Il delirio di Porro & Co: se critichi le loro panzane gridano alla fatwa

La replica di Francesco Giubilei all’articolo “La turcofobia della stampa italiana: tutta colpa di Erdogan”, pubblicato da La Luce sabato 30 ottobre, è un perfetto esempio di questo giornalismo ideologico e militante in modalità combattiva.

Il giornalismo militante ha modalità d’azione costanti e sfacciate. L’obiettivo che si propone è la difesa incondizionata di posizioni precostituite: i “buoni” e i “cattivi” vengono decisi a tavolino, i fatti vengono piegati alle esigenze di schieramento, la realtà capovolta con compiaciuta disinvoltura.

Un confronto richiede pazienza e comprensione, perché l’interlocutore – invece di rispondere a tono, paragrafo per paragrafo e idea per idea – svicola, inventa, manipola, ti attribuisce frasi e intenzioni mai espresse. A volte evita di riportare le tue parole, neanche per stravolgerle.

Cito: “Esercitare il proprio diritto di espressione e di critica alla Turchia di Erdogan e all’Islam radicale, diventa ogni giorno più difficile anche in Italia.”; e poi: “alcuni giornalisti e scrittori vengono accusati di di islamofobia sguaiata per il semplice fatto di aver criticato Erdogan e la Turchia.”

Innanzitutto: in che senso “esercitare il proprio diritto di espressione e di critica alla Turchia di Erdogan” starebbe diventando “ogni giorno più difficile”? Quali sono i fatti, i riscontri, gli esempi portati a dimostrazione di questa tesi? A me non risultano.

E comunque: esercitare questo diritto di espressione e di critica sarebbe forse reso “ogni giorno più difficile” in virtù di un articolo pubblicato sul quotidiano online La Luce? Davvero? 

Soprattutto: cosa intende Giubilei con “critiche”? Di quali “critiche” parliamo?  

Ne cito solo alcune, tra quelle già documentate:

Erdogan è “il migliore punto di riferimento del mondo terrorista”;

“Erdogan […] è come Osama bin Laden, […] ordina di trucidarci e i suoi sudditi obbediscono manifestando una crudeltà senza pari”;

“Impossibile non pensare a un nesso tra l’attentato di [Nizza] e la copertina di Charlie Hebdo uscita ieri”;

“La Turchia è il nostro nemico principale al giorno d’oggi. Vuole conquistare l’Europa e imporre la sua visione dell’islam”;

“Oggi il leader [della Turchia] sembra incoraggiare una nuova guerra di religione in difesa dell’Islam”.

No, queste non sono “critiche”. Sono invece accuse totalmente gratuite, mosse senza il benché minimo riscontro fattuale. In sostanza, il presidente Erdogan viene presentato all’opinione pubblica italiana come capo terrorista o almeno punto di riferimento di gruppi terroristici, come il responsabile o almeno il mandante morale dell’assalto terroristico nella cattedrale di Nizza (compiuto invece da un tunisino transitato per Lampedusa). Ripeto: dove sono i fatti e riscontri su cui si basano le accuse? 

E il punto, invece, è che queste accuse azzardate – senza che venga fornito un qualsiasi elemento concreto per spiegarle – contribuiscono a creare un clima di profonda ostilità nei confronti del mondo islamico e specificamente della Turchia: che è da decenni alleato dell’Italia nella Nato, che è un rilevante partner industriale e commerciale del nostro Paese (con oltre mille aziende italiane attive in Turchia), che con noi condivide esempi di cooperazione culturale di altissimo livello, che per l’Italia esprime continuamente ammirazione e amicizia. Vale la pena ignorare questa realtà, pur di autoimporsi una visione del mondo basata sull’opposizione dei “buoni” (i cristiani) ai “cattivi” (i musulmani, per di più turchi)?