Il Marocco, Israele e i movimenti islamici nella stanza dei bottoni

C’è una vecchia storia araba, che a qualcuno non piacerà, ma che mi sembra adatta alla situazione che vivono alcuni nostri fratelli e sorelle che siedono o si sono seduti sulle scomode/comode poltrone di alcuni governi mediterranei o che stanno comunque nelle maggioranze politiche che quei governi sostengono.

Alla viglia delle nozze, una madre beduina istruiva la figlia che andava sposa: “Prendi la spada di tuo marito e usala per spezzare le ossa della carne che devi cucinare, se non ti dice niente prendi il suo scudo e usalo come tagliere, se ancora ti lascia fare, prendi un basto e mettiglielo sulla schiena, sarà il tuo asino”.

Un prologo feroce per parlare del PJD ( Partito della Giustizia e Sviluppo) in Marocco , di Ennahda in Tunisia, del MSP- Movimento delle Società per la Pace in  Algeria.

Siamo inevitabilmente figli del nostro tempo e non possiamo non fare riferimento alla nostra esperienza; il partito socialista di Nenni fece di tutto per “entrare nella stanza dei bottoni” (maggioranza e governo insomma) e per qualche anno forte dello stimolo e della concorrenza del PCI alla sua sinistra riuscì a inaugurare una stagione di riforme sociali (come fecero del resto in tutta Europa i fratelli partiti socialisti di Francia, Regno Unito, Germania e Paesi Scandinavi). Fu la stagione aurea del riformismo politico che diede l’illusione che si potessero coniugare felicemente i consumi e il welfare. Poi pian piano, la lotta di classe continuarono a combatterla solo i capitalisti e si ripresero tutto quello che avevano dovuto mollare.

Ma quei socialisti, e poi quegli ex comunisti, di fronte al fallimento non solo ideologico, non si tirarono fuori dalla “stanza dei bottoni”, anzi ci misero radici, cambiando nomi e simboli di partito, colori di bandiere e anche elettorato che via via si spostò sempre più a destra, prima in Francia, poi in Italia e in Germania.

Mutatis mutandis, anche se erano animati da assiomi etico-spirituali piuttosto che economici e sociali quella che sta succedendo ai partiti di tendenza islamica nel grande maghreb arabo non è affatto diverso.

Tutti quanti grosso modo nella mouvance del pensiero organizzato derivante dalla teorizzazione e predicazione di Hassan El Banna, erano cresciuti e sopravvissuti alle persecuzioni dei regimi al potere e, con percorsi di diversa drammaticità, uomini e donne che erano stati imprigionati, torturati, esiliati videro aprirsi le stanze del potere, assunsero incarichi ministeriali, prestigio e legittimazione insomma.

Per cosa? E a quale prezzo?

In Algeria il prezzo fu legittimazione del colpo di Stato del 1991 dopo il primo turno delle elezioni politiche che aveva visto la vittoria del FIS (Fronte di Islamico di Salvezza) nelle prime elezioni libere dall’indipendenza del Paese. Il leader del principale movimento islamico che allora si chiamava Hamas dichiarò “Noi benediciamo l’uscita dell’esercito per salvaguardiare la democrazia”. Seguirono oltre 10 anni di guerra civile, un fiume di sangue in eccidi che provocarono  fino a 150 mila vittime e danni non quantificabili all’intero Paese. Quel movimento islamico tollerato rimase sempre nell’alveo del potere rivendicando a questa posizione l’attenuazione della repressione e l’amnistia che in realtà ha cercato di mettere una pietra tombale sui crimini di cui il regime si è macchiato durante la guerra civile.

Altra storia quella di Ennahda della Tunisia. Per loro nessuna complicità con il dittatore Ben Ali, anzi, il prezzo pagato dai suoi militanti è stato altissimo. Dopo che “la rivoluzione dei gelsomini” aveva cacciato il tiranno  il partito di Rached Ghannuchi, vinte le elezioni, non ha mai avuto la forza e i mezzi di portare avanti quel processo di moralizzazione e rinnovamento del Paese annunciando il quale aveva ottenuto l’importante successo elettorale nel 2011. Divenne il secondo partito nel 2014 e tornò in testa nel 2019 pur scontando una diminuizione degli eletti (ne aveva 89 nel 2011 e solo 54 nel parlamento in carica). Nel frattempo la situazione economica del Paese è peggiorata, molti dei tunisini che erano rimpatriati dopo la rivoluzione hanno dolorosamente scelto di tornare in Europa e  tra i migranti che sbarcano sulle coste italiane (il 41% di quelli arrivati nel 2020)

Il caso del Marocco che nei giorni scorsi ha ufficializzato la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele è ancora diverso.

Il PJD, al potere da quasi 10 anni, anche se parlare di potere governativo in un sistema politico come quello marocchino è quanto meno un’esagerazione, si è visto essere costretto ad accettare tutto quello che il Palazzo e lo stato profondo, l’apparato sempiterno legato alla dinastia alaouita, gli ha imposto.

Abdel-Ilah Benkiran due volte primo ministro dovette sopportare la “morte accidentale” del suo più caro amico e collaboratore Abdellah Baha, in corcostanze talmente oscure da essere state un messaggio inequivocabile per lui.

Oggi El Saâdeddine El Othmani, attuale primo ministro, che aveva dovuto lasciare la carica di ministro degli esteri nel primo governo Benkiran perchè accusato di essere troppo filo palestinese, invierà il suo ambasciatore a Gerusalemme, alla corte di Benjamin Netanyahu.

Quando un giornalista chiese ad Andreotti se il potere logorasse chi  lo esercita, rispose che  “il potere logora chi non ce l’ha”… evidentemente anche chi non lo vuole perdere, costi quel che costi.