Piazza Fontana: un commissario poteva sventare la strage ma fu fatto fuori dai servizi segreti

La fortissima esplosione avvenuta in Piazza Fontana all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in una fredda Milano, quel 12 Dicembre del 1969, ha posto fine alle vite di 17 persone e ferite altre 88. Fu l’inizio della strategia della tensione e del sodalizio consolidatosi nel tempo, tra eversione neofascista e sevizi segreti. Ma cosa avvenne prima della strage di Piazza Fontana, madre di tutte le stragi?

L’attentato di piazza Fontana non è più classificato come mistero; ormai è stata accertata la matrice neofascista facente capo al gruppo Ordine Nuovo del Veneto, con la costante supervisione e copertura dei nostri servizi segreti, in special modo l’ufficio Affari Riservati.

Infatti, la Corte di Cassazione, nel 2005 stabilì che la strage fu opera del gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo, capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura; purtroppo però i responsabili non erano più perseguibili in quanto precedentemente assolti con giudizio definitivo.

È noto persino il movente: come riferito dal giudice Salvini, l’obiettivo era spingere l’allora Presidente del Consiglio, il democristiano Mariano Rumor, a decretare lo stato di emergenza nel Paese, in modo da facilitare l’insediamento di un governo autoritario.

Il copione fu il medesimo di tutte le altre stragi a seguire, con le coperture, i depistaggi, le piste false e le strane morti: dalla morte del ferroviere Pinelli alla conseguente falsa pista anarchica perseguita per anni con l’accusa totalmente infondata nei confronti di Pietro Valpreda.

Esistono altri aspetti sconcertanti e spesso sottovalutati: il prequel, ovvero la fase di preparazione dell’attentato e la possibilità di sventarlo. Nel 1969, al commissariato di Padova, lavorava un poliziotto di nome Pasquale Juliano. Era in gamba e molto avveduto. Nella primavera dello stesso anno, l’ennesima azione terroristica all’Università di Padova fece partire una nuova indagine. A coordinarla era lo stesso commissario, che arrivò a individuare un nucleo di estremisti neri che trafficava in armi ed esplosivi; tale nucleo pareva essere proprio il gruppo di Ordine nuovo capeggiato da Franco Freda.

Il commissario intuì immediatamente che in tale gruppo c’era qualcosa di strano e molto pericoloso. Cominciò ad indagare sul loro conto, eseguendo anche pedinamenti.

Fece anche intercettare il telefono di Freda, non sapendo però che nel frattempo, altre entità superiori si erano già attivate, giocando sporco contro di lui. Infatti, durante una conversazione telefonica ascoltata dagli uomini di Juliano, si ode lo sprezzante Freda dire che “se c’è qualche coglione in ascolto, che ascolti pure”.

Nonostante tutto, riuscì ad incastrare il gruppo, facendo appostare la sua squadra sotto casa del neofascista Massimiliano Fachini, (processato e assolto sia per la strage di Piazza Fontana che per l’attentato alla stazione di Bologna del 2 Agosto 1980), sospettato di essere l’armiere della cellula veneta ordinovista.

La polizia intercettò un giovane militante neofascista che usciva dall’abitazione di Fachini con un pacchetto contenente dell’esplosivo e una rivoltella.

Iuliano dispose l’arresto di Fachini ma, tutti gli indagati e gli stessi confidenti di polizia, scagionarono Fachini dalle accuse.

Purtroppo, il poliziotto tanto abile e coraggioso, era ignaro che dall’altra parte si stavano muovendo per tramargli contro; fu proprio il commissario Juliano a cadere in trappola. Le accuse e le prove a carico dei soggetti colti in fragranza, gli si rivolsero contro. Così gli fu sottratta l’inchiesta che finì come di consueto insabbiata.

Il testimone che poteva scagionare il commissario, il sig. Alberto Muraro, portinaio dello stabile in cui risiedeva Fachini, morì cadendo lungo la tromba delle scale del condominio, in circostanze strane.

Il commissario fu fermato, sospeso dal servizio e addirittura finì sotto processo con l’accusa di aver costruito false prove contro i terroristi.

Juliano uscì completamente assolto da tutti i capi d’imputazione ma ci vollero ben 10 anni per dimostrare la sua totale innocenza.

Resta il fatto che la vicenda che coinvolse il commissario avvenne nell’estate del 1969; ciò che accadde in seguito, è storia nota.

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