Anche il divieto di parlare di Palestina in moschea nella nuova legge francese contro i musulmani

Lunedì 1 febbraio è arrivato all’Assemblea nazionale francese controverso disegno di legge contro il cosiddetto “separatismo”.

Il disegno di legge noto che ha lo scopo dichiarato di “consolidare il rispetto dei principi della Repubblica”,  non inganna nessuno ed è diretto inequivocabilmente ai musulmani, alle loro pratiche e all’espressione della loro fede, facendo dei luoghi comuni una stigma legale.

Parlando di divieto di certificati di verginità, criminalizzazione della poligamia, limitazione dell’educazione domiciliare, il governo francese di Jean Castex ha mostrato una fantasia particolarmente fertile puntando il dito contro le pratiche attribuite ai musulmani, pur avendo cura di non confrontare mai le tue tesi con cifre o studi dettagliati.

Queste disposizioni hanno suscitato scalpore trai musulmani, ma altre misure sono altrettanto problematiche e talvolta equivalgono a intimidazioni e attacchi.

Lo Stato vuole imporre a tutte le associazioni che chiedono un contributo pubblicola firma di una “carta laica” 

Anche le federazioni di moschee e le associazioni che gestiscono luoghi di culto dovranno firmare una “carta dei principi per l’Islam di Francia”, in caso contrario il ​​governo “vigilerà con particolare attenzione  a quello che accade in quei luoghi di culto” parole testuali di Gérald Darmanin, ministro dell’Interno

Darmain si è compiaciuto del fatto che questa legge conferisca allo Stato “poteri estremamente forti per intervenire, d’ora in poi, per combattere non solo il terrorismo ma anche il separatismo”.

In partiicolare, i firmatari dovranno affermare che “nessuna convinzione religiosa può essere invocata per sottrarsi agli obblighi dei cittadini inducendo, di fatto, un’incompatibilità tra il rispetto della propria religione e il rispetto della legge.

La “carta” ricorda anche che la “misoginia” è un reato “, riproponendo, anche in quel caso , uno stereotipo ben radicato nelle società occidentali. quello che le donne siano disprezzate dai musulmani.

“I firmatari di questa carta si impegnano ad accettare di discutere e interagire con i loro correligionari senza qualificarli con giudizi teologici o politici dettati da teorici, ideologi o stati stranieri” continua il testo nel suo articolo 5.

Questa frase, ancora una volta, utilizza un vocabolario inteso a suggerire che qualsiasi posizione contestata sarebbe “dettata” da un’entità esterna, dando credito all’idea di una cospirazione o di un’acquisizione nascosta.

Sarà poi vietata qualsiasi presa di posizione politica nei luoghi di culto, soprattutto per quanto riguarda i “conflitti in atto in altre parti del mondo”.

Questa disposizione apre la porta a un divieto formale di affrontare la questione palestinese, quella degli uiguri o anche dei rohingya.

Allo stesso tempo, i firmatari del testo si impegnano “a rifiutare di prendere parte a qualsiasi processo che promuova quello che è noto come Islam politico”, senza mai definire questo concetto.

L’Islam politico è molto spesso presentato come uno spaventapasseri all’interno della sfera politica francese, che gli attribuisce persino il velo, sostenendo che è uno dei segni di appartenenza al movimento.

Le moschee “devono chiaramente rifiutare qualsiasi interferenza dall’estero nella gestione delle loro luoghi di culto e nella missione dei loro imam”, inducendo, ancora una volta, il fatto che i cittadini musulmani stabiliti in Francia dovrebbero rompere con l’approccio religioso dei loro paesi originali.

Infine, la carta affronta la questione del razzismo istituzionale da un’agolatura sorprendente.

“Le denunce di un presunto razzismo di Stato, come tutte le posizioni di vittimismo, equivalgono a diffamazione” scrivono i firmatari in bianco e nero, contraddicendo le analisi dettagliate e gli studi di dozzine di Ong e associazioni per i diritti umani.

Si ricordi, inoltre, che la Francia è stata più volte condannata per atti che rientrano nel razzismo, come, ad esempio, i controlli su base etnica effettuati dalla sua polizia.

Per concludere, questa controversa Carta consente l’esclusione di tutti gli organi rappresentativi dell’Islam in Francia in caso di mancato rispetto delle sue disposizioni.

In questo modo, il Consiglio Francese del Culto Musulmano, che ha firmato la carta all’Eliseo, alla presenza di Emmanuel Macron e Gérald Darmanin, sottoscrive l’esclusione e l’emarginazione di alcuni rappresentanti musulmani.

Autorevoli fonti di stampa hanno scritto invero le autorità, quando non hanno nulla da rimproerare alle strutture gestite da musulmani ma vogliono intimidirle, sanzionarle e hanno utilizzato per questo il controllo amministrativo.

Controlli fiscali, standard di sicurezza e persino controlli igienici fanno ora parte dell’arsenale schierato per monitorare incessantemente associazioni, moschee e istituti di ristorazione gestiti da musulmani.

In questo modo, se lo Stato non riesce a chiudere strutture sulla base dell’ideologia dei suoi dirigenti, tutelata dalla legge, può sperare che segnalando guasti o lacune di sicurezza, si possa decretare una possibile chiusura amministrativa.

Mediapart ha rivelato, lunedì, che “grazie alle un centinaio di cellule dipartimentali per la lotta contro l’islamismo e il separatismo musulmano  (Clir) dispiegate su tutto il territorio, lo Stato avrebbe potuto così effettuare 18.000 operazioni di controllo e ha deciso di chiudere 400 strutture” comunitarie ” sospettate di radicalizzazione ”.

Secondo il quotidiano online, il metodo impiegato è semplice: “prendere di mira la comunità cecena, kebab halal o barbieri musulmani”.

Per fare ciò, il Clir “sollecita gli ispettori del lavoro” che, da parte loro, denunciano “rivendicazioni xenofobe e violazioni del principio di indipendenza”.