L’anarchia napoletana soffocata dalla maschera del virus

Mercoledì 3 Giugno, data che sancisce il momento in cui l’Italia dovrebbe tornare ad essere una nazione e non più un agglomerato di Regioni, arroccate dietro alle decisioni di governatori assurti al ruolo di monarchi feudali.

Approfittando della riapertura delle neofrontiere, arrivo a Napoli. Appena scesi dal treno si sentono delle voci imperative, amplificate dai megafoni. Sembrano suoni provenienti dalla protesta di uno sciopero. Mi dico:

Ecco finalmente i primi segni di ribellione di un popolo stanco di divieti e di situazioni lavorative ancora più precarie del solito. La piazza che scavalca la casa, il megafono al posto della stucchevole mascherina.

Invece no! Quelle voci appartengono al personale schierato per controllare l’esodo di migranti che arrivano da altre e remote regioni. Ingiungono con tono deciso e anche supponente di indossare la mascherina, di restare in fila e mantenere la ormai famosa distanza di sicurezza.

La fila assume la forma di un serpentone diretto alla postazione di controllo, dove operatori completamenti foderati di tute aliene ed isolanti, puntano le loro piccole pistole sulla fronte di tutti i passeggeri per misurarne il possibile reato: la temperatura oltre 37,5 gradi. Una volta superato il controllo, ci si avvia verso l’uscita, che ormai ha la stessa fisionomia degli Arrivi di un aeroporto.

L’anarchia napoletana soffocata dalla maschera del virus

Nonostante la fredda accoglienza, sono fiducioso e curioso circa lo spirito di irriverente ribellione, da sempre caratteristica unica del popolo a cui appartengo. Mi aspetto per esempio ragazzini che veloci sui motorini, con la mascherina in testa al posto del casco, irridano i passanti. Più avanzo nell’esplorazione e Napoli pare invece somigliare a Milano: la maggior parte delle persone indossa la mascherina, non ci sono segni di malcontento popolare. Le file fuori agli uffici e ai locali sono insolitamente ordinate. L’unica reale forma di ribellione, qui come altrove, resta la mediatizzita movida.

L’ultima roccaforte dell’indipendenza dell’individuo sembra esser l’aperitivo con la mascherina indossata come un collare. Intorno ai bar si creano piccoli assembramenti vietati da qualunque altra parte, in ossequio l’inalienabile diritto al divertissement, mentre milioni di lavoratori sono condannati all’adozione di rigide e alienanti misure di igienizzazione e a una drastica riduzione degli introiti.

Il paradosso di queste ormai stanche misure è ormai evidente: non servirebbero minimamente a contenere un eventuale contagio, e allo stesso tempo limitano inutilmente la vita quotidiana, lavorativa e mentale di gran parte delle persone. Il parossismo lo si raggiunge al Bosco di Capodimonte, il più importante polmone verde della città.

Qui tocco con mano gli effetti della demente e abilmente populista politica del Governatore De Luca, così amato dalla gente grazie anche al lavoro di comici pieni di sè.

Nel bosco si può passeggiare in gruppo, andare in bici, fare picnic, giocare a calcio, perfino fumarsi qualche canna, addirittura senza mascherina, ma attenzione: è rigorosamente vietato correre!

Ad eccezione di una piccola area, in tutto equiparabile all’area cani. A far rispettare tale divieto ci pensano i cosiddetti assistenti civili, che con pettorine verdi e poteri quasi nulli, ti minacciano con qualche gesto poco convinto, quasi vergognandosi del loro ruolo.

Sul senso medico, scientifico, estetico o politico di una tale Ordinanza, figlia di un egoico buffone, in odore di rielezione, mi sembra inutile discutere.Piuttosto è interessante osservare come i napoletani rispettino in maniera abbastanza rigorosa tali norme.

Sarà stata la paura del virus o l’autorevolezza di chi è al potere a indebolire lo spirito di un popolo anarchico per definizione? Non credo.

Un popolo abituato a convivere con la miseria, la morte e la precarietà, da sempre ostile alle regole non può esser stato improvvisamente snaturato dalla paura di un virus o dal rispetto del potere.

Temo invece sia un latente carattere di pigra assuefazione e rassegnata accettazione dello stato delle cose, che da tempo si sta depositando come polvere sulla superficie imprevedibile della maschera di Pulcinella, imbavagliata ora dalla mascherina del conformismo e della paura. E l’immancabile ironia forse non è più funzionale alla ribellione, ma alla conservazione. 

Smascherata infine Napoli, credo di perdere ormai ogni speranza in qualunque forma di anarchia collettiva.