Regeni 5 anni dopo: un omicidio di Stato

Le indagini sul barbaro omicidio del nostro connazionale, il ricercatore universitario Giulio Regeni, sono giunte finalmente ad una svolta. La Procura di Roma ha infatti emesso un atto di accusa di 94 pagine firmato dal procuratore capo Michele Prestipino e dal sostituto Sergio Colaiocco in cui si ricostruiscono cinque anni di indagini e con cui si chiede il rinvio a giudizio per quattro ufficiali della Sicurezza Nazionale egiziana.

Inoltre sembra che la lista quasi certamente si allungherà, le indagini stanno comprovando la responsabilità del regime egiziano ai suoi livelli apicali. Come sappiamo Giulio Regeni è scomparso la sera del 25 Gennaio 2016, dopo essere uscito per incontrarsi con il Professore Gennaro Gervasio. L’Ambasciatore Massari, come risulta dal resoconto della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, si attivò immediatamente presso i vertici dello Stato egiziano, ricevendo solo dinieghi e false dichiarazioni. Infatti già la mattina del 26 Gennaio, appena poche ore dopo la scomparsa di Giulio interessò ufficialmente tramite formale nota verbale il Ministero degli esteri egiziano.

Al contempo contattò Il Ministro di Stato egiziano per la produzione militare, Mohamed El-Assar, suo regolare interlocutore, e conoscenza personale, particolarmente influente e vicino ai vertici militari dell’intelligence. El-Assar assicurò Massari che se ne sarebbe occupato personalmente e avrebbe informato tempestivamente il Ministro dell’interno dell’epoca, Magdi Abdel Ghaffar (che ricoprì il ruolo dal 2015 al 2018), per sensibilizzarlo sulla delicatezza e importanza del caso. Inoltre, sempre Massari chiese l’intervento anche dell’allora ambasciatore egiziano a Roma, Amr Helmy.

Tutto ciò dopo aver contattato immediatamente la sera stessa del 25 Gennaio il responsabile dell’ufficio di intelligence presso l’Ambasciata Italiana chiedendogli di attivare i propri interlocutori egiziani. E ancora, sempre il 27 gennaio, Massari racconta di aver sollecitato nuovamente i suoi interlocutori egiziani dei ministeri degli esteri, in particolare l’allora assistant minister, ossia il viceministro per gli affari europei, l’ambasciatore Hossam Zaki, oltre al capo di gabinetto del Ministro dell’Interno sino al responsabile dei rapporti con l’Italia, il colonnello Shawkat, per avere notizie.

Al contempo avanzò la prima formale richiesta di incontro con il Ministro dell’Interno Abdel Ghaffar. E l’ineffabile Abdel Ghaffar, dopo essersi negato per giorni, mentre Regeni veniva torturato negli uffici del suo Ministero, accettò di incontrare l’Ambasciatore solo il 2 Febbraio negando di sapere alcunché a riguardo del cittadino italiano, come avevano fatto sostanzialmente fino a quel momento tutte le autorità contattate. Insomma, nessuno in Egitto sapeva nulla del giovane ricercatore.

Eppure l’informatore della Sicurezza di Stato Muhammad Abdallah, leader del Sindacato degli ambulanti afferma di aver visto proprio Magdi Abdel Ghaffar, presso la sede della Sicurezza Nazionale. Infatti quando vi si recò alla Sicurezza Nazionale a Madinat an-Nasr nel nord del Cairo per denunciare Regeni, dopo ore di verbalizzazioni e confidenze relative ai movimenti di Giulio, mentre stava per andarsene fu bloccato perché dall’edificio stava uscendo il Ministro dell’Interno Abdel Ghaffar, inducendo nell’informatore la convinzione che la faccenda fosse davvero grave se era venuto in persona addirittura il Ministro stesso.

Inoltre la “villetta” di Lazoughly, dove fu portato il giovane ricercatore italiano dopo il suo trasferimento dal commissariato di Dokki a seguito del suo fermo-rapimento all’uscita della metro vicino a Piazza Tahrir, si trova all’interno di un edificio nel centro del Cairo dove ha sede il Ministero dell’Interno dell’Egitto. Proprio lì, nella stanza n.13, fu orribilmente torturato a morte per giorni e giorni il povero Giulio.

Tutto ciò dimostra come le più alte cariche dello Stato egiziano, a partire dall’allora Ministro dell’Interno abbiano consapevolmente mentito all’Ambasciatore italiano Maurizio Massari e di quanto in alto nella scala della gerarchia egiziana ci si fosse occupati del nostro ricercatore. La vicenda crea grande imbarazzo presso le autorità egiziane, che avevano provato a depistare in tutti i modi possibili, prima inventandosi inverosimili piste che non vale la pena nemmeno menzionare e poi arrivando ad assassinare cinque disgraziati su cui si voleva far ricadere l’ipotesi di un rapimento a scopo di rapina, pista talmente poco credibile da essere successivamente smentita dalle autorità egiziane stesse.

Solo dopo cinque anni di indagini da parte della nostra Procura si è arrivati a formulare le quattro imputazioni, in particolare grazie a cinque preziosissimi testimoni, i cui nomi sono attualmente in mano solo alla Procura e custoditi con estrema cura, tutti egiziani e almeno uno con quindici anni di esperienza nell’Intelligence egiziana. Grazie a loro sappiamo che i Servizi egiziani, la Sicurezza di Stato in particolare, avevano messo gli occhi su Regeni sin dai primi tempi del suo arrivo in Egitto.

Una sua coinquilina, con cui Giulio condivideva persino il cloud con tutte le sue ricerche, riferiva ogni parola del giovane ricercatore, detta o scritta, alla Sicurezza di Stato. Sappiamo che la stanza di Giulio, prima del Natale 2015, fu perquisita con la complicità di un altro suo compagno di appartamento, un giovane avvocato di nome El Sayyad, e che l’ufficiale con cui era in contatto era tornato nel palazzo un altro paio di volte. Grazie ai testimoni sappiamo che uno degli indagati, Sherif Abdelal Magdi, maggiore del servizio presso la Sicurezza Nazionale, era a capo del gruppetto di quattro agenti in borghese che furono visti accompagnare Regeni alla stazione di Polizia di Dokki per poi portarlo a Lazoughly.

E sempre in virtù di queste preziose testimonianze sappiamo che lo stesso Sherif si vantò dell’omicidio di Regeni durante un incontro tra funzionari dei servizi segreti africani a Nairobi in Kenya nel 2017, come sappiamo ormai con certezza che Giulio si trovava a terra in catene, con il corpo martoriato dalle torture, nella sede della Sicurezza di Stato di Lazoughly, nella famigerata stanza n.13 il 28 o 29 Gennaio 2016, ormai in stato di semi-incoscienza. L’omicidio di Regeni ci ricorda la situazione pesantissima e senza precedenti dal punto di vista dei diritti umani in Egitto.

Le carceri egiziane detengono ad oggi oltre 60.000 prigionieri politici, basta l’accusa di aver scritto un post su Facebook  contro il regime per finire in carcere, come ci dimostra anche la vergognosa vicenda dello studente Patrick Zaki. Inoltre, la prestigiosa associazione “Committee for Justice”, fondata a Ginevra in Svizzera nel 2015, ha emesso un dettagliato rapporto intitolato “The Giulio Regenis Of Egypt: Deaths In Custody In Egypt Since 2013”, in cui ci informa che dal 2013, data del golpe militare di Al Sisi, si sono avute 1058 vittime in distretti di Polizia, sedi della Sicurezza Nazionale, carceri e luoghi di detenzione vari.

Vale la pena  ricordare che altri stranieri sono stati vittime del clima di paranoia che ha pervaso l’Egitto dall’avvento di Al Sisi, un caso che è riemerso dopo l’assassinio di Regeni è quello del cittadino francese Eric Lang, fermato a Zamalek, quartiere residenziale non lontano da Piazza Tahrir, in gran parte abitato da stranieri, il 6 Settembre 2013. Lang, un insegnante di lingua francese al Centro Culturale di Francia, residente al Cairo da vent’anni, fu arrestato con la scusa di aver violato un coprifuoco non ancora in vigore, portato al distretto di Qasr al ‘Ayn venne ucciso.

Ufficialmente venne pestato a morte da altri detenuti con tutta probabilità incitati dalla Polizia stessa, nel clima di caccia allo straniero che caratterizzò l’avvento di Al Sisi. Infatti dal golpe di Al Sisi si è propagata una narrazione tossica, fatta di nazionalismo a buon mercato, dove ogni occidentale era un “alleato dei Fratelli Musulmani” o in ogni caso un “fomentatore di rivolte”.

Grande eco sta avendo la vicenda Regeni sui mass-media arabi. Infatti mentre le Tv e i quotidiani egiziani stanno osservando un rigoroso silenzio sulla vicenda, Al Jazeera e i canali di opposizione stanno dando largo spazio all’omicidio del giovane ricercatore, con interviste a numerosi giornalisti italiani, all’avvocato della famiglia Regeni e ad attivisti per i diritti umani, soprattutto nell’ottica delle ripercussioni che la vicenda sta avendo e potrà avere nelle relazioni tra l’Italia e Egitto, e di un auspicato isolamento internazionale del regime di Al Sissi, in particolare se l’Italia porterà la questione a livello europeo, come sembra stia accadendo nelle ultime ore.