In Egitto 17 esecuzioni a Ramadan, tra di loro un insegnante di Corano ottantenne

Le autorità egiziane hanno eseguito tra il 26 e il 28 Aprile la condanna a morte di 17 persone accusate dell’irruzione nel posto di Polizia a Kerdasa, a sud del Cairo e di aver ucciso 13 poliziotti nel 2013, in seguito al Golpe militare.

Gli accusati che hanno sempre negato le accuse, erano detenuti ormai da anni nel braccio della morte del famigerato carcere di Wadi Natrun. Tra di essi un anziano ultra 80 enne, Sheikh Abdel Halim Gabril, un insegnante di Corano.

Nel dicembre 2014, il tribunale penale di Giza aveva condannato 184 persone, condannando a morte 183 e un bambino a 10 anni di carcere in relazione all’attacco alla stazione di polizia di Kerdasa. Durante un nuovo processo presso il tribunale penale del Cairo nel luglio 2017, 20 persone sono state condannate a morte. Nel settembre 2018, la Corte di cassazione egiziana ha confermato le loro condanne. Quattordici organizzazioni per i diritti umani, internazionali ed egiziane, hanno denunciato il verdetto, evidenziando gravi violazioni dei diritti a un processo equo. Infatti agli imputati è stato negato ogni contatto con i loro avvocati durante la loro detenzione e durante gli interrogatori, con confessioni che – viene denunciato – sarebbero state estorte con la tortura. Altri tre uomini nello stesso caso erano stati giustiziati il 4 ottobre 2020. 

“Queste esecuzioni in questi giorni benedetti indicano fino a che punto il regime è arrivato in termini di criminalità, sconsideratezza e sfida a tutti gli standard e valori su cui le società sono costruite”, ha affermato la dottoressa Maha Azzam, presidente del Consiglio Rivoluzionario Egiziano in un dichiarazione congiunta con il Partito Democratico Popolare Egiziano. Il loro comunicato ha invitato le masse egiziane a continuare la resistenza pacifica e ad impiegare metodi di disobbedienza civile contro il colpo di stato militare guidato dal presidente Abdel Fattah Al-Sisi. Unanime la condanna di tutte le formazioni di opposizione al regime di Al Sisi. 

La scorsa settimana, il rapporto annuale sulla pena di morte di Amnesty International ha rivelato che il numero di esecuzioni registrate in Egitto è triplicato nel 2020, rendendolo così il terzo paese al mondo dove la pena di morte è applicata più frequentemente, dopo Cina e Iran. Nel paese delle Piramidi si sono avute 57 esecuzioni solo nei mesi di ottobre e novembre del 2020, sollevando le proteste di Amnesty International e delle organizzazioni per i diritti umani. Questa cifra rappresenta il doppio delle esecuzioni avvenute in Egitto nell’intero 2019 ed è un ulteriore dato che dimostra come il ricorso alla pena di morte sia aumentato vertiginosamente con la presidenza di Abdel Fattah Al-Sisi.

La sentenza è stata implementata proprio dopo che la controversa serie televisiva “Al Ikhtiar 2” aveva ricostruito l’attacco al posto di Polizia di Kerdasa, sollevando ulteriori sospetti sulla natura di queste esecuzioni. La serie “Al Ikhtiar 2” infatti, un mega-spot per gli apparati militari e di Polizia egiziani, sta provocando un acceso dibattito in Egitto e fuori dall’Egitto – dato che le serie televisive egiziane in programma per Ramadan sono seguite da decine di milioni di persone in tutto il mondo arabo – e le numerose obiezioni, espresse anche tramite trasmissioni appositamente dedicate sui canali satellitari televisivi arabi,  sostengono che tramite questa serie si stia ricostruendo in modo falso e di parte la storia dell’Egitto post-2013, propagandando una visione che santifica i vincitori e condanna gli sconfitti e dove le violenze degli apparati di Polizia e dell’Esercito vengono giustificate in nome di una sorta di auto-difesa dalla “violenza islamista”.

La puntata che ha fatto più scalpore, quella dedicata allo sgombero di Piazza Rabaa al Adawiyya e di Piazza Al Nahda, uno dei più gravi crimini contro l’umanità computi dal regime egiziano, trova giustificazione in una supposta violenza dei manifestanti. Le impiccagioni di questi ultimi giorni oltretutto avvengono nel mese di Ramadan, contravvenendo sia alle usanze che a specifiche leggi vigenti in Egitto che impedirebbero l’esecuzione di condanne a morte durante il mese sacro per eccellenza nell’Islam.