Recuperare l’ideale islamico di virilità

Non passa giorno senza che si approfondisca la deriva verso la distruzione delle differenze sessuali e verso l’unisex e la fluidità di genere. Il trend diseducativo viene dai paesi più ricchi e più infelici come quelli del nord Europa.

Purtroppo l’uomo contemporaneo non riesce a smettere di leggere il passato con gli occhi del presente commettendo gravi errori nell’interpretazione storica. Il movimento femminista, nella sua stragrande maggioranza, non fa eccezione e si inserisce perfettamente nel mainstream del pensiero unico dominante definendo con accezione negativa patriarcato la struttura sociale che abbraccia ben 10 mila anni di storia umana ed è trasversale ad ogni civiltà e cultura. Parallelamente costruiscono il mito del matriarcato che sarebbe stato caratteristica di alcune popoli preistorici e di alcuni piccoli gruppi tribali di paesi colonializzati sopravvissuti alla dominazione patriarcale. Questo schema binario, orientato dalla ormai stantia ideologia del progresso e delle, mai viste, magnifiche sorti progressive dell’umanità, mostra tutti i suoi limiti quando si va ad analizzare la realta storica nelle diverse  epoche umane e soprattutto quando si mettono in relazione le religioni nelle società ed i ruoli di potere.

Pecca innanzitutto di post colonialismo idealizzando la donna occidentale come metro di misura della donna tout court, trattando le altre come delle povere deficienti oppresse tutte nello stesso modo nonostante le differenze di censo, etnia e condizione sociale. Applicata all’Islàm questa lettura ignora anche completamente la realta metafisica e spirituale della religione, di quella musulmana in particolare, che è innanzitutto una fede ed un cammino verso l’Assoluto, oltre che un sistema di relazioni orizzontali e con il creato, nel suo insieme, con principi che vengono direttamente da Dio e sono universali.

La Rivelazione tiene presente la struttura sociale che riceve la norma sharaitica ma non ci si adatta piattamente, la trasforma invece per liberare l’essere umano da ogni dominio di classe, di genere, di censo d’etnia. Il potere ed il possesso delle cose non appartiene al genere umano che ha questa Terra solo in prestito e le relazioni unane dovrebbero essere guidate dall’armonia e dalla misericordia non dal potere e dal dominio. Uno degli aspetti meno studiati di questo processo riguarda il concetto di mascolinità a cui fa riferimento la fede musulmana al momento della Rivelazione.

Il Messaggio si inserisce in una società ingiusta basata su rapporti di dominio e di potere assoluti e ne capovolge completamente i principi. A questo proposito esistono pochissimi studi seri contemporanei. Uno di questi è l’Abstract di Omaima Abu Bakr, giovane ricercatrice universitaria egiziana che ha pubblicato sul sito Research Gate Turning the Table Perspectuve on the Construction of a Muslim Manhood in cui cerca di analizzare 1400 anni di cultura musulmana relativamente al concetto di mascolinità.

L’ideale della virilità era, ed è, al Insan Al Kamil l’essere umano completo la cui immagine vivente è quella del Profeta Muhammad: un legislatore, un leader religioso e politico, coraggioso in battaglia e che per tutta la vita esercitò una immensa misericordia verso chiunque amico o avversario che fosse, non a caso il Corano lo definisce una “Misericordia per mondi”. Va de sé che parallelamente ai cambiamenti sociopolitici avvenuti durante tutta la storia musulmana si sono create diverse identità culturali afferenti all’islam. Alcune civiltà molto lontane dai principi islamici e dalla comprensione profonda del Messaggio hanno mantenuto codici tribali ed usanze che confliggono con alcuni importanti principi spirituali accettando relazioni di potere assoluto a danni delle classi deboli, delle donne e dei bambini.

Nonostante ciò, l’idea dell’uomo musulmano è vista in questo periodo (primi cinque secoli dalla rivelazione del Corano) in relazione agli altri e non come un depositario, per nascita, di un potere ereditario sul resto della società. La supremazia dell’uomo nella sfera pubblica è intesa come protezione e non dominio. La sua capacità di leadership sul piano pubblico e privato è determinata dalle sue qualità morali e non dall’essere maschio né dal proprio lignaggio. Tenerezza protezione, compassione oltre che coraggio e risolutezza erano le qualità cavalleresche che connotavano il musulmano delle prime generazioni di credenti, caratteristiche che sono state ben descritte in alcune tradizioni (hadith) sull’adab (la buona creanza) del credente, dagli storici dell’epoca a partire dal Tabari e dai grandi mistici come Ibn Arabi che scrisse sulle doti cavalleresche dell’uomo musulmano e sulla corretta relazione con la donna. Su queste basi si costruì la Futuwwa che ispirò la cavalleria medievale europea e tutta la cultura del Dolce Stil Novo che impregnò la poesia provenzale.

Questa sensibilità faceva sì che anche l’esercizio del potere da parte dei migliori tra i governanti musulmani non fosse mai arbitrario o tirannico ma sempre mediato dal timor di Dio e consapevole della comune condizione di servo di Allah di tutti i credenti, che fossero ricchi o poveri, uomini o donne, adulti o bambini. E’ l’epoca di grandi Califfi che erano anche grandi uomini a casa loro e che si mettevano totalmente al servizio dei più deboli della comunita. Questo fu il motivo principale della tenuta della Umma nei primi quattro decenni dalla Rivelazione, almeno fino all’assassinio di Ali (r.a.) quarto Califfo Ben Guidato e di suo figlio Husayn (r.a.) da parte del tiranno Yazid a Kerbala. Ci furono poi altri governanti giusti e legislatori illuminati che conservarono il tesoro della Rivelazione rivivificando la religionea affinché la Umma potesse risolvere i problemi del suo proprio tempo.

La crisi politica ed umana, e soprattutto spirituale, della Umma produsse nonostante, l’espansione dell’Impero e le vittorie militari, un grave vulnus: si sostituì ad un governo di credenti fedeli una monarchia formalmente elettiva che andava perdendo sempre di più le caratteristiche originarie del buon governo musulmano, producendo fitan (discordie gravi, guerre civili, sovversioni)

Questa situazione si riflesse immediatamente nei rapporti umani anche intrafamiliari. Mentre taluni “sapienti del monarca” cercavamo di adattare la religione musulmana alla tirannide e alla divisione ormai imperante nella Umma musulmana, anche i rapporti tra l’uomo e la donna divennero improntati alla consuetudine più che alle norme sharaitiche. 

Queste deviazioni furono poi ancora più evidenti nell’epoca del colonialismo, in cui le donne furono rinchiuse negli harem e private totalmente d’ influenza politica e culturale: i musulmani sembravano ricercare gli ideali di virilità nell’ideologia degli invasori assorbendone in parte la mentalità produttivistica ed efficientistica, oppure regredirono accettando un processo d’infantilizzazione e sottomissione al colono europeo (fenomeno studiato molto bene da Frantz Fanon in Algeria negli anni ’50). 

Ecco che allora il padre di famiglia diventa il padrone incontestato della casa, colui al quale si deve obbedire per diritto divino senza alcuna concertazione e rispetto tra i membri della famiglia: esattamente come accadeva nell’Europa del tempo. Al contempo si costruiva, anche nel mondo musulmano lo Stato autoritario e centralizzato su modello francese.

Nonostante il fatto che le donne non persero mai, nell’ordinamento sharaitico, la personalità giuridica (recuperata dalle donne italiane solo nel 1919), il diritto di ereditare, quello di scegliersi lo sposo in accordo con la famiglia e di gestire le proprie ricchezze in prima persona, alcuni diritti stabiliti dalla legge islamica furono limitati dalla consuetudine per non parlare della triste situazione delle donne di campagna discendenti degli schiavi neri ancor oggi prive di diritti in alcuni Paesi musulmani.

La rinascita musulmana da quasi due secoli si connota come un ritorno allo spirito delle prime tre generazioni di musulmani anche per quanto riguarda la visione dell’uomo musulmano che deve recuperare per intero, assieme alla donna, le belle caratteristiche dei Compagni del Profeta: coraggiosi in battaglia, pazienti nell’avversità, teneri e protettivi con il prossimo, cominciando dalle persone più vicine.

I musulmani non devono aver paura di utilizzare le moderne scienze umane per costruire buone pratiche di comportamento tra loro e con l’umanità. A differenza della cultura occidentale, le culture tradizionali non ignorano il peso della legge divina nei comportamenti umani e credono fermemente che la guerra tra i sessi possa portare solo altra ingiustizia e discordia tra le persone.

Abbiamo ormai i mezzi per contrastare l’ignoranza e la pervasività delle culture tribali e consuetudinarie cosi estranee al genuino messaggio della Rivelazione e respingere chi vuole il musulmano schiavo dell’avere e lontano dal suo Signore.

La tirannide si combatte a tutti i livelli, nel governo come dentro casa, perché esprime miscredenza e non Islàm.

Finché ci sarà nella Umma un gruppo di persone che chiameranno ad Dio con la buona parola ed in modo intelligente, questa comunità potrà progredire nelle Luce.

Sempre con la consapevolezza che non c’è forza né potere se non in Dio e che a Lui tutti, dall’emiro all’ultimo dei mendicanti, si devono sottomettere.