Žižek vs Peterson: riflessione su ideologia, marxismo e gerarchia

Nel suo saggio Mapping Ideology il filosofo Slavoj Žižek definisce l’ideologia in termini non poco marxisti nel seguente modo:

“L’ideologia può designare qualsiasi cosa, da un atteggiamento contemplativo che riconosca erroneamente la sua dipendenza da realtà sociale ad un insieme di credenze orientate all’azione, dal mezzo indispensabile in cui gli individui vivono le loro relazioni con una struttura sociale a false idee che legittimano a potere politico dominante. Essa sembra apparire proprio quando tentiamo di evitarla, mentre non appare dove ci si aspetterebbe chiaramente che dimori.” (Žižek, 1995)

In poche parole, per Žižek un’ideologia può avere la semplice, classicamente marxista e squarciante definizione di “insieme di false idee” e non è certo un mistero che per Marx la religione ne rappresenta l’epitome. Ma essa può avere anche il significato di strumento che ci permette di interpretare la realtà dei fatti come Žižek stesso spiega nel film documentario “guida perversa all’ideologia”, in cui l’ideologia è rappresentata da quei magici occhiali che quando indossati rivelano la verità delle cose.

In questo senso, l’idea che vedere la realtà delle cose significa vedere il mondo “senza occhiali” è una menzogna per Žižek. L’ideologia rappresenta la lingua con la quale siamo persuasi di interpretare il mondo. Essa è quella cosa che guida l’essere umano a definire ciò che giusto, ciò che non lo è, e persino se un concetto di giusto e sbagliato esista. L’esempio dell’ideologia può essere raffigurato con l’esempio di una notte senza luna. Il cielo rende visibili le stelle, ma copre la terra e ciò che vi è su essa tale che chi è perso nel deserto può sapere dove andare ma non sa se al prossimo passo incontrerà un burrone che segnerà la sua fine e la sua caduta nel baratro, o se lo guiderà un passo più vicino alla destinazione.

L’ideologia è quella cosa che ci permettere di interpretare i segni che ci troviamo davanti e come abbiamo detto, dipende da noi se adottare un’ideologia che renda la vita ricca di significati positivi o negativi, o povera e scarna come lo può essere un libro fatto di pagine bianche. Certo è che il rischio di scegliere un’ideologia che porti all’interpretazione errata dei segni è più che reale.

In questa prospettiva il termine islamico dīn è avvincente. Il termine infatti racchiude il significato di modus vivendi. Quella che definiamo come religione nell’Islam è più che un semplice insieme di elementi a cui credere ciecamente e rappresenta invece una lingua che offre un’interpretazione della realtà che – a detta della narrativa islamica – giunge al vero facendo appello all’intelletto, alla Rivelazione ed alla fitrah, che nell’Islam identifica la disposizione naturale ed intrinseca di ogni individuo al Vero, alla certezza nell’esistenza di una Mente Cosmica che diriga e sostenga l’esistenza, e all’esistenza di un bene e del male oggettivo.

Il comunismo di Marx può essere considerato un’ideologia, ma egli supera la contraddizione presente nell’uso di un’ideologia per combatterne un’altra (il capitalismo contro il comunismo) immaginando un mondo utopico post-rivoluzionario e post-comunista in cui la verità profonda della lotta fra classi diviene chiara al popolo e la società si organizza basandosi sul pensiero razionale e sull’empirismo.

Il comunismo è visto più come uno strumento ideologico per liberarsi dalle ideologie quali religioni e capitalismo (che tende a voler nascondere l’idea di lotta e distinzione fra classi che per Marx è vitale). Il perché il comunismo possa essere considerato un’ideologia fino al momento della realizzazione dell’utopia comunista risiede nel fatto che la classe acquisisce una graduale coscienza delle verità del sistema e gradualmente (sempre continuando ad usare l’ideologia-strumento del comunismo) si libera da quelle che per Marx sono false nozioni. L’idea che però rappresenta l’anello più debole forse di questo filone di pensiero – che sicuramente non è lontanamente esaustivo ma di cui abbiamo selezionato alcuni elementi ai fini della riflessione – è proprio l’utopia di Marx, l’obiettivo finale, l’Eden marxista – se vogliamo – che egli dipinge come punto d’arrivo.

L’utopia di Marx è quella che vede il popolo autogovernato e autoregolato con una sorta di scheletro di governo che garantisca l’uguaglianza e la felicità tramite politiche socialiste, e tutto ciò in un contesto dove non vi è più distinzione fra governante e governato e le gerarchie crollano. Nel famoso dibattito-dialogo “Felicità: capitalismo contro marxismo” fra Jordan B. Peterson e Žižek il primo sottolinea che un errore di Marx è quello di non concentrarsi assolutamente sull’aspetto squisitamente naturale della condizione umana e sul fatto che veniamo al mondo nudi ed affamati e che ogni giorno l’individuo lotta per soddisfare tali bisogni adottando non solo misure individuali ma anche misure a livello comunitario come la gerarchia. In quest’ottica la gerarchia mostra elementi positivi e i problemi che Marx tenta di risolvere col suo pensiero non sempre sono dunque riconducibili ad un aspetto socioeconomico ma ad aspetti ben più fondamentali.

Questo è forse uno dei principali punti che ci potrebbe permettere di classificare l’utopia finale di Marx, quell’utopia che – descritta in termini puramente economici e senza alcuna apparente gerarchia (e cioè classi) – fallisce nel descrivere e forse anche a prevedere in questo mondo alcuni degli aspetti più profondi e naturali dell’essere umano e la conseguente possibilità di avere gerarchie positive. E’ vero che nell’utopia comunista esiste quel meccanismo egalitario in cui tramite il suffragio diretto il popolo vota alcuni membri fra loro che possano gestire le politiche da adottare, ma questa non è una vera e propria gerarchia. La relazione fra gli individui eletti e gli elettori è assolutamente una relazione fra pari e il popolo in ogni momento potrebbe decidere di rimuovere tali pseudo-governanti.

Ci sono ovviamente anche interpretazioni del comunismo come quello di Lenin, che vede lo Stato come garante del benessere comune e come autorità atta a guidare in modo patriarcale il popolo verso l’utopia di Marx ma soffermandoci puramente nel nocciolo della riflessione osserviamo che l’Eden marxista manca di pragmaticità. Lo scopo di quest’utopia (o distopia?) non è poi così diverso dalla visione non poco distorta e semplicistica che Marx ha delle religioni e del ruolo che la promessa divina rappresenta per Marx: un oppio. 

Peterson afferma durante il dibattito con Žižek che  “se le religioni sono l’oppio dei popoli allora l’ideologia di Marx è l’anfetamina.” Ricollegandoci all’epistemologia islamica, vi è un riconoscimento chiaro del ruolo positivo della gerarchia sia nel mondo animale (basti ricordare la Surah della Formica dove quella che forse è la formica regina comanda le sue truppe e questa immagine viene accostata a quella di Salomone che comanda le sue) che in quello umano, che sono distinti in virtù della capacità del libero arbitrio e della non necessaria sottomissione agli istinti che caratterizza l’essere umano.La gerarchia è descritta nel Corano come uno strumento che in mani positive può risultare nel non così utopico – visto che la narrativa biblica e coranica affermano la realtà storica di tale evento – regno davidico e in quello salomonico.

Nelle mani del corrotto la gerarchia risulta invece nel sistema faraonico in cui l’autorità al potere agisce come un dio ubriaco del suo potere e non diretto invece da una super-morale obiettivamente giusta e che pieghi le tendenze distruttive dell’ego (nafs in arabo). La mancanza di gerarchia può essere vista in quest’ottica come il rifiuto di uno dei ruoli primari che Dio ha scelto per l’essere umano, quello di essere un khalifa – un vicario ed un vicereggente di Dio – sulla Terra.

Questo ruolo crea già una prima gerarchia fra esseri umani ed animali, ma più nello specifico anche fra gli stessi umani stessi fra cui troviamo i khulafaa (plurale di khalifa) di cui l’esempio davidico rappresenta l’esempio massimo e coloro che sostengono, supportano, e beneficiano da questo sistema. La conseguenza di questo rifiuto nell’ottica islamica può essere carpita da una breve analisi della fraseologia del versetto coranico che collega causalmente il ruolo di khalifa a quello del giudizio e dell’implementazione della giustizia umana.

La giustizia, dunque, è possibile solo in un contesto gerarchico e può essere giusta e affidabile solo se la morale e l’etica che la dirigono sono esterne alle tendenze egoistiche degli individui che fanno parte di quel sistema gerarchico, cosa che nell’epistemologia islamica è garantita dall’origine divina e metafisica della Rivelazione e della sue regole etiche.

“«O Davide, abbiamo fatto di te un vicario sulla terra dunque giudica con equità tra gli uomini e non inclinare alle tue passioni, ché esse ti travieranno dal sentiero di Allah.» In verità coloro che si allontanano dal sentiero di Allah subiranno un severo castigo per aver dimenticato il Giorno del Rendiconto.” Corano 38:26