “il diritto ad avere un figlio non può rientrare nell’ambito di un diritto soggettivo”. 

La pluralità in Italia 

 In Italia in pratica non c’è mai stata una riflessione seria sulla società globale post-secolare e sul rapporto tra religioni e spazio pubblico. Già John Raws (1993) aveva affermato che nella modernità lo stato si laicizza ma la società non segue di pari passo la secolarizzazione. Subito dopo le reazioni all’11 settembre Habermas ha avviato la sua critica al laicismo sclerotizzato del liberalismo contemporaneo. Nell’analizzare la società globale nella quale viviamo Habermas sostiene che sia in corso una rinascita delle religioni che andrebbe valorizzata e convogliata anche nel dibattito politico. Invece nel tessuto sociale delle grandi metropoli occidentali, tra cui città come Roma e Milano, abbiamo una oggettiva pluralità religiosa alla quale purtroppo non corrisponde una società plurale.   

Sulla necessità di un pluralismo che metta sullo stesso piano le persone non credenti e quelle credenti, oltre che quelle con diverso credo religioso, riflettono sia pensatori che credono nell’esistenza di un fine ultimo per gli uomini nella loro storia, come il teleologo comunitarista Charles Taylor, sia liberali contrari alla teleologia, come Isaiah Berlin. Berlin non credeva in un’umanità votata ad una causa ultima, né in senso religioso né in senso aristotelico, ma ha sviluppato l’importante concetto di libertà passiva, l’essere liberi DA, che si distingue dalla libertà attiva, l’essere liberi DI.

In una società veramente libera si deve essere liberi anche dal dover dimostrare il proprio grado di secolarizzazione e, soprattutto a sinistra, questa libertà non è affatto scontata. Una società veramente libera deve escludere dal dibattito pubblico solo l’intolleranza (Paradosso di Popper, 1945) e quest’ultima non è affatto monopolio del pensiero religioso. 

In Italia quando si parla del ruolo della religione nello spazio pubblico abbiamo una posizione ambivalente nei confronti del cattolicesimo, siamo incapacitati a parlare degli ebrei, e poi c’è il siparietto del dialogo interreligioso in cui ingabbiare le altre minoranze, soprattutto quella islamica. Ma questo schema è illiberale perché è un recinto confessionale che schiaccia tutte le minoranze sotto il peso della chiesa cattolica. Quest’ultima resta l’unica confessione ad avere un peso nel dibattito pubblico, con tutto quello che questo suo ruolo comporta dal Risorgimento ai giorni nostri e passando per il persistere di anacronistici privilegi acquisiti nel ventennio fascista.

Per rinverdire invece la riflessione pubblica col contributo del pensiero religioso, che incontri quello di pensatori non credenti, è necessario creare uno spazio plurale per la ricerca di un accordo sui principi e per giungere a quel “consenso per intersezione” del liberalismo politico di John Raws. Per Habermas, in questa dinamica, il contributo del pensiero religioso dovrebbe essere formulato in un linguaggio de-confessionalizzato, pena la sua inefficacia, ma in verità siamo ancora al problema di dare cittadinanza, anche politica, al pensiero religioso.

Era ora che qualcuno sollevasse la questione anche in Italia.