I musulmani di Parma ostaggi di una faida tribale in moschea

Scrivo per dare voce ai tanti musulmani di Parma che in questi anni hanno vissuto una situazione intollerabile. 

A Parma la moschea è chiusa dal 5 marzo 2021, subito dopo la preghiera del venerdì, quel giorno venne annunciata la chiusura perché l’associazione che gestiva il centro islamico denominata Comunità Islamica di Parma e Provincia era stata esclusa dall’albo delle associazioni di promozione sociale per irregolarità nelle sue attività, ovvero non svolgeva nessuna attività oltre la preghiera rituale.

La ragione di questa incresciosa fine è gestione esclusivamente maghrebina, (algerini, marocchini e tunisini) mentre il resto dei musulmani viene escluso opponendo loro una barriera linguistica (discussioni e programmi solo in arabo) o escludendoli tout court.

A quasi un anno dalla chiusura non s’intravede una soluzione per il luogo di culto, d’incontro e di cultura per noi musulmani della zona e i nostri figli, e sullo spazio aperto alla città per consentire ai non musulmani di conoscere l’Islam: tutto questo per una mera faida tra maghrebini.
La Comunità islamica di Parma ha vissuto in questi ultimi anni in un clima di “guerra fredda” tra alcuni fedeli marocchini e tunisini che frequentavano il centro islamico, finché la bolla non è scoppiata nelle due ultime gestioni a causa di sterili nazionalismi che hanno portato alla disfatta di un progetto spirituale e socio culturale che andava avanti da 40 anni.

Il centro islamico di Parma sito in via Campanini è situato in un capannone al centro di una schiera di manufatti ad uso industriale o artigianale, un presidente padre-padrone, inamovibile dal suo ruolo per anni, nessuna attività conosciuta se non l’annuale incontro del dialogo interreligioso, oltre a ciò il nulla, nessun archivio, né libro soci, mancanza di tutto in generale,comunicazione con la comunità assente o talmente informale da non poter discernere tra la diceria e i fatti.

Nel 2015 assume la presidenza Lamzari, un fratello di origini marocchine,arrivato a Parma da ragazzino, uno di quelli che potremmo definire italiani da ius culturae. Ha iniziato una vera, profonda riforma: incontri aperti, servizi di beneficenza, punto ascolto (psicologo, punto rosa per le donne in difficoltà), incontri con sapienti, open mosque con le scuole quasi settimanalmente, costanti relazioni con autorità ed istituzioni, relazioni con l’ateneo.

Dal 2017 in poi il tracollo lento e doloroso, con due presidenze che hanno chiuso il centro islamico alla città e anche ai musulmani, fino alla chiusura nel marzo 2021 dove l’unica comunicazione arrivò durante il sermone del venerdì, poi il silenzio totale, una presidenza assente, un direttivo scalzato da un presidente che non ha saputo riconoscere il suo errore e dimettersi.

Oggi ci si aspettava un cambio di linea ed invece sulla pagina ufficiale della Comunità Islamica sono usciti i requisiti per potersi candidare a presidente , quello che balza all’occhio sono i primi 2 requisiti: età non inferiore ai 40 anni e padronanda dell’arabo e dell’italiano.
La pregiudiziale sull’età esclude tutti quei ragazzi che da anni operano nel centro islamico, che hanno sempre contribuito con idee e che grazie all’esperienza acquisita potrebbero portare aria fresca.

Il requisito della lingua araba oltre ad essere discriminante, in quanto non si è alla ricerca di un sapiente ma di un dirigente, non si sa come e da chi verrà valutato: un esame? un qualche un test? Oppure basterà essere arabi per dire di sapere l’arabo.

La giustificazione principale per cui si pongono questi veti è che i musulmani non arabi non hanno mai preso posizione sulla situazione della comunità islamica e la chiusura del Centro Islamico. Ma nella realtà dei fatti è che nessuno ha mai spiegato loro cosa è successo perché ad ogni riunione la discussione era solo in arabo; gli arabi urlavano come fossero al mercato, e talvolta si arrivava anche a vie di fatto… il tutto indecoroso per chi sta cercando una soluzione per l’armonia di una comunità religiosa.

Nessuna motivazione religiosa, solo una faida di stampo tribale, una rivalità che si è consumata tra le mura del centro islamico e la maggior parte di quelli che partecipavano a queste riunioni non avevano intenzione di trovare una soluzione, ma solo sfidare l’altro perché di origini diverse.

Oggi diversi musulmani non arabi, giovani musulmani di origine araba sono stanchi di vedere la loro associazione al centro di una faida tra ignoranti, una “guerra” fratricida in cui la discriminante è il Paese di provenienza.

Dopo 40 anni di storia i musulmani a Parma vivono una realtà surreale, ostaggi della diatriba tra pochi personaggi che hanno fatto della questione islamica parmigiana il loro hobby, senza capire che il loro modus operandi è oramai vecchio e passato. La mania di apparire, di voler avere tra le mani solo per usare il termine presidente della comunità islamica fa davvero male, il potere logora chi ce l’ha.

Oggi noi musulmani di Parma vorremmo solo pregare, poter leggere il Corano seduti sul tappeto di una moschea, portare i nostri figli ad imparare la nostra religione, poter avere la nostra dignità di credenti, lontani dalle diatribe di pochi.