Sesta corrispondenza a Gaza: NGO umanitarie costrette alla censura per poter operare a Gaza

Un operatore umanitario si trova a Gaza in questi giorni e invia alla nostra Redazione la sesta corrispondenza sulla situazione nella Striscia.

Uno dei principi fondamentali delle cosiddette ONG (organizzazioni non governative) è la propria indipendenza. Uno dei loro doveri fondamentali sarebbe infatti anche quello di essere testimoni delle situazioni alle quali partecipano.

Volendo collaborare tramite queste organizzazioni nel genocidio che sta avvenendo a Gaza si riceve immediatamente dalle organizzazioni stesse il chiaro messaggio che viene richiesta l’assoluta neutralità, o quanto meno di non essere mediaticamente esposti per la causa palestinese, nonché si viene largamente istruiti su come eventualmente parlare con la stampa in modo da non compromettere le attività dell’organizzazione e per di più si viene invitati a non usare i social media durante la propria permanenza a Gaza.

Come tutti sanno infatti il flusso di persone e merci a Gaza è strettamente controllato da Israele il quale avendo praticamente perso la guerra mediatica è particolarmente attento a non avere scomodi testimoni della catastrofe umanitaria in corso. E’ di pochi giorni fa la notizia di come sia stato impedito a Francesca Albanese, la relatrice speciale ONU per la Palestina, di entrare nella Striscia ma è sufficiente notare, alla luce di queste righe, il ”taglio” dei post sui social di tutte le organizzazioni: esse si guardano bene dal denunciare anche velatamente le responsabilità di ciò che accade.

Alle organizzazioni umanitarie, una volta entrate, viene sostanzialmente imposto cosa fare e dove farlo entrando in questo modo esse stesse a far parte dei piani strategici dei carnefici. Le ONG presenti infatti non possono muoversi liberamente se non in zone prestabilite, pena la morte dei propri operatori. In queste ore abbiamo sotto gli occhi un esempio eclatante dell’imminente ulteriore tragedia che si sta pianificando con la collaborazione involontaria delle organizzazioni umanitarie operanti a Rafah.

Sta per iniziare una ulteriore deportazione della popolazione all’interno della Striscia, dall’estremo sud verso una zona leggermente più a nord, probabilmente nei pressi di Khan Younis, dove tutto quello che poteva essere distrutto è stato distrutto e dove nel mezzo del nulla viene in questi giorni costruita un’immensa tendopoli, quella che sarà in effetti un futuro campo di concentramento, dove le ONG sono spinte ad operare perché la zona dove sono tutt’ora presenti ONG e popolazione sarà presto evacuata per lasciare posto alla cosiddetta invasione di terra, che  in realtà non è altro che un bombardamento a tappeto di tutto ciò che sarà possibile distruggere. Il caldo torrido dell’estate che sta arrivando farà il resto del lavoro.

Quello che è accaduto agli operatori della World Central Kitchen ha voluto essere un avvertimento mafioso per tutti gli operatori umanitari. D’altra parte Israele può permettersi questo ed altro visto che addirittura quando l’UNWRA, cioè l’agenzia delle nazioni utile per la Palestina, ha osato puntare i piedi denunciando pubblicamente i crimini di Israele, il mondo si è affrettato a bloccarne le risorse. Le ONG sono in questa vicenda oramai strumentalizzate in funzione dei piani dei sionisti per assecondare le deportazioni della popolazione di Gaza su e giù per la Striscia, mentre al contempo i singoli operatori sono invitati dalle stesse organizzazioni che vogliono operare a Gaza a non testimoniare quello che vedono per timore di una ritorsione a vari livelli, sia per gli operatori sia per l’organizzazione in generale. Anche da questo punto di vista la vicenda accaduta in Germania ad Abu Sittah, chirurgo britannico palestinese, la dice lunga non solo sull’appoggio di cui la censura sionista gode nel mondo occidentale ma anche riguardo alla sua capillarità.

Così tutte le ONG operanti a Gaza sono schiacciate tra il silenzio e la minaccia di essere cacciate fuori dalla Striscia di Gaza se non peggio. I singoli operatori vivono a livello individuale lo stesso dilemma per poter stare vicino alla popolazione sofferente o testimoniare pubblicamente l’orrore di quello che vedono. Le ONG presenti per forza di cose hanno deciso di non denunciare quello che sta accadendo pur di poter prestare il loro servizio per alleviare le sofferenze della popolazione Gazawi.