7 Ottobre 2023: il giorno che ha cambiato il discorso sul conflitto Palestinese-Israeliano

La data del 7 ottobre 2023 è diventata un punto di riferimento nella storia dell’occupazione israeliana e l’oppressione palestinese. La contro-offensiva di Hamas ha sollevato una serie di domande e ha polarizzato l’opinione pubblica mondiale.

Proteste nella Striscia di Gaza nel 2018

Il contesto: Proteste Pacifiste e Loro Risposte

Nel 2018, migliaia di palestinesi si riversarono pacificamente davanti al muro di separazione nella striscia di Gaza. Questo gesto era inteso come una manifestazione non violenta, un grido di protesta contro l’oppressione. Ma l’eco di tale protesta è stata in gran parte ignorata da una porzione significativa dei media internazionali e dalla politica globale. Il ritratto spesso dipinto dei manifestanti palestinesi come “i soliti selvaggi che urlano senza motivo” ha minimizzato l’importanza e la gravità di tale atto di resistenza civile.

Tuttavia, la reazione violenta alle proteste ha suscitato indignazione, seppur a pochi. L’immagine degli israeliani che cecchinavano i manifestanti mutilandoli ha offerto al mondo che aveva gli occhi per vedere un’immagine brutale dell’occupazione, mostrando una grave asimmetria di potere e forza.

La Reazione Militare e le Sue Conseguenze

Quando Hamas ha lanciato la sua contro-offensiva il 7 ottobre, il mondo ha reagito con shock. Si tratta di una contro-offensiva piuttosto che una semplice offensiva perché il contesto in questa situazione è tutto. Con contesto si intende l’apartheid israeliano, le migliaia di palestinesi nelle prigioni israeliani, i bambini brutalizzati, e  gli innocenti uccisi, oltre che le provocazioni di luoghi e periodi sacri per i palestinesi. Per la prima volta in molto tempo, oggi è stata Israele a subire un duro colpo. Questa azione ha cambiato il discorso prevalente: i palestinesi non sono solo vittime, ma possono anche combattere. Ed è qui il nocciolo della questione, è proprio per questo che ne parliamo. Tuttavia, il pericolo di tale narrazione è che potrebbe allontanare ulteriormente la prospettiva di una soluzione pacifica. Sì perché negli ultimi interminabili decenni, il silenzio omertoso ed intenzionale del mondo nei confronti dei palestinesi che hanno tentato la via pacifica in passato e l’immediata attenzione ricevuta invece dopo la risposta militare del 7 Ottobre rischia di dare un messaggio sbagliato ma vero: solo militarmente si potranno cambiare le cose. La via pacifica ha fallito.

La Questione dei Civili

Il conflitto ha sempre sollevato preoccupazioni riguardo alla morte di civili, perlomeno quando i civili a pagare le conseguenze del conflitto sono israeliani. La narrazione dei “civili uccisi da Hamas” è oggi diventata uno strumento politico. In una intervista recente di Bassem Naim su Sky News e anche La Luce News, egli suggeriva che alcuni israeliani fossero complici del sistema dell’apartheid anche indirettamente lavorando nella cybersecurity e nell’occupazione dell’apartheid e anche nell’amministrazione, e questo ha ulteriormente complicato la questione. Sì perché a differenza dei criminali di DAESH, Al Qassam e Hamas hanno detto dal primo giorno che le loro linee guide militare esplicitavano la protezione dei civili a differenza di DAESH che si vantava sadisticamente degli innocenti uccisi. Hamas invece afferma che i morti civili che ci sono stati sono stati non intenzionali ma che al contempo la loro visione di ”civile” è più  simile a quella del Front di Liberation National durante la lotta per la liberazione in Algeria e di tutti i movimenti di liberazione armata anti-coloniale del secolo scorso.

Vero civile è il bambino e chi da adulto si oppone attivamente all’apartheid – e di certo non mancano con migliaia di israeliani che negli anni sono scesi in piazza per protestare in favore dei palestinesi. Falso civile è chi anche se indossa i sandali ed il costume da bagno gira per le strade armato, mangia i pop-corn applaudendo e sghignazzando dalle colline mentre Gaza viene bombardata come avvenne nel 2014 (vedi anche, New York Times:2014), e contribuisce a rafforzare l’infrastruttura dell’apartheid. E nel mezzo? Nel mezzo c’è la zona grigia che si addice purtroppo ad una situazione triste e complessa come questa. Nel grigio, magari, c’è chi vive la giornata, va ad un rave  per divertirsi e non pensa che a pochi chilometri da lì vive un popolo oppresso che l’unico ritmo che ha diritto di ascoltare non è quello della musica ma dei bombardamenti incessanti che Israele dichiaratamente fa ogni anno per “togliere l’erbaccia”, frase denunciata anche dal Washington Post.

“Proprio come falciare il prato di casa, questo è un lavoro costante e duro”, disse al tempo David M. Weinberg del Jerusalem Institute for Strategy and Security. “Se non lo fai, le erbacce crescono selvatiche e i serpenti iniziano a strisciare tra i cespugli.”

Coloni israeliani appostati sulle colline attorno a Gaza ad osservare mentre viene bombardata nel 2014

Conclusione

Nella storia dell’occupazione israeliana, non ci sono vittorie per il Palestinesi. Come gli eventi del 7 ottobre hanno dimostrato, ogni azione ha reazioni e conseguenze complesse. La speranza di un dialogo costruttivo c’è ancora ma il tempo stringe mentre l’unico segnale che i palestinesi hanno captato ad oggi è che la loro vita non vale nulla, la loro sofferenza neanche, e che fra una morte per la libertà ed una morte da schiavo meglio la prima. Intanto, dopo l’inizio del genocidio a Gaza da parte di Israele, mentre la montagna di morti aumentava, si poteva osservare come il numero di persone che protestavano per le strade aumentavano. Più aumentavano i morti, ora giunti a circa 6000, più aumentavano le persone che urlavano nelle strade. E cosa urlavano? Contro Hamas? No. I soliti selvaggi barbuti, la solita erbaccia da estirpare e che non ne vuole sapere di morire in silenzio urlavano vendetta. Vendetta. 

Immagine sensibile: bambino palestinese mutilato dai bombardamenti israeliani ancora vivo durante una operazione chirurgica