Israele diviso: scontri interni nell’IDF e un paese sull’orlo della frattura

Le forze armate israeliane sono attraversate da diversi mesi da scontri interni, scissioni, ammutinamenti e dimissioni tra le proprie fila. È almeno da Luglio scorso che all’interno dell’IDF (Israeli Defence Forces) si segnalano proteste e minacce di appendere le armi al chiodo, petizioni e manifestazioni davanti ai palazzi governativi da parte dei militari. La causa principale dello scontro è la riforma della giustizia approvata dalla Knesset il 24 Luglio chiamata “legge della ragionevolezza” e che depotenzia la Corte Suprema israeliana rendendo impossibile  l’annullamento da parte della Corte di leggi varate dal governo, anche se queste siano considerate non ragionevoli.
Le proteste militari sono la punta di iceberg
Le proteste hanno coinvolto gran parte della società civile, non solo l’esercito, e hanno creato divisioni molto forti tra i sostenitori del disegno di legge volto ad “liberare i politici dal potere della magistratura” e chi invece parla di “fine della democrazia in Israele”.
La legge alla fine è passata in parlamento ma le tensioni all’interno della società israeliana sono rimaste vive e pericolose soprattutto all’Interno delle forze armate in particolare nei reparti di élite , che sono la spina dorsale dello stato.  il governo di Netanyahu questo lo sa tanto da dover essere stata costretto a correre ai ripari con ripetuti incontri di riconciliazione con i militari che pare abbiano avuto esito incerto all’interno di una lacerazione profonda tra governo e forze armate.
Disobbedienza a macchia d’olio
Tra coloro che minacciano disobbedienza militare ci sono colonnelli, soldati e i livelli intermedi della gerarchia militare israeliana. Ci sono i riservisti, fondamentali in guerra, così come i battaglioni “Golani” ed “Egoz” e “Alpi”  impegnati nei territori occupati del Golan siriano. Si  aggiungono a questa lista anche le divisioni aree impegnate nel controllo di Gaza.
Divisi in pace, sconfitti in guerra
Le tensioni in atto all’interno dell’Idf sono emerse in tutta la loro drammaticità il 7 Ottobre, data dell’inizio delle ostilità con la resistenza palestinese che con una vasta operazione via terra, mare ed aria ha paralizzato l’esercito israeliano, infliggendo perdite mai registrate prima nella storia di Israele. E il fatto che i militari del Qassam abbiano in poche ore accerchiato e annientato proprio il battaglione israeliano di stanza ai confini di Gaza non è un caso. La guerra è anche psicologica e il fatto che il primo anello a cadere siano stati proprio loro dimostra quanto l’equipaggiamento sia importante ma l’unità essenziale e determinante nel vincere o perdere. Possiamo dunque dire che la strategia di al Qassam sia stata strutturata a più livelli: militare, psicologica, politica, sociale. A differenza di quella di Tel-Aviv basata, almeno per ora, sulla mera potenza di fuoco.
Ordini e contrordini su Gaza
Le divisioni tra l’Idf stanno creando una fitta nebbia sulla visione di più ampio respiro della guerra in corso. L’ordine di sfollare dato ai palestinesi non è stato seguito da un’invasione che pare ora essere in dubbio, “non certa” l’ha definita il primo ministro israeliano Netanyahu, nonostante l’imponente mobilitazione ai confini di Gaza. E forse anche consigliato dai servizi di sicurezza, che vedono nell’intervento via tetta un possibile tracollo militare. Di altra opinione invece i vertici militari israeliani così come i movimenti ultra-nazionalisti che invocano la vendetta del sangue: i primi per lo smacco senza precedenti subito, i secondi per un ideologia totalitaria. La società civile intanto chiede a gran voce le dimissioni di Netanyahu incapace di liberare i prigionieri israeliani a Gaza, di garantire la sicurezza e lo accusano di voler rimanere al potere a qualunque costo. Il quadro è quello di un paese spaccato, diviso mentre intorno incendiano le proteste nelle città arabe: ad Amman, Beirut al Cairo mentre a pochi kilometri infuriano gli scontri armati con la resistenza palestinese che si ostina a sparare razzi su Sderot, Tel-Aviv, Haifa, Asqalan.
L’incubo storico per Israele e un senso di minorità psicologico: il sentirsi accerchiati nonostante il sostegno mondiale, e il sentirsi piccoli, nonostante la grande forza militare.