Persistenza ed asimmetria: la guerra di logoramento della ragnatela attorno ad Israele

L’omicidio del numero due di Hamas, Saleh al-Arouri, a Beirut è stato ad oggi la mossa più importante di Israele nel suo intento di giungere ad una escalation regionale, la leadership sionista soffre la strategia di logoramento messa in atto non soltanto a Gaza ma in tutta la regione e vorrebbe passare ad un conflitto convenzionale ma nonostante le provocazioni Nasrallah è stato chiaro al riguardo.

Per questo il giorno successivo, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha pronunciato un discorso in occasione dell’anniversario dell’assassinio del generale iraniano Qassem Soleimani, ucciso a Baghdad nel 2020 dagli USA. La figura di Soleimani è centrale in questa storia e ricorre tanto da essere protagonista anche nell’attentato del 3 gennaio a Kerman che ha provocato la morte di un centinaio di cittadini iraniani. L’attentato ha colpito il mausoleo del generale nel giorno dell’anniversario della sua uccisione.

Soleimani è l’artefice dell’Asse della Resistenza, quella rete di movimenti e milizie a cui appartengono Hezbollah, Hamas, Jihad Islamica, Houthi e alcuni altri gruppi in Iraq e Siria. 

Nasrallah nel suo discorso ha  confermato la strategia utilizzata fino ad ora quindi l’impegno militare di Hezbollah sarà persistente e graduale e si concentrerà sul fronte Sud , strategia questa che ha portato al lancio di circa 700 attacchi che han colpito 500 obiettivi tra i quali l’importante base aerea di Meron. L’impegno bellico delle milizie libanesi hanno causato ad oggi la fuga di 230.000 coloni israeliani. Dall’inizio della sua campagna, l’8 ottobre, Hezbollah ha definito il proprio ruolo nel conflitto di Gaza sostenendo la resistenza palestinese ed impegnandosi in una guerra di logoramento contro l’esercito israeliano che sembra essere coordinata con gli altri gruppi della resistenza. 

La ragnatela intorno ad Israele

Risulta evidente che il compito che Hezbollah si è prefissato è quello di distratte una quota importante di forze israeliane dal fronte di Gaza, Nasrallah ha spiegato il duplice obiettivo della sua strategia militare: fermare la brutale aggressione ed i massacri indiscriminati ed in secondo luogo impedire la distruzione militare delle forze della resistenza. 

La strategia è quella del logoramento per diverse ragioni: Hezbollah e l’Iran non vogliono una guerra convenzionale su vasta scala perché potrebbe rappresentare un’ancora di salvezza per Israele che potrebbe coinvolgere gli USA e potrebbe cercare legittimazione politica interna con risultati militari che a Gaza non è in grado di raggiungere. Inoltre il Libano è un paese già fortemente provato dalle guerre e dalla grave crisi finanziaria che lo affligge, vedere Beirut devastata dai raid israeliani potrebbe metterne a dura prova la coesione interna.

La guerra di logoramento a bassa intensità di Hezbollah ha cominciato a creare sempre più problemi e gli analisti stanno rilevando che la disparità di forze non è più quella del 2006, in quell’occasione sempre conducendo una guerra asimmetrica i libanesi uscirono vincitori dallo scontro con i sionisti, ma oggi gli effettivi di Hezbollah si stimano in 100.000 unità e la capacità balistica dei missili in loro possesso è notevolmente accresciuta. Inoltre Israele nel suo tentativo di coinvolgere l’alleato americano, deve fare i conti con l’altro fronte di questa ragnatela, quello delle milizie Houthi che dallo Yemen tengono sotto tiro il traffico marittimo che transita dal Mar Rosso alla volta di Suez. 

Dopo roboanti dichiarazioni occidentali, la coalizione anti-Houthi messa in piedi dagli USA si è sfaldata in tempo record e i raid congiunti coi britannici hanno il sapore di un’operazione simbolica. Gli USA e gli europei da Taiwan all’Ucraina hanno altri fronti caldi e risorse limitate e le milizie alleate di Tehran che comandano a Sana’a potrebbero essere combattute seriamente solo con un’operazione di terra ad oggi impensabile. 

Oltre a tutto ciò è necessario aggiungere al quadro la chiusura delle basi militari in Iraq, sollecitata dal primo ministro iracheno Mohammed Shia al-Sudani, che è stato uno dei principali obiettivi dell’Iran dall’uccisione di Soleimani, la sicurezza degli americani in Iraq alle attuali condizioni non è più sostenibile e le ripercussioni strategiche sono importanti. 

Il 7 ottobre e la guerra di Gaza hanno portato ad un cambiamento radicale del quadro strategico anche se in buona misura sono situazioni a loro volta figlie dei grandi mutamenti in corso su scala globale, tanto che oggi Nasrallah è giunto a far intendere che ora che Israele è ora esposto e indebolito, potrebbe essere il momento giusto per espandere la campagna militare di Hezbollah e liberare quelli che sono considerati territori libanesi sotto occupazione israeliana, come le fattorie di Shebaa e il villaggio di Ghajar.

Il perseguimento e il successo di una mossa così coraggiosa avrebbero conseguenze importanti che si ripercuoterebbero in tutta la regione, poiché sarebbe la prima volta che Israele concederebbe, sotto pressione militare un territorio.

A Gaza si decidono i nuovi equilibri regionali 

Per anni gli Stati Uniti hanno cercato di isolare l’Iran e i suoi alleati nella regione, uno dei tasselli di questa strategia è la normalizzazione dei paesi arabi con Israele, punta di diamante di questo piano è ovviamente l’asse tra Tel Aviv e Riad, questa alleanza oltre a mettere una pietra tombale sulle aspirazioni palestinesi consolidava il blocco anti-iraniano, l’attacco di Hamas e la risposta genocida di Israele hanno fatto saltare i piani americani in Medio Oriente e le scelte di Biden fino ad ora hanno danneggiato enormemente l’immagine e la credibilità già in crisi degli americani nella regione, a testimoniarlo i risultati di un sondaggio condotto in 16 paesi arabi dai quali emerge che il 94% degli arabi giudicano negativamente la posizione di Washington sulla guerra di Gaza.

Il 7 ottobre quindi potrebbe rappresentare uno spartiacque sotto diversi profili, quella che molti si sono affrettati a giudicare come un’operazione disperata, alla luce dei risvolti attuali risulta invece un’operazione preparata nei minimi dettagli non solo per quanto riguarda la strategia militare a Gaza ma anche per quella sia militare che politica in tutta la regione.

Israele sta subendo molte più perdite di quante ne dichiari, proprio ieri il portavoce delle Brigate Al Qassam ha annunciato la distruzione in 100 giorni di 1000 veicoli militari e a fronte di ciò non si vedono risultati militari che salvino la faccia a Netanyahu e all’establishment sionista. Inoltre il giudizio appena iniziato di fronte alla Corte di Giustizia Internazionale per Genocidio a carico di Israele è un colpo durissimo alla rappresentazione di sé come Stato nato per dare rifugio alle vittime dell’Olocausto. 

Ora, se Israele, come probabile, non riuscisse nel suo obiettivo dichiarato di distruggere Hamas, cosa molto probabile, l’Asse della resistenza ne uscirebbe rafforzato e potrebbe ridefinire al rialzo le sue ambizioni di determinare un nuovo ordine regionale, una situazione che si configurerebbe come molto sfavorevole non solo per Israele ma anche per gli USA e per i suoi alleati nel Golfo.