La strada di Cormac McCarthy: un fuoco di vita nell’apocalisse

«A volte è bello pregare. Non è necessario avere una chiara idea di chi o cosa sia Dio, si possono anche nutrire immensi dubbi su tutto. The Road può avere questo messaggio: prenderci cura delle persone a cui teniamo, ed essere grati, perché la vita, anche quando è dura e piena di dolore, è dannatamente bella».

Cormac McCarthy

Un uomo e un bambino, padre e figlio, spingono un carrello da supermercato, uno di quei carrelli che per essere utilizzati hanno bisogno di una moneta da inserirsi nell’apposito meccanismo, e che poi una volta riposizionati correttamente la restituiranno. 

Uomo e bambino, padre e figlio, quel carrello invece l’hanno portato via, come fanno i barboni, per non restituirlo. Non sono dei ladri, o dei classici e banali homeless, cioè dei senzatetto costretti a vivere in strada. Hanno il carrello e lo custodiscono gelosamente perché ne hanno gran bisogno, è il solo loro mezzo di trasporto, e poi perché semplicemente non c’è più nessuno a cui restituirlo; i supermercati non esistono più, e neppure le case, le scuole, i grandi edifici, i parchi e i giardini; tutto ormai è diventato vuoto, sinistro, spettrale; il caro dolce mondo, come noi lo conosciamo, in questa storia non esiste più.

Hanno riempito il carrello con le loro cose e lo spingono lungo strade che si inoltrano in una realtà allucinata, avvelenata, nebbiosa. Non sono barboni, si diceva, non sono cioè poveri resti di una società, come quella nordamericana, che con facilità scarica i deboli, quelli che non sono riusciti a tenere il passo della competizione sociale, non sono insomma quelli che gli anglosassoni chiamano drop out, cioè letteralmente non sono dei “caduti fuori”. 

Sono invece due sopravvissuti ad una non meglio imprecisata apocalisse e prima dell’apocalisse, erano una famiglia che comprendeva anche una donna: con loro all’inizio di questa storia c’era una moglie, una madre, che non ritornerà più, che non ritroveremo più.

Che l’avvenimento catastrofico celato all’inizio del romanzo sia una guerra atomica, o magari un enorme meteorite che ha colpito la terra causando una immane tragedia, non ci viene detto, ma è una catastrofe che ha azzerato la civiltà e lasciato gli esseri umani in una giungla dove non c’è più legge, non c’è più senso, ma dove c’è l’orrore; l’orrore di un’umanità lasciata a sé stessa, dove non esiste più un leviatano di Hobbes capace di impedire la lotta omicida dell’uomo con l’uomo, di impedire l’homo homini lupus, di impedire cioè che l’uomo sia lupo per l’altro uomo.  

Questo è in sintesi il tema conduttore, la spina dorsale, del romanzo dello scrittore nordamericano Cormac McCarthy, intitolato The Road, edito in Italia da Einaudi con il titolo La strada, romanzo che nel 2006 ha meritatamente vinto il prestigioso premio Pulitzer per la letteratura e che è diventato un film per la regia di John Hillcoat, e come protagonisti l’attore Viggo Mortensen, il Granpasso del Signore degli Anelli, e il bambino Kodi Smit-McPhee.

The Road è uno di quei libri, per la verità non molto numerosi, che se affrontati con lo spirito giusto, hanno il potere di trovarci in un modo quando li iniziamo e ci lasciano diversi alla fine. Ci fanno pensare, ci interrogano, in qualche modo ci provocano. 

Eh no, non è questa la solita storia, il solito libro diventato film a metà fra la catastrofe ecologica e l’avventura, come ce ne sono stati molti. Dopo il Big Bang della catastrofe, bande di uomini diventati ladri e assassini percorrono le strade: se non c’è più legge, se non ci sono più regole, si può fare tutto, si possono mangiare anche i bambini, perché no. 

L’uomo e il bambino sono soli e corrono verso sud, sperando forse di trovare il sole, spingendo quel carrello carico di nulla, ma portando con sé il fuoco. Questo fuoco è un’essenza spirituale, è la speranza in un mondo che possa restare umano, dove la vita e il vivere insieme abbiano ancora un senso.

Questo fuoco è la Tradizione, il prezioso lascito umano delle infinite generazioni che ci hanno preceduto.

The Road è la metafora di una tragedia che potrebbe non avere una causa solo materiale. Che almeno in parte, hic et nunc potrebbe essere già qui, in un mondo sempre più privo di umanità e di senso.

Ce la caveremo, vero, papa?
Sì. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Perché noi portiamo il fuoco.
Sì. Perché noi portiamo il fuoco.