Il Debolezzavirus: la comunicazione ai tempi del colera

A un certo punto successe un fatto strano e portentoso, di quelli che negli Stati Uniti vengono usati per imbastirci più o meno improbabili commedie cinematografiche. Hai presente il film con Mel Gibson “What women want”? Lui è un donnaiolo incallito che a un certo punto, per il suddetto fatto strano e portentoso, si ritrova nella assai poco invidiabile condizione di poter ascoltare i pensieri delle donne. Ebbene – dicevamo – a un certo punto in Italia successe un fatto strano e portentoso tipo quello lì, ma diverso, perché non successe solo a uno, ma contemporaneamente a tutti. Quale? Le persone, grazie ai cosidetti social network di massa, acquisirono la capacità di poter ascoltare i pensieri degli altri, anche quelli più reconditi, che potevano ora essere sparati fuori come proiettili e detonare come bombe al tritolo, quasi nel momento stesso in cui prendevano forma.

La classe politica rappresentante dei pensieri della gente tramite i social

Questa cosa influì sui pensieri e sui comportamenti di tanti, in primis dei rappresentati della classe politica, quelli da sempre più sensibili ai pensieri della gente, soprattutto dopo che, da qualche anno, avevano risposto con un entusiasmo piuttosto malriposto alla chiamata di fede della cosidetta “vocazione maggioritaria” (quella per cui si diventa Cari Leader in poco tempo con il solo accorgimento di non svolgere più una funzione di rappresentanza politica, con tutto la faticosa elaborazione che comporta, ma di concentrarsi unicamente sulla pura rappresentazione dei pensieri che tra le persone vanno per la maggiore, infinitamente più defatigante).

La velocità di propagazione del Debolezzavirus

Fu più o meno in quel periodo che la classe politica smise di avere pensieri propri per rifornirsi di quelli che così generosamente sgorgavano ogni giorno dai social network. E usarli così come venivano, senza mediazione alcuna. Fu un attimo. La coltivazione intensiva di pensieri altrui, grezzi, spesso non debitamente igienizzati dalle scorie del pressapochismo, della faciloneria e della sciatteria intellettuale, generò il Debolezzavirus, di bassissima letalità ma dall’impressionante velocità di propagazione. La classe politica rimase contagiata da pensieri infetti e li trasmise mediaticamente con il risultato di rendere di potenza geometrica la diffusione del Debolezzavirus, il cui sintomo principale risultò essere una patologica incapacità di pensiero strutturato che provocava una fastidiosa e pressoché inguaribile allergia alla complessità.

Chi di dovere se ne lavò accuratamente le mani e – fatto curioso – proprio per questo contrasse il virus. L’effetto (forse) indesiderato fu che, dopo pochi anni, gli anticorpi della società erano diventati deboli e molti caddero malati, in primis la classe politica e dirigente: eravamo indifesi. Fu particolarmente chiaro allorquando vi fu bisogno di pensieri solidi, sedimentati, non volatili e meno che mai contradditori. Il Debolezzavirus li aveva pressoché annientati e il Paese intero si ritrovò in balia di un pensiero debole, mutevole, ipersemplificato, assolutamente inadeguato a fronteggiare livelli crescenti di complessità e meno che mai scenari inediti, prevedibili ma non previsti.

Un intero sistema in tilt

Bastò una piccola grande epidemia parainfluenzale dalle caratteristiche inedite per mandare in tilt il sistema e svelare, come nella nota fiaba, che il re era nudo. Pardòn, debole e balbettante.
Erano deboli e balbettanti anche quelli che sembravano forti e decisi, mentre quelli già deboli si indebolivano e balbettavano ancora di più, nell’ansia scimmiottesca di emulare quelli che apparivano forti senza esserlo.

I giornalisti e i commentatori, al solito, anziché riconoscere e denunciare per tempo la debolezza di una classe dirigente balbuziente, ne cavalcarono selvaggiamente le incertezze, illudendosi che la spettacolarizzazione incessante della balbuzie fosse la chiave di interazione giusta per sopravvivere alla propria agonia rinunciataria, nell’epoca degli assordanti pensieri di massa.

Gli scienziati si indebolirono l’uno con l’altro e le strutture sanitarie pubbliche collassarono, indebolite da anni di sviluppo di fortezze sanitarie private, totalmente indisponibili e inadatte a gestire la crisi.
Persino i mitologici poteri forti, quelli la cui forza è inversamente proporzionale alla debolezza della politica, si rivelarono inaspettatamente vulnerabili al Debolezzavirus.

Il ricordo all’uomo forte, come antidoto alla debolezza del sistema

Fu proprio quando l’epidemia sembrava completamente fuori controllo che qualcuno, prima timidamente e poi in modo sempre più convinto, iniziò a isolare il virus, passo indispensabile per poterlo conoscere meglio. Ebbene, studiandolo emerse la sua totale impermeabilità a qualsivoglia vaccino, persino quello che a rigor di logica avrebbe dovuto funzionare meglio contro il Debolezzavirus: il ricorso all’Uomo Forte.
Per una qualche strana ragione, in quel caotico periodo in Italia, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare (e alla consolidata tradizione), non si udirono invocazioni all’Uomo Forte, inteso come antidoto alla debolezza del sistema.

Il sistema immunitario di un paese indebolito

Anzi. Taluni si convinsero – senza mai dirlo esplicitamente, per paura di ferire sentimenti secolari – che il “paziente zero” del Debolezzavirus fosse proprio l’atavico culto dell’Uomo Forte, da cui il nostro Paese non era in fin dei conti mai guarito del tutto. Si pensò, senza troppo amplificare il pensiero (che già se ne sentivano di tutti i tipi, le taglie e i gusti), che forse poteva essere stato proprio il mito decisionista dell’Uomo Forte, rilanciato e corroborato dall’intercettazione incessante di svagati pensieri di massa, a indebolire così tanto il sistema immunitario del Paese.

E sai perché tutto sommato io credo sia vero? Perché quando la forza di un Uomo Forte rende deboli tutti gli altri, alla fine contagia anche lui. Perché, al dunque, la debolezza è un virus che fa il suo giro. E perché in un sistema democratico basato sui pesi e contrappesi, nessuno è immune. Fu esattamente in quel momento che il Paese incominciò a guarire.

E vissero tutti felici e contenti

A questo proposito giova chiudere questa piccola storia tornando al suo punto di partenza.
Sai come finiva il film con Mel Gibson che sente i pensieri delle donne?
Che alla fine lui e lei si innamorano e vivono felici e contenti.
E sai quando succede?
Dopo che lui ha smesso di ascoltare i pensieri delle donne e ha ricominciato a usare un filtro (o una mascherina, se preferite) tra quello che si pensa e quello che si dice.

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