Nel suo La Cappa Veneziani racconta l’oppressione progressista

I libri in libreria li acquisto d’impulso, meglio sarebbe dire li acquistavo. Non posso più andare in libreria poiché sprovvisto del lasciapassare verde che attesta la sottomissione al dettato governativo-sanitario, e così, perduto il piacere di gironzolare tra di loro, sentirne il profumo, toccarli, sfogliarli, di farmi scegliere da loro, perché alla fine avevo la sensazione che fossero loro a scegliere me e non viceversa, mi rassegno a cercarli su Amazon; voilà, un semplice click col mouse del computer, questione di attendere un paio di giorni, il libro arriva. 

La Cappa è l’ultimo libro che Amazon mi ha gentilmente recapitato a domicilio. È anche l’ultimo saggio scritto da Marcello Veneziani, autore di varie opere e giornalista e opinionista di fama. Veneziani è senza dubbio un uomo di destra, una mente poliedrica, capace di lucide analisi della società attuale e del suo spirito. 

Di questa sua ultima fatica mi ha attratto il titolo. Già perché ho sentito subito che quella a cui si riferiva Veneziani doveva avere qualcosa in comune con quella cappa che mi sento addosso ormai da decenni e che da almeno un paio d’anni a questa parte, con quella che è di fatto una dittatura sanitaria nella quale siamo costretti a vivere, si è fatta se possibile ancora più palpabile e opprimente. 

Veneziani nel suo saggio parla di quello che è lo spirito del nostro tempo, quello che i filosofi e i tedeschi chiamano lo Zeitgeist; scandaglia e mette a nudo il gigantesco edificio che la modernità ha creato, elaborando l’ideologia del Politicamente Corretto, che l’autore in questa sua opera riduce a sigla, Pc. 

La sua è un’analisi spietata, non fa sconti.

La Cappa è figlia di quel sistema che difende l’ambiente, che fa dell’ecologia il suo emblema, ma che odia la Natura.

La Natura umana soprattutto. Perché questa Natura violenta e sovverte, stravolgendola, mettendone in discussione l’essenza e l’anima, negandola.

Il Politicamente corretto non ama la realtà. Esso rifiuta il fatto incontestabile della differenza dei sessi tra gli umani, quegli esseri umani che fin dall’inizio furono creati uomo e donna, maschio e femmina; contesta il concetto stesso di famiglia naturale, la procreazione così come da sempre è avvenuta con l’incontro armonioso dei sessi, dei due princìpi, quello maschile e quello femminile; nega l’amor patrio, la comunità e il destino che ne accomuna i membri per sostituirlo con un’indistinta glassa globale, nella quale ogni differenza si annulla e scompare, e dove l’unica ideologia ammessa è il liberismo e la prevalenza del mercato, al quale, ci dicono: there is no alternative (non c’è alternativa). 

Nelle pagine di questo bel volume sfilano tutte le recenti, bizzarre creazioni del politicamente corretto: il femminismo, che vuole la guerra tra i sessi, e crea nuovi movimenti improbabili come il Metoo, e conia nuovi termini tratti dalla lingua della globalizzazione, l’inglese; invenzioni come il CatCalling, che altro non sarebbe se non il vezzo, non elegante e sicuramente fastidioso, ma certamente non criminale, un tempo consuetudine, specie nel sud della penisola, di sottolineare il passaggio di una bella donna con un fischio e con qualche esclamazione di apprezzamento da parte di maschi più o meno giovani.  

I femminicidi che nel nuovo mondo e nel mainstream che lo racconta sono sempre presentati come se fossero lo sbocco naturale e consueto della sopraffazione del maschio violento e bestiale sulla donna sempre vittima indifesa e incolpevole, e non per quello che in realtà sono: un fenomeno tutto sommato percentualmente marginale, qualche centinaio di casi su milioni di coppie che spesso vivono insieme amandosi, a volte sopportandosi, ma certamente in modo sostanzialmente pacifico, opera di poveri uomini pervertiti, deboli e disprezzabili, vittime di un ego narcisistico smisurato e di una immaturità mentale patologici, e per questo incapaci di sopportare un abbandono. 

L’ideologia gender poi, altro violento colpo di ariete al principio di realtà: sono quello che desidero essere, maschio o femmina, indipendentemente dai miei genitali. E la pretesa di fare dell’uguaglianza una specie di idolo al quale tutto sacrificare. Siamo tutti uguali, dunque anche gli omosessuali devono e possono sposarsi e metter su famiglia come gli eterosessuali. 

Per fare un bimbo occorrono un uomo e una donna? Un uomo non può fecondare un altro uomo e una donna un’altra donna, così stabilisce la Natura? Non importa, ecco giungere in aiuto la tecno-scienza con i suoi strabilianti ritrovati, con le sue chimere, con i suoi mostri usciti dal cilindro: l’utero in affitto, la procreazione artificiale. 

Due uomini mescolano il loro seme e in laboratorio fanno fecondare l’ovulo di una donna che poi, dietro un compenso non necessariamente lauto, porterà a termine la gravidanza; due donne ordinano sul web seme maschile di buona qualità, e con questo seme fanno fecondare l’ovulo di una di loro per poi impiantarlo nell’utero dell’altra. 

E ancora l’aborto: non importa se l’Italia invecchia irrimediabilmente, e mancano all’appello dal 78 ad oggi più di sei milioni di esseri umani. L’eutanasia, e la legalizzazione delle droghe; tutto in nome di una libertà senza limiti e confini, da dove ogni trascendenza è scomparsa, e solo l’ego con i suoi infiniti desideri sussiste. 

Libertà senza limiti che però cessa, come è il caso in questi ultimi due anni, qualora venga messo in pericolo la sopravvivenza di chi è vivo perché sua mamma decise di non abortire, e la salute diventa allora il totem globale al quale tutto è lecito sacrificare: libertà, diritti, Costituzione.

Tutto ciò dice Veneziani nel nome del progresso, di una ideologia, quella progressista, che nega passato e futuro, facendo del presente l’unico tempo portatore di verità, l’unico tempo capace di giudicare, in nome dei suoi criteri morali e della sua visione del mondo, i millenni di storia umana che lo hanno preceduto. Solo gli uomini e le donne della contemporaneità sanno ciò che è vero, buono e giusto, gli altri, le generazioni precedenti, cela va sans dire, sbagliavano. 

Ma il progresso che conosciamo ha riguardato solo un aspetto della vita umana: la tecnica, la scienza, la tecno-scienza. Veneziani a ragione nega che possa riguardare l’arte, l’etica, la morale, la religione. Aspetti essenziali della vita e della società degli esseri umani. Provate a mettere accanto una cantata di Monteverdi o di Bach alle canzoni di Sanremo, o un dipinto di Caravaggio a uno squarcio di Fontana, una chiesa barocca all’ultima creazione sul tema del più celebrato architetto italiano, Renzo Piano, la chiesa di san Pio a san Giovanni Rotondo, avete presente? 

Tuttavia, spiace dover dire che Marcello Veneziani non sia riuscito a sfuggire agli stilemi comunemente correnti nel mondo della destra dalla quale proviene, per cui più che da un René Guénon che certamente conosce e apprezza, si è fatto condizionare dal lessico di Salvini e della Meloni, e allora gli adoratori del Dio Unico, per lui, usando un aggettivo laddove sarebbe d’uopo usare il sostantivo, non sono i musulmani, ma gli “islamici”, potenziali soldati di quel “terrorismo islamico”, che dovrebbe saperlo è un fenomeno con radici complesse ma che è comunque ultra-marginale in una religione che sfiora i due miliardi di fedeli. 

E i musulmani, che per lui come per gli altri campioni di una destra purtroppo rimasta rozza e provinciale, sono “gli islamici”, sarebbero un pericolo per la nostra civiltà, al pari del relativismo morale e dell’immigrazione clandestina.

Davvero un peccato che sia scivolato parlando di Islam, in un’opera come si è detto nel complesso più che apprezzabile e condivisibile, sulla buccia di banana della banalità e del luogo comune.