Continuano le proteste in Iraq, 190 manifestanti morti dall’inizio di ottobre. Il paese ribolle di rabbia per povertà e corruzione

Dall’inizio del mese 190 manifestanti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza del governo di Baghdad vicino all’Iran e agli USA.

Il movimento di protesta, che apparentemente è interconfessionale e diffuso, affonda le sue radici nella difficilissima condizione economica del popolo iracheno: secondo dati della Banca Mondiale quasi tre quinti dei 40 milioni di abitanti vivono con meno di sei dollari al giorno, nonostante il paese ospiti la quinta maggiore riserva di petrolio del mondo.

La guerra che gli Usa hanno scatenato contro l’Iraq, con la nota scusa del possesso da parte di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa, rivelatesi poi una tragica bufala, è stata una tragedia di proporzioni immani.

Nel celebre discorso tenuto alle Nazioni Unite dall’allora segretario di Stato Colin Powell, fu mostrata una fiala che avrebbe contenuto un campione di antrace e si disse che l’Iraq era in grado di produrre 25 mila litri al giorno di quel veleno mortale.

Rafid Ahmed Alwan al-Janabi un ingegnere iracheno che era stata la gola profonda delle rivelazioni, in seguito ritrattò tutto e disse di averlo fatto perchè “Avevo un problema col regime di Saddam: volevo liberarmene e ne ebbi la chance”.

La guerra ridusse il più sviluppato Paese del mondo arabo in un cumulo di macerie, fisiche e umane, si calcola che oltre un milione di iracheni perse la vita a causa della guerra e del collasso delle infrastrutture sanitarie sociali.

Oggi il popolo iracheno esausto ma non domo sta protestando e pagando ancora una volta un alto prezzo di sangue per dire che non sopporta più la corruzione e l’inefficienza dell’amministrazione pubblica.

Nella serata di sabato scorso oltre 60 persone sono state uccise dalle forze di sicurezza

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