Con Hamas si convive. Con Israele si muore.

Il 7 ottobre ha segnato un momento di svolta per la società e le autorità israeliane, un momento di riflessione che ha rivelato la cruda realtà delle conseguenze dell’occupazione illegale e del sistema di apartheid e la capacità della resistenza palestinese.

Questo evento ha fatto emergere una verità dolorosa per il progetto sionista: l’illusione di una pace negoziata è stata infranta dall’oppressione continua di Israele nei confronti dei palestinesi e dalla determinazione di un popolo a resistere.

Per anni, si è creduto erroneamente che Hamas avrebbe accettato un accordo con Israele se solo avesse ottenuto sostegno economico per migliorare le condizioni dei cittadini di Gaza. Tuttavia, non è mai stata intenzione della resistenza palestinese di usare i finanziamenti solo per rendere più appetibile una prigione a cielo aperto; questa non sarebbe stata pace ma pacificazione.

Sicuramente i finanziamenti sono stati usati per supportare la popolazione e mantenere de facto un sistema di welfare gestito da Hamas stessa ma è logico inferire che almeno parte delle risorse ricevute da Hamas (quanto esattamente è impossibile stimare ad oggi) sia stata usata per alimentare la resistenza armata.  La situazione militare dal ritiro delle truppe israeliane e dei coloni sionisti da Gaza sembrava essere risultata in uno sorta di status quo, con i palestinesi che continuavano a subire un’oppressione implacabile a gocce – e tollerata dall’opinione pubblica mondiale – ed un Israele che continuava il suo progetto coloniale in Cisgiordania e a Gaza rendendola un lager.

È importante però capire che la mentalità israeliana, radicata nell’ideologia sionista, ha sempre ignorato la prospettiva palestinese basata su una forte coscienza storica ed il desiderio di rivalsa e dignitosa autodeterminazione. Israele ha così sottovalutato la profondità del dolore e dell’odio generato dall’occupazione, dall’apartheid, e dalla Nakba credendo che il chiasso dei beach party a Tel Aviv fossero sufficienti a coprire le urla di dolore dei palestinesi fatti a pezzi a pochi chilometri di distanza – operazione di massacro periodica che i leader israeliani hanno definito ”estirpazione delle erbacce”.

Mentre i media occidentali considerano Israele attraverso il filtro dei propri pregiudizi e fermandosi alle apparenze (volutamente) della fiaba de ”l’unica democrazia del Medio Oriente”, essi hanno ignorato la vera fonte della perseveranza e del senso di necessità della resistenza palestinese: la determinazione a sopravvivere e difendere la propria terra e la propria identità contro un’occupazione oppressiva.

Hamas è spesso dipinta come un’organizzazione terroristica (anche a causa delle operazioni di lobbying israeliane) senza considerare il contesto della sua nascita e della sua lotta. La sua convenzione del 1988, spesso citata superficialmente per il suo presunto antisemitismo, va letta alla luce della disperazione di un popolo sotto occupazione e dei molteplici chiarimenti fatti da Hamas sui presunti punti controversi. 

La convenzione rivista del 2017 specifica che il riferimento agli ”ebrei” della prima versione era specificatamente riferita ai sionisti ed in generale agli occupanti e coloni in Palestina. In molte istanze ed in discorsi pubblici i leader del movimento si sono anche distanziati dal quadro di riferimento occidentale e colpevole dell’olocausto ribadendo che la missione di Hamas non era quella di combattere gli ebrei in quanto tali o in quanto sopravvissuti all’olocausto bensì in quanto popolo vittima sì per colpa dell’Occidente ma divenuto oggi carnefice ingiustificabile ed erede di un male simile a quello di cui fu vittima.

Così i media occidentali tentano di storpiare il punto di vista di Hamas (fallendo miseramente anche grazie ad internet e all’anarchicizzazione delle informazioni per dirla alla Chomsky), ignorando il contesto storico e politico che ha portato alla creazione di Hamas e alla sua lotta per la libertà.

Inoltre, è importante riconoscere al contempo che il regime sionista non è guidato solo da motivazioni politiche, ma anche da forti convinzioni religiose e culturali estremiste. Mentre l’Occidente promuove la laicità e la separazione tra religione e politica illudendosi che questo accada anche in Israele, troviamo sul terreno un governo sionista impregnato di forme estreme di radicalismo messianico ebraico e di conseguente suprematismo razzista (il famigerato suprematismo ebraico nei confronti degli inferiori goyim, i non-ebrei il cui destino escatologico talmudico è essere schiavi dei padroni ebrei). E’ stato questo a portare alla modifica della stessa costituzione di Israele qualche anno fa rendendola dal punto di vista dello stesso contratto sociale che la costituisce uno Stato etno-religioso e consolidando permanentemente l’estremismo religioso.

Il recente spargimento di sangue a Gaza per mano dei sionisti però non può essere visto come fenomeno isolato dal resto del mondo. Esso avviene principalmente grazie al supporto politico ed economico degli USA la cui legittimità come leader mondiale dopo i massacri compiuti in piena impunità in Iraq ed Afghanistan è messa in discussione più che mai mentre il ruolo del Sud Globale è in forte crescita con Paesi come il Sud Africa e la Cina che si mostrano come partner molto più affidabili.

Gli USA spendono 4 miliardi di dollari all’anno per finanziare la macchina militare israeliana in modo incondizionato e nonostante la questione dell’incondizionalità sia apparsa più volta nel dibattito pubblico americano essa non è mai stata messa seriamente in discussione.

Anche i governi arabi sono in difficoltà. La normalizzazione che sembrava essere sulla buona strada grazie allo status quo tale da rendere possibile a Netanyahu di presentare presso l’ONU una mappa di Israele che inglobava totalmente la Cisgiordania e la Striscia di Gaza (evento menzionato da Hamas fra quelli che hanno fatto scatenare l’operazione Al Aqsa Flood assieme alla deturpazione della moschea Al Aqsa e l’uccisione di civili palestinesi a Gaza e in Cisgiordania) è stata demolita dalla contro-offensiva di Hamas del 7 Ottobre con un mondo arabo totalmente riunito in chiave anti-sionista ed anti-coloniale.

Così, mentre Hamas ribadisce che la sua battaglia è una battaglia in Palestina per la Palestina senza intenzione di prendere di mira altri Stati nel mondo, gli Houthi si sono presentati come difensori dei Gazawi colpendo il portafoglio dell’Occidente e di Israele tramite l’assalto contro le navi commerciali sperando che questo possa creare ulteriore pressione politica per determinare un cessate il fuoco permanente.

La politica occidentale non può dunque  che analizzare seriamente l’ideologia che guida il progetto sionista e le sue caratteristiche suprematiste ed il radicalismo messianico abbandonando le illusioni relative alla fantomatica ”unica democrazia secolare del Medio Oriente” israeliana che altro non è che una maschera dietro la quale si cela piuttosto ”l’unico regime di apartheid colonialista del mondo”.