La nuova generazione di attivisti digitali palestinesi mette in crisi Israele

La detenzione da parte di Israele di attivisti e giornalisti palestinesi sta rinvigorendo la resistenza pacifica, lanciando una nuova generazione di attivisti palestinesi.

Non è la prima volta che Israele ferma o arresta degli attivisti palestinesi. Ma gli arresti di massa effettuati dopo il cessate il fuoco tra Israele e Hamas – concordato per porre fine alle recenti violenze – potrebbero ritorcersi contro lo stato occupante.

Questa volta la detenzione di attivisti e giornalisti palestinesi sta rivitalizzando una resistenza pacifica da lungo tempo in fermento, e lanciando una nuova generazione di icone palestinesi che lottano per proteggere le loro case, oltre a sostenere l’autodeterminazione.

In un comunicato, la polizia israeliana ha affermato di aver lanciato “l’operazione legge e ordine” per assicurare i rivoltosi alla giustizia e per “mantenere la pace pubblica”. Ha aggiunto inoltre che finora “sono stati registrati 2.142 detenuti”.

Però i Palestinesi hanno risposto che la polizia israeliana ha arrestato coloro che stavano protestando pacificamente con l’obiettivo non dichiarato, ma ovvio, di soffocare lo slancio del loro movimento, che ha preso forza nell’ultimo mese.

La polizia di Israele, arrestando Muna al-Kurd, potrebbe infatti aver dato ragione ai Palestinesi. L’attivista, che ha 23 anni, aveva messo sotto accusa l’ordine di un tribunale israeliano in base al quale la sua famiglia, e molte altre, venissero sfrattate con la forza dalle loro case a Sheikh Jarrah, un quartiere nel cuore di Gerusalemme est. Anche suo fratello gemello, Mohammed al-Kurd, è stato convocato ed interrogato dalla polizia.

Il loro arresto è arrivato il giorno successivo a quello di una giornalista di Al Jazeera Media Network, Givara Budeiri, che è stata fermata mentre stava trasmettendo da Sheikh Jarrah.

Anche se i due fratelli sono stati rilasciati poco dopo, il loro arresto non ha fatto altro che dare maggior impulso alla loro lotta. La storia di Muna e Mohammed rispecchia quella dell’espropriazione di centinaia di migliaia di Palestinesi e sta ottenendo molta più visibilità ora rispetto a prima.

Muna e Mohammed avevano appena 11 anni nel 2009 quando i coloni ebrei si sono installati nella loro casa di Sheikh Jarrah, occupandone oltre la metà, in seguito ad un’altra ordinanza del tribunale di quell’epoca.

Loro padre era stato costretto a lasciare la sua casa ancestrale ad Haifa nel 1948 ed è stato reinsediato a Sheikh Jarrah nel 1956 dalla Giordania e dall’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, in cambio della rinuncia al suo status di rifugiato.

Muna e Mohammed non solo hanno ereditato il trauma generazionale, ma sono stati obbligati anche a condividere la loro casa con degli sconosciuti. Fin da bambini hanno condotto campagne contro gli insediamenti israeliani, filmando le tensioni tra Palestinesi e coloni, intervistati spesso da film-maker internazionali.

Ma nel marzo di quest’anno, quando il tribunale ha ordinato lo sfratto dall’altra metà della loro casa, i gemelli hanno combattuto una battaglia ancor più dura sui social media. Sono loro che hanno creato l’hashtag #SaveSheikhJarrah che ha circolato moltissimo su Twitter.

Un filmato nel quale compare Muna mentre affronta un colono ebreo, rimproverandolo per averle “rubato” la casa, è diventato virale online, mentre Mohammed è stato intervistato anche da diverse emittenti americane, tra le tante reti internazionali.

Quando gli è stato chiesto in un’intervista se sostiene le proteste “violente” che si svolgono a sostegno dei Palestinesi a Sheikh Jarrah, Mohammed ha risposto prontamente con un’altra domanda: “Lei appoggia l’espropriazione violenta di me e della mia famiglia?”. Anche questo filmato è diventato virale, andando a colpire un tasto dolente sia tra i Palestinesi in patria che tra quelli della diaspora.

Muna e Mohammed sono gli esempi di una nuova generazione di influencer della società palestinese che hanno un largo seguito sui social media. Hanno utilizzato efficacemente il mezzo mediatico per organizzare il dissenso e per diffondere il loro messaggio al pubblico, sia locale che internazionale.

Anwar Mhajne, assistente professore presso il Dipartimento di Scienze Politiche dello Stonewall College, ha affermato che la raffinatezza dell’attivismo dei fratelli nell’utilizzo dei social media, la loro giovane età e la persistenza nel combattere per la causa palestinese hanno mobilitato l’attivismo tra gli altri Palestinesi, i quali, a loro volta, hanno anche loro centinaia di migliaia di follower.

“Muna e Mohammed al-Kurd sono stati in prima linea nel diffondere la consapevolezza della minaccia di espulsione che le famiglie palestinesi devono affrontare a Sheikh Jarrah”, ha detto Mhajne ad Al Jazeera. “Gli utenti dei social media si sono radunati per sostenere i fratelli dopo la pubblicazione di un video postato da un loro amico che mostrava Muna prelevata con le manette ai polsi dalla sua casa, davanti a suo padre”.

All’esterno della stazione di polizia, una decina di manifestanti pacifici sono stati minacciati con granate stordenti dalle forze di polizia.

“L’hashtag arabo #الحرية لمنئ الكرد  che significa Libertà per Muna al-Kurd, così come #FreeMunaElKurd, hanno girato ampiamente online quando migliaia di persone hanno reagito all’arresto dell’importante attivista”, ha aggiunto Mhajne.

Internet, e l’efficace utilizzo dei social media, hanno permesso ai Palestinesi di tutto il mondo di superare le separazioni geografiche e di farsi ascoltare. Ma per i Palestinesi che vivono in Israele e nei territori occupati, poter esprimere le proprie opinioni è ancora molto rischioso.

“Sono un facile bersaglio delle vessazioni da parte delle forze di sicurezza israeliane e degli estremisti”, continua Mhajne, ma “la loro visibilità pubblica e un seguito significativo sui social media rendono più difficile per lo stato sopprimere le loro voci”.

Secondo gli esperti di diritto, esistono 65 leggi israeliane che discriminano i Palestinesi. Molte di queste sono state concepite per scoraggiarli dal protestare o dall’organizzarsi come attivisti sul territorio.

“Dal 1967, nei territori occupati, è vietato qualsiasi tipo di riunione di più di poche persone, tutte le organizzazioni, tutte le manifestazioni o qualsiasi innalzamento di bandiere palestinesi o di partito”, ha affermato Rashid Khalidi, storico palestinese-americano e professore di Storia Moderna del Medio Oriente alla Columbia University.

“Queste azioni vengono considerate ‘terrorismo’ e sono punibili con la reclusione e con pene pecuniarie, attraverso un sistema di ingiustizia militare nel quale i giudici ed i pubblici ministeri provengono dall’esercito di occupazione e dove la condanna è praticamente automatica”.

Rinascimento

Fadi Quran, organizzatore di comunità con sede in Cisgiordania e direttore delle campagne presso un’organizzazione no-profit chiamata Avaaz, ha detto che mentre gli arresti cercano di trasformare l’energia nelle strade da “azione proattiva ad un luogo di atteggiamento difensivo e di paura”, stanno anche aggiungendo credibilità ad alcuni dei giovani leader.

“L’attivismo giovanile palestinese sta attraversando un periodo di rinascimento poiché questa generazione sente un profondo bisogno di essere rappresentata”, ha detto Quran. “I recenti avvenimenti hanno soltanto accresciuto lo slancio e la crescita, ed è per questo che le forze di sicurezza israeliane stanno esagerando cercando di uccidere questa energia attraverso arresti di massa e ricorrendo maggiormente alla violenza”.

Resta da vedere quanto successo riuscirà ad ottenere la nuova generazione palestinese nel raggiungimento dei suoi obiettivi. Ma con l’aumentare della loro popolarità, sia in Palestina che in Occidente, è chiaro che la campagna di arresti da parte di Israele potrebbe aver rappresentato un autogol.

Per le forze israeliane sembra sempre più difficile convincere il mondo che Muna e Mohammed al-Kurd o la giornalista di Al Jazeera, aggrediti ed arrestati, abbiano messo in atto o promosso le violenze.