Guantanamo: simbolo permanente della barbarie scatenata sui musulmani

La “guerra al terrore” dell’Occidente è stata dipinta come una lotta umana contro un Islam barbaro e irrazionale teso alla distruzione della libertà. Guantanamo rovescia completamente questa narrativa.

Nel settembre 2002, un tassista pakistano di nome Ahmed Rabbani fu rapito dalle autorità statali pakistane dalla sua casa di Karachi e portato nella capitale del paese, Islamabad.

Da lì è stato trasferito a Cobalt, la famigerata “prigione segreta” che si trova vicino a Kabul in Afghanistan, dove è stato tenuto sotto custodia della CIA. Il rapporto sulla tortura della commissione speciale del Senato, pubblicato 10 anni fa, ha documentato ciò che Rabbani e molti altri hanno vissuto.

Le finestre oscurate di Cobalt lasciavano nel buio più totale i prigionieri in isolamento – e spesso senza riscaldamento nei gelidi inverni dell’Afghanistan. Erano incatenati alle sbarre con le mani costrette sopra la testa, il che significa che non avrebbero mai potuto riposare.

La musica ad alto volume veniva riprodotta costantemente, impedendo di dormire. Alcuni detenuti sono stati sottoposti a bruciature di sigaretta. Altri sono stati spogliati nudi, lavati con acqua e rinchiusi in celle frigorifere.

Rabbani, 52 anni, ha detto che per giorni e giorni è rimasto “appeso per mano ad una catena di ferro con le dita dei piedi che a malapena toccavano il suolo”. Questa tortura, nota come strappado, era una delle preferite dall’Inquisizione spagnola.

Dopo 540 giorni a Cobalt, Rabbani è stato trasferito a Guantanamo Bay, la prigione militare offshore nella quale non viene applicata la legge statunitense, e dove il governo degli Stati Uniti è stato in grado, fino ad oggi, di trattenere i detenuti a tempo indeterminato come combattenti nemici, senza formulare nessuna accusa nei loro confronti.

Scambio di identità

Rabbani è innocente. Come documentato nel rapporto del Senato del 2012, è stato scambiato per un agente di al-Qaeda che si chiama Hassan Ghul. Gli Stati Uniti ne sono a conoscenza già da un decennio, probabilmente da molto più tempo. Oggi è ancora a Guantanamo.

Molti altri hanno sofferto allo stesso modo. In totale, quasi 800 uomini sono stati imprigionati durante i suoi 20 anni di storia.

Rabbani, un Rohingya pachistano, pesava circa 73 kg al momento del suo arresto. Emaciato da uno sciopero della fame, oggi pesa appena 30 kg, il che significa – ama scherzare – che il 57% di lui è “fuggito” da Guantanamo. Soffre mentalmente e fa fatica a ricordare le cose.

Anche la sua famiglia è stata torturata, ma in un modo diverso. A Islamabad, lo scorso autunno, ho incontrato suo figlio Jawad, di 18 anni. Jawad non ha mai incontrato suo padre perché è stato sequestrato pochi mesi prima della sua nascita.

Mi ha raccontato come da bambino sua madre spiegasse l’assenza del padre dicendo che Rabbani era andato a lavorare in Arabia Saudita. Ha parlato per la prima volta con suo padre quando aveva sei anni, durante una telefonata di 15 minuti organizzata dalla Croce Rossa.

Suo padre gli disse che si trovava in carcere. “Gli ho chiesto ‘Perché sei in prigione? La prigione dovrebbe essere per le persone cattive’. Ha riso e non ha risposto”, ha ricordato Jawad. Ha detto che il fatto di sapere della detenzione di suo padre ha iniziato a “influenzarmi profondamente” da quando è diventato un adolescente. “Sono entrato nel dark web quando avevo 13 o 14 anni. Quindi, ho cercato i video delle persone sotto tortura e di come torturavano e di tutte le cose che si trovano sul dark web”, ha detto.

Jawad Rabbani

“Ero in quei gruppi in cui si condividevano i video nei quali torturavano le persone e tutte quelle cose. Quindi, ho un’idea di come l’hanno torturato e tutte le cose, dal waterboarding ai calci o alla musica che sicuramente tortureranno mio padre. Come renderanno miserabile il suo cervello e tutte quelle cose. Lo sapevo già”.

“C’è stato un tempo in cui credevo che mio padre avesse commesso un crimine. Ecco perché era stato torturato, perché non si tortura una persona senza motivo. Piangevo, sai, di notte nella mia stanza. Immagina la tua vita senza tuo padre per 18 anni. Cosa saresti? Se non ti toccasse o non si prendesse cura di te o non ti fornisse il suo amore, i suoi soldi, tutto? Dove saresti?”.

Rinuncia allo stato di diritto

Jawad è diventato introverso e sofferente. Non sarebbe mai riuscito a fare amicizia perché non si sentiva in grado di parlare delle sue circostanze familiari.

Jawad dice che la svolta è arrivata quando ha incontrato Clive Stafford Smith, l’avvocato britannico che ha difeso più di 80 detenuti di Guantanamo. “Dopo quell’incontro ho appreso che mio padre è innocente”, ha detto Jawad. “La seconda cosa che ho imparato è che non dovevo vergognarmi di mio padre perché era in carcere”.

È una storia ripugnante.

Con le loro pratiche di detenzione arbitraria e tortura – o interrogatorio rafforzato – gli Stati Uniti hanno completamente rinunciato allo stato di diritto e a qualsiasi pretesa di un processo equo. La Gran Bretagna ha docilmente obbedito, con gli Stati Uniti che hanno imprigionato e torturato anche cittadini britannici senza alcuna accusa. E l’intelligence britannica è anch’essa stata coinvolta negli interrogatori.

Habeas corpus, questa tanto decantata antica libertà, che assicura che nessuno possa essere imprigionato illegalmente, è stata completamente disattesa per la “guerra al terrore”.

Nell’atmosfera sciovinista del dopo 11 settembre, molti in Occidente hanno ritenuto che i Musulmani non meritassero i diritti umani fondamentali. È impensabile che il governo britannico potesse stare a guardare mentre un bianco cristiano britannico veniva torturato e imprigionato a Cuba; nel caso dei Musulmani britannici, invece, lo consideravano non problematico.

Barbarie e crudeltà

Tutti i prigionieri di Guantanamo sono, o sono stati, Musulmani. I primi 20 detenuti sono arrivati lì 20 anni fa, l’11 gennaio 2002. Guantanamo considera il terrorismo un crimine solo dei Musulmani, richiede perciò una struttura legale alternativa per far fronte a quello che è stato considerato l’orrore eccezionale dei crimini islamici.

La prigione rimane ancora oggi aperta. Proprio in questo momento, uomini innocenti sono seduti nelle loro celle. Questo carcere serve a ricordare la costante barbarie e crudeltà scatenate contro Musulmani innocenti a causa dell’islamofobia generata in Occidente dopo l’11 settembre.

La guerra al terrorismo è stata dipinta in Occidente come una lotta contro un Islam barbaro e irrazionale teso alla distruzione della libertà e della vita umana. Guantanamo rovescia completamente questa narrativa.

Per pura coincidenza, la stessa sera in cui ho intervistato Jawad, è arrivata la notizia che, dopo due decenni di incarcerazione, le autorità statunitensi avevano programmato il rilascio di Ahmed Rabbani. Ma non può essere troppo fiducioso. Ci sono detenuti di Guantanamo il cui rilascio è stato programmato da un decennio e fino ad oggi non sono ancora stati liberati. E il governo degli Stati Uniti non ha mai fornito una spiegazione soddisfacente in proposito.

Quanto a Jawad, egli desidera ardentemente la libertà di suo padre e mi ha detto che il suo sogno è che i due possano aprire un ristorante insieme nella loro nativa Karachi. Preghiamo che non li facciano attendere troppo a lungo.

 

Articolo di Peter Oborne  pubblicato su Middle East Eye