Per l’ISTAT siamo in un baratro demografico e dal lento suicidio italiano non ci si salva con gli asili nido

Il 25 di novembre è uscito un nuovo rapporto dell’ISTAT su natalità e fecondità e puntualmente ha ribadito ciò che sappiamo ormai da anni: il nostro è un paese malato e il declino demografico ne è il sintomo forse più evidente, perchè rappresenta un avviarsi, nemmeno troppo lento, alla morte. La voragine fino ad ora è stata colmata dagli stranieri ma oggi non basta più per una società affetta da edonismo, nichilismo e consumismo. Per cambiare servirebbe una rivoluzione culturale e spirituale ardua ad avverarsi, nel frattempo potremmo istituire il reddito di maternità per le donne che vogliono fare i figli e poterli crescere. 

Il 2018 segna 439.747 nati, 18mila in meno rispetto al 2017 e dal  2008 al 2018 c’è stato un calo di 140mila nascite, tutto questo in soli dieci anni.

«Il numero medio di figli per donna scende ancora attestandosi a 1,29.” a ancora “nel 2010, anno di massimo relativo della fecondità, era 1,46, per capire meglio di cosa stiamo parlando il tasso della Francia è di 1.90 figli per donna mentre i nostri livelli sono paragonabili ad altri paesi in crisi nera come la Spagna e la Grecia e mentre per la Grecia si può facilmente associare il calo alla crisi economica spaventosa che si è abbattuta sul paese la Spagna ha per tanti versi un welfare e dei servizi ai cittadini più sviluppati ed efficenti dei nostri e l’economia non va nemmeno così male, fatto che fa suppore che le cause del fenomeno vadano ricercate in condizioni culturali.

Il rapporto ci dice anche che il 22% dei nuovi nati ha almeno un genitore straniero mentre i figli di entrambi i genitori stranieri sono quasi il 15%, questo dato si accentua notevolmente nelle regioni del Nord dove l’incidenza delle nascite da genitori entrambi stranieri sul totale dei nati raggiunge il  20,7% nel Nord-est e 21,0% nel Nord-ovest con il picco del 22% della Lombardia. Ci vuole davvero del coraggio per negare la necessità di una riforma della cittadinanza che riconosca questi nuovi cittadini come italiani in tempi rapidi, significa essere ciechi di fronte al contributo vitale per il nostro futuro rappresentato da questi bambini e ragazzi.

Il contributo dei cittadini stranieri residenti in Italia a tenere in piedi la baracca è quindi fondamentale e bisogna anche considerare che questi dati non ci parlano dei cittadini italiani di origine straniera che per ora hanno un tasso di natalità superiore alla media dei loro concittadini. Detto ciò i dati ci illustrano una realtà in rapida evoluzione nella quale la pacchia della fertilità delle donne straniere si avvia a ridursi notevolmente di pari passo con l’invecchiamento delle donne stesse:  la quota di 35-49enni sul totale delle cittadine straniere in età feconda passa dal 42,7% del 1° gennaio 2008 al 52,7% del 1° gennaio 2019. 

L’ISTAT ci spiega a che “Questa trasformazione è conseguenza delle dinamiche migratorie nell’ultimo decennio. Le grandi regolarizzazioni del 2002 hanno dato origine, negli anni 2003-2004, alla concessione di circa 650 mila permessi di soggiorno, in gran parte tradotti in un “boom” di iscrizioni in anagrafe dall’estero (oltre 1 milione 100 mila in tutto), che ha fatto raddoppiare il saldo migratorio rispetto al biennio precedente. Le boomers, che hanno fatto il loro ingresso o sono “emerse” in seguito alle regolarizzazioni, hanno realizzato nei dieci anni successivi buona parte dei loro progetti riproduttivi nel nostro Paese, contribuendo in modo importante all’aumento delle nascite e della fecondità di periodo.”

L’arrivo di nuovi immigrati in Italia si è ridotto negli ultimi anni mentre abbiamo assistito al fenomeno della seconda migrazione per cui interi nuclei famigliari stranieri o di origine straniera dopo molti anni in Italia migrano verso altri paesi d’Europa con più opportunità o un welfare più generoso. Inoltre prosegue il rapporto “sono sempre più rappresentate le comunità straniere
caratterizzate da un progetto migratorio in cui le donne lavorano e mostrano minori livelli di fecondità in Italia. È il caso delle donne ucraine, moldave, filippine, peruviane ed ecuadoriane, che hanno alti tassi di occupazione, prevalentemente nei servizi alle famiglie. Anche per queste ragioni il contributo Sempre in calo il numero medio di figli per donna.”

Spesso a seguito della pubblicazione di questi dati l’Italia si concede un paio di giorni di dibattito/polemica politica sulle ragioni di un declino inesorabile, sulle politiche da attuare e sulle colpe dei rispettivi schieramenti, tutto ciò, sia chiaro, per poi passare serenamente alla prossima polemica senza che niente cambi. In questo periodico dibattito, è immancabile il discorso sulla compatibilità tra famiglia e lavoro, soprattutto per le donne e sulla mancanza cronica di asili nido. Purtoppo per noi invece risolvere l’inverno demografico non sarà sufficiente aumentare il numero di posti al nido o legiferare per riconoscere maggiori diritti alle madri lavoratrici, tanto meno sarà efficace introdurre un ideologico congedo di paternità obbligatorio come han fatto in Spagna.

Basti pensare che la Germania, che in tema di welfare ci surclassa, nel 2017  ha registrato 785mila nati e 933mila morti con un saldo di 148.000 unità colmato solo grazie all’arrivo di nuovi immigrati in grado di sostenere la produzione industriale tedesca e tenere in piedi i servizi.

Non c’è alcuna correlazione positiva fra l’offerta di asili-nido e l’aumento delle nascite, e non c’è nemmeno una relazione con l’aumento dell’occupazione femminile, per capirlo basta confrontare i dati delle 103 provincie italiane  e vedremo che in 57 provincie l’offerta di posti nei nidi è superiore alla media nazionale eppure fra queste province 25  nell’ultimo decennio hanno visto un crollo delle nascite maggiore rispetto alla rachitica media nazionale di meno 21%, quindi la loro evoluzione è stata addirittura peggiore, si può prendere ad esempio il caso della virtuosa Toscana.

Come può quindi la Francia guidare i paesi europei nella classifica della natalità? Per due ragioni principali che si complementano molto bene: la prima è che per la Francia la questione non è un problema privato ma è una questione di Stato, la Francia con tutti i suoi grossi difetti è un paese che ha ben presente il concetto di interesse nazionale che viene declinato in politica estera quanto come in politica interna e la natalità viene affrontata dalla Francia come un problema di importanza strategica con un occhio alla potenza della nazione. Da questo approccio deriva una politica di sostegno alla famiglia molto importante che si traduce sopratutto nell’erogazioni di generosi contributi a chi fa figli.

Ma indovinate anche in Francia chi materialmente li fa i figli? Qui veniamo alla seconda ragione: nell’esagono vivono circa 15 milioni di persone nate all’estero o figli di persone nate all’estero, insomma un quarto dei residenti in Francia sono stranieri o figli di stranieri ed è da loro che arriva prevalentemente il contributo demografico alla nazione. Gente insomma che non è francese o che lo è diventata da così poco da avere un ancoraggio ancora abbastanza solido ai valori, gli standard e la struttura famigliare della cultura di provenienza.

La domanda che ci dobbiamo porre quindi non è perchè non si fanno figli in Europa ma perchè i giovani europei dovrebbero farne? 

La nostra è una società che educa chiaramente ad altre priorità esclusivamente materiali, l’inculturazione a cui sono esposti i bambini ed i giovani europei pone al vertice delle priorità la realizzazione economico-lavorativa.

Il bombardamento di messaggi commerciali del sistema consumistico ci presenta gli obiettivi da raggiungere in termini di oggetti da possedere, oggetti perfetti che ci garantiranno la piena realizzazione di noi stessi, i modelli di vita e di relazione propinati dalla produzione dello show business sono improntati all’edonismo e la relazione è stata sganciata dal matrimonio, il sesso biologico dall’ “identità di genere”, il piacere dalla riproduzione e la procreazione stessa avrà sempre meno a che fare con l’unione di un uomo e una donna.

Se ci aggiungiamo che lo Stato non riconosce importanza strategica al tema e pensa di poter ovviare importando costantemente sangue fresco dall’Africa e che le società europee sono sempre più atee si capisce facilmente che non c’è nessuna ragione valida nè per il sacrificio che comportano i figli nè per volersi riprodurre e cioè continuare a vivere attraverso coloro che restano al posto nostro. Il quadro del vicolo cieco in cui ci siamo infilati è completo.

Il rilancio della natalità passa per forza per un cambiamento di carattere culturale, servirebbe un vero e proprio cambio di paradigma per cui i figli passano da essere un costo ad essere una ricchezza, concetto peraltro ben presente in tutte le culture tradizionali, la ricchezza dell’amore e della vita, dono di Dio.

Considerando che guarire l’Occidente dal nichilismo, dal consumismo e dall’edonismo è un’impresa di lungo corso e ampio respiro, intanto sarebbe fondamentale dare alla donna che fa figli la possibilità di occuparsene,si potrebbe iniziare istituendo un reddito maternità per ogni madre che decide di non lavorare durante il periodo in cui vuole crescere i figli. 

In un modello che ha obbligato le famiglie a produrre due redditi questo sarebbe un passaggio obbligato anche per garantire alla donna-madre a tempo pieno una propria indipendenza economica. 

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