Jung ed il Corano

Un ponte tra razionalismo e spirito

Carl Gustav Jung (1875-1961) è una figura unica e luminosa nel panorama intellettuale occidentale moderno. Studioso della psicologia del profondo, ha indirizzato con il suo lavoro l’intuizione freudiana verso campi di sviluppo ancora oggi prolifici. Considerato da molti come colui che ha saputo ricostruire la scissione tra mente e spirito da cui ancora oggi non riesce ad emanciparsi l’uomo moderno, soffrendone le sue inevitabili nefaste conseguenze, ha di certo gettato un ponte tra psicologia del profondo e culture tradizionali ovvero tra razionalismo e religione. “L’esperienza prova comunque che le religioni non sorgono quali frutti di una elucubrazione cosciente, ma provengono dalla vita naturale dell’anima inconscia, che in qualche modo esprimono adeguatamente. Ciò spiega la loro diffusione universale e la loro straordinaria efficacia storica sull’umanità. Tale azione sarebbe incomprensibile se i simboli religiosi non fossero per lo meno verità naturali psicologiche.” 

Studioso prolifico ed indefesso, ha indagato in termini psicologici il mondo delle maggiori tradizioni religiose ed esoteriche, spaziando dallo sciamanesimo all’alchimia, dalla bibbia allo yoga, dal buddismo alle concezioni dei primitivi, per citare solo alcuni dei numerosi ambiti della sua ricerca. Le sue intuizioni sulle realtà archetipiche e la loro relazione con le espressioni psicotiche rappresentano una chiave di lettura coerente per chi voglia appagare la propria mente razionale nel confronto con le tradizioni religiose. 

L’incontro con la tradizione islamica

Jung, già nella sua autobiografia, “Sogni ricordi e riflessioni” travolto dalle impressioni ricevute nel suo primo viaggio nel maghreb nel 1920, scrive alla moglie “Al mattino sorge il grande iddio e riempie l’uno e l’altro orizzonte della sua gioia e della sua potenza, e ogni cosa vivente gli obbedisce. Di notte la luna è così argentea, e splende di una tale divina chiarità che nessuno potrebbe dubitare dell’esistenza di Astarte” e si rammarica di non conoscere la lingua araba ma da grande uomo quale era cerca di capire “Certo, ignoravo la lingua araba – e mi rincresceva moltissimo – ma in compenso ero attentissimo nell’osservare la gente e il suo comportamento. Assai spesso sedevo ore ed ore in un caffè arabo, ascoltando conversazioni delle quali non capivo una parola: ma studiavo i gesti delle persone, e specialmente la manifestazione degli affetti […]. Mi veniva in mente che quella striscia di terra aveva già liquidato tre civiltà: la cartaginese, la romana, e la cristiana. Resta da vedere ciò che l’era della tecnica farà dell’Islam” e ancora le sue riflessioni al primo contatto con la terra d’islam non sono affatto banali “Durante la notte, dopo il solito stupendo concerto dei cani, prevalse una quiete completa, finché, ai primi raggi del sole nascente, l’invocazione del muezzin (che mi impressionava sempre profondamente) richiamò la gente alla preghiera mattutina.

Fu per me una lezione: quella gente viveva dei suoi affetti, anzi ne era posseduta. La loro coscienza da una parte li orienta nello spazio e trasmette loro le impressioni che vengono dall’esterno, dall’altra è mossa da impulsi ed affetti interni; ma non è capace di riflessione, sicché il loro io manca di ogni autonomia. Non è che la situazione sia poi molto diversa per gli europei, ma dopo tutto siamo un po’ più complicati. In ogni caso possediamo un certo grado di volontà e una certa meditata finalità. Ma ci fa difetto l’intensità della vita. Pur non volendo essere intossicato dal fascino dei primitivi, tuttavia ne fui psichicamente contagiato. Ciò si manifestò esteriormente con una enterite infettiva, che guarì dopo pochi giorni grazie alla cura locale di acqua di riso e calomelano.” 

Circa 20 anni più tardi Jung ci lascerà un suo commento alla sura XVIII del sacro Corano, conosciuta come “sura della caverna”, enunciato in occasione di una conferenza tenutasi a Zurigo presso il gruppo di studio Eranos.

La sura della caverna

Jung analizza in termini psicologici la predetta sura utilizzandola come esempio riguardante il mistero della rinascita (psicologica). La sua tesi ruota intorno all’idea che i tre racconti presenti nella sura, cioè quello dei cosiddetti dormienti di Efeso, quello successivo dell’incontro di Mosè con la mitica figura del Khidr ed infine la vicenda del “bicorne”, il quale secondo alcuni sarebbe riferibile ad Alessandro Magno, non siano affatto sconnessi tra loro, come sembrerebbe ad una analisi superficiale, ma rappresenterebbero lo stesso concetto espresso in modo diverso. La tesi di Jung è che i tre racconti parlino del fenomeno della trasformazione come rinascita che avviene nel centro della caverna, “….nella caverna che ciascuno porta in se o nell’oscurità che si trova dietro la coscienza….”. I giovani si rifugiano nella caverna dove avviene la loro trasformazione e rinascita a nuova vita dopo essersi immersi nell’inconscio.   Il secondo racconto sarebbe una ulteriore specificazione del primo che ci fa capire come la trasformazione avvenga nell’incontro tra Mosè/Io cosciente con una saggezza superiore, inconscia, rappresentata dal Khidr, che però non può essere capita dall’Io. Mosè infatti inizialmente perde il pesce di cui si era riproposto di cibarsi ma è costretto a tornare sui suoi passi quando “riconosce di aver inconsciamente trovato e di aver di nuovo perduto la fonte della vita…..” E li trova il khidr, “ovvero una coscienza più elevata, di cui egli attende gli insegnamenti.” Infine secondo Jung “….Mose ha avuto una esperienza sconvolgente del Sè, che gli ha portato dinanzi agli occhi con evidenza travolgente i processi inconsci. Quando poi egli giunge alla sua gente, gli ebrei, annoverati tra gli infedeli, e deve spiegare la sua esperienza, preferisce farlo sotto forma di racconto misterico. Invece di parlare di se stesso parla del Bicorne….” Ed ecco quindi il nesso con l’ultima storia. Notevole l’intuizione di Jung riguardo al significato in termini psicologici di Gog e Magog arginati dal muro costruito dal bicorne “Ma secondo la provvidenza di Allah, verrà un tempo in cui crollerà anche la parete protettiva di bronzo: il giorno della fine del mondo, quando, dal punto di vista psicologico, la coscienza individuale si estingue nei flutti dell’oscurità, quando cioè, si verifica una fine del mondo soggettiva. Con ciò si intende il momento in cui la coscienza sprofonda nuovamente nell’oscurità dalla quale era sorta originariamente….” 

Conclusioni

La lettura di Jung potrà essere sicuramente oggetto di critiche da parte degli esegeti più ortodossi, ma rappresenta sicuramente un contributo per nulla banale da parte delle cultura occidentale verso quella islamica e evidentemente anche un riconoscimento di indubbio valore. Si potrebbe rimproverare a Jung un approccio sincretico o di essere l’antesignano di una certa forma di perennalismo, ma tenendo conto della caratura della studioso e soprattutto dell’ambito strettamente psicologico della sua analisi simili critiche appariranno certamente fuori luogo.