Ecco perchè abbiamo perso le elezioni: parla un esponente del PJD marocchino

L’esponente del PJD, il partito marocchino della Giustizia e lo Sviluppo, è costernato, anzi praticamente distrutto dopo una nottata a seguire sulle reti TV marocchine le proiezioni e infine i risultati che fotografano impietosamente la netta sconfitta del suo partito (si è aggiudicato meno di un decimo dei seggi che aveva nella precedente legislatura. 12 contro 125)

“L’arretramento era scontato, ma non in queste proporzioni. Paghiamo lo scotto di aver governato per 10 anni in condizioni estremamente difficili e certamente abbiamo fatto errori anche gravi, ma diventare il fanalino di coda era una cosa che proprio non ci aspettavamo”

Le condizioni difficili si possono riassumere nel funzionamento stesso dalla democrazia marocchina, quando in una monarchia costituzionale il sovrano regna ma non governa, a Rabat e dintorni, il re, lo Stato profondo regnano e di fatto governano. L’esecutivo conta abbastanza poco e la riprova clamorosa è stata la vicenda del riconoscimento dello Stato d’Israele, contraria al generale sentire del popolo marocchino, voluta dal Palazzo e sulla quale il PJD ha ceduto.

“La nostra gente non l’ha digerita, l’ha vissuta come un tradimento dei valori della giustizia e ha maturato il convincimento che fosse inutile continuare a governare in quelle condizioni”

Ma non è solo questo fatto che ha allontanato gli elettori del PJD, nel cahier doleances c’è anche la questione della “francesizzazione” di una parte considerevole dei programmi scolastici e quella della legalizzazione della produzione di cannabis indica per usi terapeutici e industriali, entrambi i provvedimenti sono stati approvati nonostante l’opposizione del partito che esprimeva il presidente del consiglio dei ministri.

Il Marocco è il primo produttore mondiale di hashish (ricavato dal polline della cannabis) grazie ad un decreto del 1956 con il quale l’allora sovrano Mohamed V autorizzò la coltivazione nella regione del Rif attorno a Ketama.

Noi ci siamo battuti contro entrambe queste decisioni e Abdelillah Benkirane, il presidente del partito ha minacciato le dimissioni. Siamo rimasti al governo per un senso di resposabilità, era lo scorso mese di giugno e la pandemia stava mordendo fortemente il Marocco, lasciare in quel momento sarebbe stato ancora peggio per tutti”.

D’altronde che lo Stato profondo voleva farla finita con l’esperienza governativa del partito d’ispirazione islamica era stato evidente quando nel marzo del 2017 Mohamed VI licenziò l’allora premier Benkirane sostituendolo con Saâdeddine El Othmani considerato più docile ai desiderata del Palazzo.

“E’ stato quello il momento in cui avremmo dovuto lasciare il governo. Non lo abbiamo fatto e ora ne paghiamo le conseguenze”.

Anche la legge elettorale approvata da tutti i partiti con l’eccezione appunto del PJD è stato un segno della volontà di di atomizzare la rappresentanza politica.

“La fine dello sbarramento del 3% per poter partecipare alla suddivisione dei seggi sia a livello nazionale che locale che solo noi abbiamo osteggiato, anzi chiedevamo che fosse alzato, ha permesso un arrembaggio di partitini di disturbo, sono state ben 31 le formazioni che hanno depositato liste elettorali. Era chiara la volontà di eleggere un Parlamento sempre meno capace di rappresentare l’unità del popolo a vantaggio di interessi specifichi e spesso per nulla trasparenti. Anche le operazioni di voto spesso non sono state corrette e abbiamo molte segnalazioni di verbali di seggio non consegnati, anche con le scuse meno credibili tipo: la fotocopiatrice non funzionava…”

Nel PJD la convinzione di brogli elettorali diffusi è quasi una certezza “Secondo i dati ufficiali ha votato il 50% degli aventi diritto (alla precendente consultazione erano il 43%) ed è difficile pensare ad un travaso di voti tanto clamoroso, siamo praticamente certi che ci sia stata una pesante manipolazione delle operazioni di voto e dei dati, ma sarà difficile poterlo provare”

Quanto alle conseguenze del voto il nostro interlocutore non si sbilancia più di tanto.

Tutto dipende dal re. Che il PAM (Partito dell’Autenticità e Modernità -Ḥizb al-Aṣāla wa-l-Muʿāṣira) si sarebbe riconfermato (aveva 102 seggi, ne ha ottenuti 82 ndr) era scontato, è una creatura del Palazzo, la novità inquietante è il balzo in avanti del RNI di  Aziz Akhannouch” (attuale ministro dell’agricoltura ndr).

Il RNI ha quasi triplicato i voti e ha ottenuto 97 seggi contro i 37 che deteneva nella precedente legislatura è un partito sostanzialmente berbero, fondato nel 1978 da Ahmed Osman cognato dell’allora re Hassan II, che fu primo ministro dal 1972 al 79 e presidente del  parlamento dal ’84 al ’92. Un uomo d’affari il cui personale patrimonio è stimato da Forbes in 2 miliardi di dollari ndr).

Akhanouch è un super miliardario ha accumulato i soldi sfruttando la liberalizzazione dei prezzi dei carburanti che si risolse in un aumento generalizzato a scapito dei consumatori. Secondo alcuni si tratta della scandalosa cifra di 17 miliardi di dirham, il margine di profitto spuntato dalla Afriquia,la sua compagnia petrolifera”.

“Ora – conclude– per noi si apre un periodo di riflessione e credo anche che sia necessaria una rifondazione del partito. Non credo che saremo un’altra volta al governo e certamente continueremo a fare il nostro lavoro nell’interesse del popolo marocchino anche dall’opposizione”.