La Turchia ad Idlib combatte su tre fronti per risolvere la crisi umanitaria

Idlib_crisiumanitaria
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La Turchia sta combattendo su tre fronti per affrontare la crisi di Idlib: un’operazione militare, diplomatica e verso l’opinione pubblica internazionale. L’operazione militare è stata considerata una priorità assoluta da quando il regime siriano ha ucciso 13 soldati turchi.

Oltre a rafforzare le sue postazioni di osservazione ad Idlib, Ankara ha inviato unità militari per mantenere il controllo del territorio. Il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva invitato le forze di Assad a ritirarsi entro la fine di febbraio. Nel discorso della scorsa settimana al gruppo parlamentare del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), ha insistito dicendo: “Dichiaro che colpiremo le forze del regime, se i nostri soldati nelle postazioni di osservazione o altrove subiscono il minimo danno, ovunque, senza limitarci a Idlib o all’accordo di Sochi”.

Le dichiarazioni di Erdogan

A giudicare dalla dichiarazione di Erdogan, la Turchia limiterà la portata delle sue operazioni militari alla sola regione di Idlib ma in caso di attacco del regime la sua rappresaglia potrà avvenire su tutto il territorio siriano. Se la Turchia opererà a Qamishli, Aleppo o Damasco dipenderà dalla scelta e dalle capacità tecniche di Ankara. In effetti, non vi è stato alcun avvertimento  altrettanto grave come questo da parte turca a Bashar Assad dall’inizio della guerra civile.

La seconda dimensione della strategia turca di gestione delle crisi è la diplomazia, in particolare i colloqui con la Russia. Erdogan ha acclarato personalmente l’impegno del suo Paese a difendere Idlib al presidente russo Vladimir Putin. I due leader hanno concordato di dare un’altra possibilità ai negoziati tra le delegazioni. I leader militari si incontreranno ad Ankara e i ministri del governo a Mosca per scambiarsi ulteriori opinioni in merito alle “opzioni sul campo”. I russi si affidano alla loro tattica collaudata nel tempo: avanzare passo dopo passo nel teatro e al tavolo delle trattative.

Tuttavia Ankara rifiuta di spartire il territorio, e chiede un ritorno alla linea di demarcazione ai sensi dell’accordo di Sochi. Erdogan e Putin raggiungeranno la decisione finale in un incontro di persona. Trovare una via di compromesso serve gli interessi di entrambe le parti. Invero, il disaccordo tra Turchia e Russia su Idlib, potrebbe avere conseguenze a lungo termine. Si vedrà se Putin troverà un modo per tenere sotto controllo le tensioni o invece consentirà a terzi di influenzare le relazioni Turchia-Russia.

La palla è nel campo di Mosca.

La Turchia avverte una minaccia molto seria a Idlib e ritiene che sia in gioco il destino di altre zone sicure nel nord della Siria. Ricordiamo che la principale minaccia proveniente dalla Siria è stata il terrorismo, in particolare PKK / YPG e Daesh. Allo stesso tempo, c’è il problema dei rifugiati.

La Turchia ha condotto tre operazioni transfrontaliere per combattere il terrorismo. La prima incursione, Operation Euphrates Shield, colpì principalmente Daesh e godette quindi del supporto americano, russo e generale. Le restanti operazioni, Olive Branch e Peace Spring, si sono svolte tra obiezioni degli Stati Uniti e con il consenso russo. La terza incursione, in particolare, si è verificata perché la Turchia ha costretto gli Stati Uniti a ritirarsi dal nord della Siria. Washington pensò che il suo ritiro avrebbe innescato le tensioni tra Turchia e Russia, ma Erdogan e Putin si affidarono al dialogo diretto tra leader per gestire la situazione.

La quarta operazione militare della Turchia avrà luogo a Idlib. Questa volta, Ankara metterà i piedi sul terreno per salvare l’accordo di Sochi. La Turchia chiede l’attuazione dell’accordo, che Russia e Iran hanno firmato, che è stato approvato da Germania, Francia e Regno Unito. La volontà turca, secondo le fonti ufficiali è fermare lo spargimento di sangue e prevenire un’ulteriore prossima crisi dei rifugiati.

La Germania fornirebbe assistenza finanziaria ai rifugiati siriani

La terza e ultima dimensione della strategia della Turchia è di esercitare pressioni sui centri di potere internazionali e sull’opinione pubblica. Il ministro della Difesa Hulusi Akar ha invitato la NATO, l’Europa e il resto del mondo a fornire “sostegno serio e concreto” per porre fine alla crisi di Idlib. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la NATO hanno rilasciato dichiarazioni che ribadiscono il loro impegno per il diritto di autodifesa della Turchia. Non c’è motivo di aspettarsi che l’Europa cambi idea, la Germania fornirebbe assistenza finanziaria ai rifugiati siriani.

Ci sono molte cose che gli Stati Uniti potrebbero offrire se volessero: dal sostegno pubblico all’armamento dei ribelli, prendendo di mira le basi del regime chiave e offrendo nuovi percorsi per difendere la Turchia. Washington ovviamente aspetterà di vedere la mossa di Putin. Allo stesso tempo, la pressione dell’America, dell’Europa e dell’opinione pubblica internazionale incoraggerebbe la Russia a fermarsi.

Qualcuno a Washington sembrano pensare che la crisi di Idlib sia una grande opportunità per impartire alla Turchia una dura lezione e fare affari con la Russia. Non dimentichiamo che la politica di Washington, che risale all’amministrazione Barack Obama, ha permesso alla Russia di rafforzare la sua influenza sul Medio Oriente e sul Nord Africa.

È stata questa politica che ha incoraggiato la Turchia a stringere maggior relazioni con Mosca. Se Washington si avvicinasse rafforzerebbe la sua influenza sul dossier siriano. La mancata azione, invece, comporterà la perdita di un’altra opportunità per migliorare i rapporti Turchia-Stati Uniti.

 

Articolo di Burhanettin Duran pubblicato sul quotidiano turco Daily Sabah 

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