Israele non è ebraico e democratico ma è uno Stato binazionale di apartheid

Fa parte della battaglia contro l’ingiustizia lottare per impedire che questa venga nascosta. Nella lettera in cui il ministro dell’istruzione, maggior generale Yoav Gallant, ha cercato di impartire ordini al sistema educativo, ha affermato di essere contro le “menzogne” e in favore di un Israele “ebraico e democratico.”

Tuttavia Gallant sta chiaramente mentendo, perché Israele non è né giudaico né democratico. Qui la realtà è bi-nazionale, c’è parità demografica, ma con supremazia ebraica e apartheid.

Si può e si dovrebbe ridicolizzare il penoso sforzo di Gallant; un tentativo aggressivo, fatto per scopi politici dal ministro dell’educazione, che non è il primo a seguire questa falsa strada. Ciò detto, forse vale la pena fermarsi un attimo a pensare se le sue azioni mirano a qualcosa di più profondo, qualcosa che ha a che fare con sentimenti che sono comuni a molti di noi. 

In un certo senso, coloro che sostengono che nulla c’è di nuovo nel descrivere Israele come un regime di supremazia ebraica che opera fra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo hanno ragione.

Non c’è niente di nuovo, perché la maggior parte di noi conosce la verità e la conosce da molti anni. Certo, quello che si sapeva era avvolto in una cortina di spiegazioni, scuse, aggressività e repressione. Tuttavia, anche se appena sottopelle, noi lo sapevamo.

Lo sappiamo per una gita fatta nel fine settimana passando attraverso un villaggio distrutto sotto la foresta del Fondo Nazionale Ebraico, lo sappiamo per quello che non vediamo oltre il muro che costeggia Route 433 e da quello che non vediamo quando passiamo vicino a un checkpoint. Lo sappiamo ogniqualvolta MK Ayman Odeh è intervistato in televisione; o quando vediamo uno di quei cartelli rossi in Cisgiordania che avvertono i cittadini israeliani che è illegale e pericoloso per loro entrare nel territorio dell’Autorità Palestinese; lo sappiamo ogni volta che un ebreo tira un sasso e ogni volta che il sasso lo tira un palestinese; lo sappiamo ogni volta che una bandiera israeliana sventola da un’altra casa a Silwan, a Gerusalemme est. 

Quando vediamo una macchina scavatrice apparire tra le immagini delle notizie della sera, sappiamo di che si parla anche se la TV non ha audio. Lo sappiamo quando uomini politici ebrei parlano della “minaccia demografica” e di una maggioranza ebraica –tutti loro lo fanno-, lo sappiamo anche quando un altro olivo è sradicato, un’altra casa è rasa al suolo e un altro ragazzo di 16 anni è arrestato. 

Potrei continuare e sprecare molte altre parole, ma a che scopo? Sapevate esattamente di cosa stavo parlando appena ho cominciato. Tutti lo sanno.

Fa paura parlare di ciò che tutti sanno. Fa meno paura non farlo, continuare a far finta che il problema sia “laggiù” – laggiù nei territori, in futuro e un’altra volta. Ma non qui e non ora. 

È possibile continuare a far finta che non ci sia un problema con Israele, e che al massimo (o forse è già laggiù) ci sarà un problema con l’occupazione- laggiù. Ma questa frase è nei fatti falsa.

Dopo tutto, chi esattamente sta facendo l’”occupazione” (laggiù) se non lo Stato (che è qui)? Tu, che vivi qui: l’ultima volta che sei stato, diciamo, al Mar Morto; non hai pensato che tu eri “laggiù”? I principi di laggiù e di qui sono gli stessi: anche qui non ci siamo mai sforzati di “favorire lo sviluppo del paese a beneficio di tutti i suoi abitanti” (come falsamente proclama la Dichiarazione di indipendenza del 1948). Piuttosto, abbiamo sempre visto “lo sviluppo dell’insediamento ebraico come un valore nazionale” (come dice la Legge Fondamentale su Israele come Stato-Nazione del popolo ebraico, approvata nel 2018, che ha messo fine alla menzogna).

Fa paura accorgersi che il solo Stato che abbiamo costruito qui opera in regime di apartheid. Non nel futuro, non se e quando, non “oltre alle montagne dell’oscurità.” (Montagne? Di fatto sono colline, distanti solo un quarto d’ora).

Per quanti anni avete ascoltato avvertimenti, espressi al futuro, sull’essere a due minuti dalla mezzanotte o su quello che succederà se un particolare insediamento viene costruito, o se un solo centimetro quadrato è ufficialmente annesso (solo ufficialmente!), 

E se e se e se. Sempre con la forma di una frase espressa al condizionale e nel tempo futuro- la sintassi della repressione.

Ma sono passati molti anni, e l’orologio non si è mai fermato. Forse quel particolare insediamento non è stato costruito, ma ne sono stati costruiti molti altri. E forse non è stato annesso un altro centimetro quadrato ufficialmente, ma il nostro totale controllo “laggiù” non dipende da questo. Perché l’annessione de facto, quel tipo di annessione che ci consente di creare sempre più fatti sul terreno, è successa molto tempo fa. 

Senza frasi al condizionale e usando il tempo presente- la sintassi della realtà- l’ora non è due minuti a mezzanotte; l’ora è già oltre la mezzanotte. Israele non è uno “stato ebraico e democratico” ma è uno Stato bi-nazionale e non democratico, con parità demografica ma con un regime di apartheid che assicura la supremazia di metà della popolazione, gli ebrei, sull’altra, i palestinesi. 

Il professor Eddie Glaude Jr., nel suo libro, “Begin Again,” ha scritto, dei “presupposti narrativi che supportano l’ordine quotidiano della vita, che significa che li respiriamo come l’aria, li consideriamo verità, li assorbiamo nel nostro carattere.” Analizzando la situazione negli Stati Uniti e il divario fra la promessa di una democrazia multirazziale e la realtà, e le varie manifestazioni di violenta supremazia bianca nella storia, ha semplicemente definito la collezione di ipotesi narrative che permettono ai bianchi di non vedere “la menzogna.”

Una versione Israele/Palestina di questa menzogna esiste anche qui. Per molti di noi, queste sono le assunzioni narrative che sostengono il nostro modo di vivere qui- essere ebrei e democratici, un’occupazione temporanea e una soluzione futura. 

Possiamo continuare a respirare la menzogna come l’aria, ma possiamo anche fermarci. Fa certamente paura. Ma perché una vita diversa possa emergere qui, per tutti noi, è necessario farlo. E questa, molto semplicemente, è la verità. 

Hagai El-Ad is the executive director of B’Tselem.

Articolo di Hagai El-Ad pubblicato sul quotidiano israeliano Haaretz