Khabib Nurmagomedov: potenza, fede ed umiltà del campione del mondo di MMA

Ventotto vittorie e nessuna sconfitta per il campione del mondo di arti marziali Khabib Nurmagomedov, diventato una superstar con 18 milioni di seguaci su Instagram. Originario del Dagestan, regione musulmana nel sud della Russia, Khabib è riconosciuto come il più forte peso leggero al mondo.

Durante il suo ultimo incontro contro Dustin Poirier ad Abu Dhabi, un uomo su quattro in Russia ha assistito all’incontro in diretta televisiva. 

Quando Khabib si muove con potenza e agilità all’interno dell’ottagono, lo spettatore sperimenta la stessa tesa ammirazione che si prova di fronte allo slancio di un grosso felino che, spettacolare e impietoso, controlla la preda.  Ogni sua espressione fisica ispira una scintilla guerriera in ciascuno di noi, galvanizzandoci, forse perché ci mostra l’orizzonte verso cui può spingersi il corpo in termini di pura forza, velocità, ferocia e precisione.

Non possono che lasciare interdetti la velocità e l’incessante pressione, che il Daghestano impone, per atterrare l’avversario. Il modo in cui distribuisce il proprio peso, incollando l’avversario al terreno è qualcosa di tecnicamente sublime, che tutti conoscono, ma che nessuno è in grado di bloccare. La questione per i rivali non è se verranno portati a terra, ma quando. Una volta sul terreno, rialzarsi diventa virtualmente impossibile. A questo punto, la lotta prende un’unica direzione. Khabib dà sfoggio di una resistenza e forza fuori scala, sfiancando l’avversario, fino all’unico esito dei suoi incontri: la vittoria.


Joe Rogan, storico commentatore della UFC, lo descrive così.” È talmente ad un altro livello che le probabilità di sconfiggerlo diminuiscono in modo significativo dopo il primo minuto e mezzo, […] Khabib è il contendente dei pesi leggeri più terrificante del mondo”.


Ogni suo aggancio, controllo o gancio sono dettati da una ferrea determinazione, costruita pezzo alla volta da quando aveva nove anni e suo padre lo fece combattere contro un cucciolo d’orso, per temprare il suo carattere.

Il gesto atletico è l’atto di un codice universale, che trascende le peculiarità culturali ed è di immediata fruizione per tutti. Nessuna appartenenza può precludere l’incondizionata meraviglia per lo scatto di Usain Bolt, il dribbling di Messi, il montante di Muhammad Ali o il rovescio di Federer. Per questo, gli sportivi spesso godono di piattaforme immense e cosmopolite in termini di popolarità.


E con la popolarità, arrivano i soldi e, con questi insieme, la presa sui propri valori diventa scivolosa. È noto che l’assenza di una morale fa vedere solo opportunità e nessuna responsabilità.
Non dieci, non cento, non mille, ma milioni di persone ti acclamano come il migliore al mondo, è difficile non iniziare a credere agli applausi, arrivando alla certezza che tutto ti sia lecito: edonismo, narcisismo e tracotanza spesso corrispondono al profilo di sportivi professionisti.

Non per Nurmagomedov, che in più di un’intervista ha espresso il timore che il suo status di celebrità possa cambiarlo: “Anche se sei cintura nera, nella testa devi rimanere cintura bianca”. Alla domanda su cosa gli permettesse di rimanere umile, nonostante le pressanti lusinghe di fama e gloria, rispose: “La religione”. Dopo aver sconfitto la sua nemesi Conor McGregor il 6 ottobre 2018, a Las Vegas, nel più grande evento della UFC, Khabib si è recato in Nigeria a scavare pozzi e costruire centri medici.

Regolarmente nell’intervista dopo ogni incontro, dopo un lungo sospiro a sottolineare l’abissale profondità della sua gratitudine, la prima frase che pronuncia è:” Al-ḥamdu li-llāh”, ossia:” Lode a Dio”.

Il suo mantra esprime un monito a reprimere ogni deriva di vanità, rincoscendo a Dio la titolarità del successo.
Il suo è un esercizio di straordinaria difficoltà e richiede attenzione, consapevolezza e devozione, tanto da rendere la disciplina fede e la fede disciplina.

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