Ecco come Hamas ha fatto saltare il banco della normalizzazione dell’occupazione

Mentre Israele si appresta ad entrare nella seconda fase dell’attacco a Gaza, numerose speculazioni vengono a galla su ciò che dovrà affrontare l’esercito israeliano. E questo dipende da quanto Hamas sia stato in grado ad anticipare la risposta di Israele all’operazione Al-Aqsa Flood del 7 ottobre, sollevando la domanda del perché Hamas abbia agito in quel modo e perché abbia scelto quel preciso momento.

Gli esponenti di Hamas hanno affermato di aver avuto ben poche alternative, se non quella di agire. Dopo aver constatato il congelamento delle aspirazioni palestinesi di porre fine all’occupazione israeliana e l’indifferenza internazionale hanno valutato che bisognasse agire prima che fosse troppo tardi. 

Il leader di Hamas, Musa Abu Marzouk, ha dichiarato a “The New Yorker” all’inizio di questo mese: “Abbiamo bussato alla porta della riconciliazione e non ci è stato permesso di entrare. Abbiamo bussato alla porta delle elezioni e ci sono state negate. Abbiamo detto:- Vogliamo la pace, ma concedeteci qualcuno dei nostri diritti – ma non ci hanno fatto entrare. Abbiamo provato qualsiasi strada. Non abbiamo trovato una via politica per uscire da questa impasse e liberarci dall’occupazione.”

Il contesto dell’attacco conferma la spiegazione di Abu Marzouk

Dopo 75 anni dall’allontanamento forzato dalla Palestina nel 1948, 56 anni di vita sotto occupazione militare, 30 anni di “processo di pace” che ha permesso a Israele di consolidare l’occupazione nella Cisgiordania, e 16 anni di blocco su Gaza che ha reso impossibile una vita normale ed un’economia normale, generazioni di palestinesi hanno vissuto e sono morte senza alcuna speranza di un futuro migliore. L’acquiescenza dell’Occidente alla pericolosa illusione di Israele che potesse gestire indefinitamente la sua occupazione, ha contribuito a determinare la situazione attuale.

Nonostante il dichiarato consenso internazionale unanime a favore di una soluzione a due stati, dagli accordi di Oslo nel 1993, promossi da Stati Uniti, Regno Unito, UE, ONU, Lega Araba, Unione Africana, Russia, Cina, non c’è mai stata una seria pressione su Israele per ridurre la sua occupazione, annullare il progetto di insediamenti e porre fine al dominio militare sui palestinesi della Cisgiordania occupata e della Striscia di Gaza.

Al contrario, nonostante il peggioramento della vita quotidiana per i palestinesi, la chiara opposizione dei leader israeliani alla creazione di uno stato palestinese, l’espansione degli insediamenti e l’autorizzazione ai coloni estremisti di compiere incursioni violente contro i palestinesi, nonché le denunce di Israele come Stato apartheid da parte di organizzazioni per i diritti umani in tutto il mondo e il deterioramento della situazione di povertà e sottosviluppo nella Striscia di Gaza, il mondo occidentale è rimasto disinteressato a tal punto da considerarsi complice.

Gli Accordi di Abramo sono stati anch’essi cruciali. Il fatto che i paesi arabi cercassero la normalizzazione con Israele quando non c’era alcun segnale di miglioramento per la condizione del popolo palestinese dimostrava che anch’essi erano disposti ad abbandonare i palestinesi al loro destino.

Questa prospettiva è stata rafforzata anche dai possibili processi di normalizzazione con l’Arabia Saudita.

Ogni indizio indicava che Israele stesse gestendo con successo l’occupazione, grazie alla collaborazione dell’Autorità Nazionale Palestinese era riuscito a neutralizzare la resistenza in Cisgiordania. 

Era riuscito a confinare Hamas a Gaza, dove credeva di aver trovato un modo, grazie al denaro del Qatar e permessi di lavoro aggiuntivi, per mantenere la zona sufficientemente tranquilla da essere sotto controllo.

Nel frattempo, l’unico piano politico che sembrava avanzare era quello del ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, che nel 2017 aveva redatto quello che chiamava un “piano decisivo”.

Secondo quel piano, Israele avrebbe annesso tutti i territori occupati dopo una massiccia espansione degli insediamenti, lasciando ai palestinesi la scelta tra rimanere come cittadini di seconda classe o andarsene. Quei “terroristi” che sceglievano di rimanere ma non accettavano la sottomissione sarebbero stati “affrontati” dalle forze armate israeliane.

In pratica, il piano conferma la situazione attuale. L’ingresso al governo di Smotrich e del suo alleato suprematista Itamar Ben-Gvir ha rafforzato la posizione dei coloni israeliani e l’idea che l’occupazione dovesse ulteriormente avanzare, inoltre negli ultimi cinque scrutini, svoltisi in Israele negli ultimi quattro anni, il tema dell’occupazione è stato solo vagamente accennato. Qualcosa doveva cambiare.

Mesi di preparazione

L’operazione Al-Aqsa Flood è stata chiaramente pianificata per mesi ed è stata condotta, secondo tutte le testimonianze, nel segreto più totale, tanto che persino i leader politici di Hamas non erano a conoscenza di cosa o quando sarebbe accaduto.

Utilizzando droni per neutralizzare le telecamere di sorveglianza e tattiche diversive come il lancio di razzi e motociclette montate sui parapendii, il 7 ottobre Hamas è riuscita a violare, con numeri senza precedenti, la “smart wall” che Israele aveva completato attorno a Gaza nel 2021 in molte località contemporaneamente.

I combattenti hanno attaccato diverse basi militari intorno a Gaza, uccidendo e catturando soldati con l’intenzione di riportarli a Gaza per scambiarli con prigionieri palestinesi detenuti da Israele.

Quale fosse la seconda fase del piano, non è chiaro. La risposta militare israeliana è stata imprevedibilmente lenta e, una volta diffusa a Gaza la notizia dello  sfondamento del muro, altri gruppi di resistenza e molti civili hanno iniziato a varcare il confine.

Hamas ha negato di aver preso di mira i civili. Inoltre alcune accuse sensazionaliste fatte da Israele, come ad esempio l’accusa di aver decapitato 40 neonati, sono state silenziosamente accantonate,  ed è ancora da determinare quanti civili israeliani siano stati uccisi nell’operazione.

Certamente, Israele ha strumentalizzato le accuse di atrocità per alimentare il fervore bellico e per zittire le critiche esterne o le richieste di moderazione.

Deve essere stato sconvolgente per alcuni giornalisti e funzionari stranieri constatare quanti funzionari israeliani, militari o politici, ex o in carica hanno fatto ricorso a un linguaggio genocida.

È altrettanto vero che Hamas si sarebbe aspettato una massiccia risposta israeliana per vendicare questa enorme ferita all’orgoglio di  Israele.

Non è necessario guardare molto indietro per vedere il tipo di violenza sproporzionata a cui Israele ricorre spesso.

Lezioni dal 2014

Nel 2014, dopo che tre coloni israeliani furono catturati e uccisi in Cisgiordania, Benjamin Netanyahu, all’epoca come oggi, primo ministro di Israele, incolpò Hamas; Hamas negò ogni coinvolgimento. Israele scatenò quindi la sua brutale aggressione contro Gaza, uccidendo 2.251 persone, di cui, secondo l’ONU, il 65 percento, ovvero più di 1.400 persone, civili.

La guerra del 2014 vide un’invasione terrestre israeliana nella striscia di Gaza della durata di due settimane, da questa invasione Hamas impara una lezione per il futuro. Abu Obeida, il portavoce delle Brigate Qassam, l’ala militare di Hamas, ha chiaramente affermato che Hamas è oggi pronta per una lunga battaglia.

La cattura di oltre 200 persone ha fornito a Hamas un mezzo prezioso per esercitare un certo controllo sulla risposta israeliana. La presenza di diversi prigionieri stranieri ha complicato le cose per il governo israeliano, che è sotto pressione nazionale e internazionale per ottenere il loro rilascio, prima di poter procedere con qualsiasi grande invasione terrestre.

Il rilascio graduale di alcuni prigionieri ha anche rallentato l’esercito israeliano e ha dato spazio a richieste lente, ma crescenti per una tregua immediata.

Le tensioni regionali erano previste, una volta iniziato l’attacco di Israele, e sono solo cresciute man mano che il massiccio e indiscriminato bombardamento di Gaza ha inflitto un costo gravoso in vite, oltre 8.000 al momento attuale.

Finora, anche se il popolo arabo ha protestato massicciamente nei propri paesi, le persone non si sono ancora ribellate nella misura richiesta da Hamas. Il 19 ottobre, ad esempio, Abu Obeida ha esortato i popoli a “marciare ai confini della Palestina, unirsi e fare tutto il possibile per rovesciare il progetto sionista”. La Giordania, con la sua grande popolazione palestinese, registra proteste quotidiane. La polizia anti sommossa giordana è stata dispiegata per impedire ai manifestanti di raggiungere il confine con la Cisgiordania, mentre i manifestanti sono stati anche allontanati con la forza dall’ambasciata israeliana ad Amman.

I colloqui di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele sono stati messi da parte indefinitamente, anche se gli appelli ad altri paesi arabi per porre fine ai loro accordi di normalizzazione con Israele sono stati finora ignorati.

In Libano, Hezbollah ha mantenuto una pressione militare sufficiente su Israele per suggerire che un’invasione terrestre di Gaza attirerebbe una conflagrazione molto più intensa sul fronte nord.

Il gruppo sciita libanese dovrà considerare la presenza della Marina degli Stati Uniti vicino alle sue coste, dopo che Washington ha inviato due portaerei nella zona in un esplicito tentativo di dissuadere altri attori al coinvolgimento.

Non meno importante la decisione di Israele di tagliare rifornimenti di carburante, elettricità, cibo e acqua a tutti i 2,3 milioni di abitanti di Gaza, che ha indotto i sostenitori di Israele in Occidente ad interrogarsi su come il loro sostegno incondizionato si concili con il diritto internazionale, spesso invocato in Ucraina.

Inevitabilmente, la diplomazia torna protagonista

Alcuni rappresentanti di Hamas hanno visitato Mosca, la cui proposta per una completa cessazione delle ostilità è stata respinta due volte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il 26 ottobre. Inoltre, Al Jazeera ha riferito che i colloqui per una tregua tra Hamas e Israele, mediati dal Qatar, sono giunti ad uno stadio “avanzato”.

La negoziazione centrale, secondo Al Jazeera, sembra riguardare uno scambio di prigionieri, uno degli obiettivi principali di Hamas con l’operazione del 7 ottobre. Da allora Israele ha avviato una vasta campagna di arresti in Cisgiordania, coinvolgendo più di 1.500 palestinesi.

Hamas vuole anche porre fine al blocco di Gaza, che ha afflitto la vita di così tante persone per così tanto tempo. Tuttavia, qualsiasi svolta diplomatica dipenderà dalla volontà di Israele di evitare di pagare un prezzo con le azioni militari sul campo.

Le truppe israeliane sono state schierate in numero senza precedenti al confine con Gaza. I leader militari israeliani dichiarano di essere pronti per il combattimento. Molto dipende dalla pressione dell’opinione pubblica. Il sostegno del popolo israeliano per un’invasione terrestre immediata sta diminuendo, e coloro che pianificano attacchi militari, dovranno essere cauti, poiché l’opinione tra gli alleati occidentali di Israele sembra essere leggermente cambiata, riducendo lo spazio di opportunità per un’invasione su larga scala.

Un’invasione terrestre completa potrebbe rivelarsi sanguinosa e di lunga durata. Infliggerà ancora più sofferenze alla popolazione di Gaza. Ciò che non farà è porre fine a Hamas, come Israele sostiene, e indica come suo obiettivo. 

Hamas è un movimento politico con un braccio militare. È principalmente un movimento di liberazione nazionale, più che un gruppo religioso ideologico.

La sconfitta sul campo di battaglia non equivale a una sconfitta politica. Indipendentemente da ciò che accade in caso di invasione terrestre, l’operazione del 7 ottobre ha spostato irrimediabilmente la situazione in Palestina in un nuovo scenario.

Hamas ha raggiunto diversi obiettivi. Ha danneggiato l’immagine deterrente di Israele, ha minato per ora ogni patto israelo-saudita, e ha nuovamente orientato l’attenzione mondiale sulla ferita sanguinante che è la Palestina.

Ciò potrebbe portare a sforzi rinnovati e serietà maggiore per affrontare l’occupazione israeliana e porre fine al governo militare che schiaccia il popolo palestinese. Ma minaccia anche di accelerare i piani genocidi di Smotrich.

 

Articolo di Omar Karmi pubblicato su The Electronic Entifada